3
sottende - essi si moltiplicano quando si studiano opere anteriori a tale periodo, come nel
nostro caso.
Non trovandosi di fronte ad una vera e propria “storia della filosofia” o “storia della
storia della filosofia”, compito dello storico in linea generale sarà quello di esplicitare, in
primo luogo, i campi d'indagine specifici che l'autore o l'opera esaminata sussume dalla
filosofia passata, in secondo luogo quello di mettere in luce il tipo di “interpretazione” che di
queste tematiche viene proposta, infine, secondo una prospettiva più ampia, quello di indicare
il genere di influenza che tale “lettura” ottiene sul pensiero successivo.
Nella fattispecie si può schematizzare il metodo adottato secondo due diverse, ma
non opposte, direzioni di ricerca.
Nel primo caso si è proceduto ad una comparazione testuale delle citazioni tra la
loro stesura originale e come vengono invece riportate, e molto spesso plasmate, dal
Theophrastus redivivus. In poche parole si è cercato di capire il perché degli interventi
dell'anonimo estensore - manipolazioni, omissioni, interpolazioni, libere traduzioni, ma
anche trascrizioni ad litteram - sui testi utilizzati. Seguendo la seconda strada si è cercato di
precisare come i motivi filosofici delle “fonti” del Theophrastus vengano ad esplicitarsi, a
chiarirsi o ad oscurarsi nei sei trattati anonimi e questo in riferimento principalmente ai
cambiamenti apportati dall'autore del manoscritto, sia rispetto alle argomentazioni specifiche,
sia rispetto ai più ampi contesti teoretici in cui esse vengono inserite, negli autori oggetto
d'indagine non meno che nel Theophrastus redivivus.
Come si può intuire da tali premesse sarà inevitabile l'interconnessione tra i due tipi
di analisi, essendo l'una complementare all'altra.
La scelta poi di mettere a fuoco la “presenza” nel testo anonimo del pensiero di
quattro grandi novatores italiani, vale a dire Machiavelli, Pomponazzi, Vanini e Campanella,
trova la sua ragione più immediata da un lato nella considerazione che è proprio la filosofia
rinascimentale e tardo-rinascimentale italiana a costituire il sostrato più prossimo delle
argomentazioni e delle tematiche svolte nell'opera, dall'altro lato nell'osservazione che
principalmente attraverso la “lettura” del pensiero di questi filosofi si evidenzia, nelle sue
linee essenziali e nei suoi diversi aspetti e sviluppi, uno dei temi fondamentali del
Theophrastus redivivus, cioè la polemica antireligiosa.
Tale motivo, mutuato, seppur in un'ottica particolare, dalle considerazioni non
univoche del Machiavelli sul problema religioso, e, parallelamente, dalla “spiegazione
naturalistico-astrologica” che del fenomeno religione aveva espresso il Pomponazzi del De
incantationibus, si estrinseca attraverso l'utilizzo delle opere più risolutamente ateistiche del
Vanini, per richiudersi infine, e capovolgersi completamente, con la lettura dell'Atheismus
4
triumphatus del Campanella, opera già di per sé ambigua e bifronte.
Ed è proprio il caso del Campanella che ci rende, come un'immagine di ritorno,
l'esatta prospettiva di quanto fu tendenziosa, anche se non immotivata, l'interpretazione in
ambito libertino di certe opere filosofiche che, adeguatamente manipolate, senza dubbio bene
si prestavano alla serrata critica, e contro la religione dominante e contro le istituzioni da essa
prodotte, propria di certi ambienti del libertinisme francese, ma soprattutto di un autore come
il Theophrastus, il quale, partendo da una posizione coerentemente atea e materialista, arriva
a porre come esito ultimo della ratio philosophandi del saggio l'ateismo appunto ed il suo
rimando pratico ed immediato, cioè la vita secundum naturam.
Da questo punto di vista, infine, si è cercato di inglobare volta a volta il tema della
polemica antireligiosa nelle più generali prospettive di filosofia aristotelico-averroista - o
dell'aristotelismo “radicale”, come preferisce dire il Vasoli - comunque fortemente
naturalistica ed immanentistica, che costituisce l'impianto teorico su cui si fondano le
argomentazioni del Theophrastus redivivus, e questo col preciso intento di una specificazione
del problema della fede nella religione “positiva” rispetto, ed in opposizione, ad un
pensiero naturalistico e più autenticamente filosofico, in cui è possibile comprendere
tutta la realtà secundum rationem.
5
INTRODUZIONE
IL THEOPHRASTUS REDIVIVUS TRA ERUDIZIONE,
CRITICA STORICA E POLEMICA ANTIRELIGIOSA
6
Il Theophrastus redivivus
(1)
, manoscritto anonimo appartenente all'area di cultura del
libertinismo francese
(2)
e la cui composizione risale quasi sicuramente al 1659
(3)
, si presenta
nella sua ampiezza e sistematicità «come una sintesi estrema o un compendio sistematico
delle idee più radicali coltivate dalla generazione precedente»
(4)
.
Già lo Spink, al quale si deve la riscoperta del manoscritto alla Biblioteque Nationale
di Parigi
(5)
, notava di prima mano come «les pages de ce gros compendium contiennent déjà
les principales idées et opinions de toute la ‘gauche’ du mouvement philosophique - attaques
contre les religions établies, refus de considérer le Christianisme comme supérieur aux autres
religions, négation de la spiritualité de l'âme, assimilation de l'homme aux bêtes - et
constituent un ample réservoir de propagande anti-religieuse o les auters incrédules pouvaient
puiser à volonté"
(6)
.
Sin da queste prime battute si può vedere come, chi affronti per la prima volta la
lettura di quest'opera, si trovi subito di fronte a due motivi di particolare rilievo: uno di
carattere, per così dire, esterno che riguarda la composizione e la struttura del manoscritto,
l'altro di carattere interno che interessa propriamente il contenuto filosofico dello stesso.
La “sistematicità” del Theophrastus redivivus rimanda infatti, in prima istanza, alla
grande erudizione dell'anonimo autore e che egli usa ampiamente nel riferirsi sia alla cultura
del mondo classico che a quella a lui più vicina, cioè quella rinascimentale; la “propaganda
antireligiosa” richiama poi tutta la tematica della critica alle religioni stabilite, «vero nucleo
teorico di tutta quanta la trattazione del ‘Theophrastus’
(7)
», che se da un lato collega
questa opera ad una precisa linea di sviluppo di detta problematica antireligiosa, vale a dire la
teoria dell'impostura delle religioni, dall'altra inserisce l'anonimo autore all'interno della vasta
e generale polemica antireligiosa propria di tutto il movimento libertino, anche se è subito da
notare come essa approdi nel manoscritto ad esiti apertamente ateistici e materialisti.
(1)
Theophrastus redivivus, edizione prima e critica, in due volumi, a cura di G. Canziani e G. Paganini, La
Nuova Italia, Firenze, 1981 (ora distribuito da F. Angeli Editore, Milano, 1983). D'ora in poi l'opera verrà citata
con la sigla T.R..
(2)
Per la collocazione del T.R. nell'ambito della cultura francese, si veda J.S. Spink, French Free Thought from
Gassendi to Voltaire, London, 1960, pp. 66-71 (trad. it. di L. Roberti Sacerdote, Il libero pensiero in Francia
da Gassendi a Voltaire, Firenze, Vallecchi, 1974, pp. 77-81).
(3)
Per la data di composizione dell'opera cfr. la Nota storico-critica premessa all'ed. cit. del T.R.; in particolare
p. LXV e segg..
(4)
D. Pastine, Note al “Theophrastus redivivus”, in “Archivio di Filosofia”, 51, 1983, p. 435.
(5)
Del ms. esistono quattro copie sulla collazione delle quali è stata condotta l'edizione critica. Su questo punto
si veda la Nota storico-critica, cit., pp. CXI-CXXII.
(6)
J.S. Spink, La diffusion des idees materialistes et antireligieuses au debut du XVIIe siecle: le ‘Theophrastus
redivivus’, in “Revue d'histoire litteraire de la France”, 1937, p. 250.
(7)
Lorenzo Bianchi, Sapiente e popolo nel “Theophrastus redivivus”, in “Studi Storici”, 24, 1983, p. 162. Già
in questo senso si era espresso T. Gregory nel suo fondamentale studio sul T.R.: Theophrastus redivivus.
Erudizione e ateismo nel Seicento, Napoli, Morano, 1979, quando affermava che «Il punto focale di tutta la
polemica del ‘Theophrastus redivivus’ è il complesso delle credenze religiose e, anzitutto, l'esistenza di Dio», p.
20.
7
Erudizione e critica delle religioni positive dunque; due aspetti questi che già di per
sé amplificano notevolmente le discussioni sul Theophrastus, soprattutto se visti attraverso la
particolare ottica in cui qui ci si intende porre, quella della storiografia filosofica.
Due concetti ancora la cui analisi, in questa sede, dovrà procedere parallela, sia
perché l'uso del primo è strettamente finalizzato (e non solo in un senso usualmente
‘erudito’) al secondo, sia perché la polemica antireligiosa allargherà il proprio campo d'azione
e diventerà come vedremo, critica della civiltà, della natura, di una certa ratio philosophica
alla quale l'autore contrapporrà il concetto di ratio naturalis, così come alla figura del filosofo
‘ortodosso’, inteso nell'economia dell'opera alla stessa stregua del legislatore e del sacerdote,
contrapporrà la figura del sapiente - nel VI e conclusivo trattato, dal titolo De vita secundum
naturam - ripetendo con Seneca «multos esse philosophos non dubium est, paucos vero
sapientes»
(8)
, dove infine il compito dell'anonimo si rivela essere quello di dirigere la vita del
sapiente secundum naturam appunto, cioè di indicargli la strada per riconquistare quella ratio
naturalis, unica ed esclusiva norma di vita per l'uomo o per meglio dire del saggio, e da questi
dimenticata a causa dell'opera dei legislatori, degli impostori, delle auctoritates filosofiche.
Temi questi che rivelano la loro cruciale importanza quando se ne sottolinei il ruolo
di “tramite” che essi hanno avuto per lo sviluppo della storiografia filosofica al fine della sua
definizione “critica”.
«La via, infatti, attraverso cui i libertini ‘eruditi’ della prima metà del secolo
cercavano la loro emancipazione da quelle ‘superstizioni’ di cui giudicavano vittima la
società dell'epoca e dalle quali facevano derivare il potere politico dei despoti era quella di
un'analisi dell'antico pensiero classico pagano a cui collegare una moderna, libera
interpretazione della realtà»
(9)
.
Bene s'intendono le conseguenze di questo tipo di posizione dal punto di vista teorico
quando si consideri il movimento del libero pensiero, soprattutto grazie alla sua diffusione
clandestina di manoscritti atei e materialistici, come un diretto precursore, sia cronologico che
teoretico, dell'Illuminismo: «Nel corso dei primi decenni del secolo XVIII la circolazione dei
manoscritti spianò indubbiamente la strada alla propaganda antireligiosa e politica dei
‘philosophes’, nella quale infine confluì»
(10)
. Ma, ritornando al problema dell'erudizione nel
Theophrastus redivivus, si deve subito sottolineare come su di esso diverse e contrarie sono
state le posizioni assunte dai critici.
(8)
T.R., p. 882.
(9)
M.A. Del Torre, Le origini moderne della storiografia filosofica, Firenze, La Nuova Italia, 1976, pp. 34-35.
(10)
P. Casini, Introduzione all'Illuminismo. Da Newton a Rousseau, Bari, Laterza, 1973, p.222.
8
Infatti, una volta stabilita la forma mentis culturale dell'autore
(11)
, se i suoi primi
studiosi, pur in brevi accenni, vi hanno ravvisato un pensiero fondamentalmente rivolto al
passato, quelli più recenti, rovesciando queste critiche, hanno rivalutato proprio l'aspetto
“erudito” dell'opera vuoi come un positivo elemento di critica alla cultura filosofica
dominante, vuoi come quel particolare trait-d'union «fra tradizione rinascimentale italiana e
scienza e filosofia dei moderni»
(12)
. E' sufficiente citare qui solo poche parole del Gregory
che centrano acutamente il nocciolo della questione; a proposito dell'utilizzo delle fonti
antiche e rinascimentali da parte dell'anonimo autore, lo studioso ricorda infatti come quella
del Theophrastus redivivus è « la significativa esperienza realizzatasi nell'area del pensiero
libertino secentesco ove l'erudizione diventa uno strumento critico che non si limita a
conquistare una nuova dimensione dell'antico ..... ma che, attraverso la scelta e la
giustapposizione di testi sapientemente scelti, mette in crisi un pacificato mondo di valori»
(13)
.
Quindi l'erudizione presente nel manoscritto non è semplice strumento tecnico che
permette una scelta, più o meno adeguata, di testi del passato, ma diventa scandaglio e
discrimine, all'interno di quel passato, tra una ragione platonicamente e cristianamente intesa
e una ragione che invece vuole avere come proprio fondamento solo ed esclusivamente
il mondo naturale e sensibile.
Significative a questo proposito le parole che si leggono nel Proemio dell'opera:
«Nulla enim est certa scientia, nisi quae sensibus percipitur, quidquid ab iis remotum est non
vera scientia est, sed opinio, quae ad uniuscuisque arbitrium fingitur atque formatur: scientia
vero et cognitio quae a sensibus oritur, una semper est et de illa apud omnes constat, neque in
dubium umquam revocatur. Igitur quae de diis et aliis ad illos pertinentibus in hisce
tractatibus dicturi sumus, non authoritatibus, non humanis scientis, neque opinionibus
metienda et diiudicanda sunt, sed sola ratione vera et naturali, ab ispis sensibus orta»
(14)
.
Naturalmente, all'interno di questo discorso, i concetti di erudizione e senso critico
sono da intendersi come paralleli e complementari a quello più propriamente filosofico di
ratio, così come intesa dall'anonimo autore, che nel loro amalgamarsi e coincidere portano il
Theophrastus redivivus a porre il concetto di verità non più in un ente al di là dell'uomo, ma
nello stesso mondo empirico.
(11)
«Spaziando dalla filosofia alla letteratura, giovandosi del discorso scientifico solo in misura parziale e solo
nella sua accezione classica o rinascimentale, l'impresa dell'anonimo riflette insomma una formazione che nelle
“humanae litterae” ha trovato il punto di riferimento centrale», così G. Canziani e G. Paganini, in T.R., Nota
storico-critica, pp. LXIV-LXV.
(12)
E. Garin, Da Campanella a Vico, in Dal Rinascimento all'Illuminismo, Pisa, Nistri-Lischi, 1970, p. 87.
(13)
T. Gregory, Theophrastus redivivus, cit., p. 18 .
(14)
T.R., Proemium, pp. 22-23.
9
Una posizione questa che, nella sua estrema radicalità, è nettamente contraria ad
ogni ipotesi metafisica, proprio in un momento storico in cui quest'ultima aveva ritrovato
nuovo vigore, solidità e “scientificità” grazie al pensiero di Cartesio. Ed è curioso notare
come, nonostante il filosofo francese avesse opposto all'erudizione la scienza ed alla storia la
verità - diversamente si ricadrebbe nello scetticismo, nemico numero uno - proprio le sue
indicazioni relative al metodo da seguire in filosofia, cioè il suo porre l'accento su idee quali
rigore e razionalità, abbiano invece influenzato la storiografia erudita verso la ricerca di un
criterio positivo con cui agire sulla tradizione del passato
(15)
.
Siamo qui di fronte dunque a due concezioni, quella di Cartesio e quella
dell'anonimo autore, nettamente divergenti riguardo alle “interpretazioni” delle filosofie loro
precedenti: infatti, se da un lato è vero che entrambe hanno come presupposto comune il fatto
di accettare dal passato soltanto ciò che è dimostrabile sola ratione, dall'altro mentre la
filosofia cartesiana rappresenta un novum all'interno dello sviluppo del pensiero occidentale
segnando il punto di passaggio tra età pre-moderna ed età moderna, il pensiero del
Theophrastus redivivus resta ancora legato a tematiche pienamente rinascimentali (oltre che
classiche) anche se, ed è questo il punto veramente importante, all'interno di esse l'anonimo
compilatore sceglierà sempre quelle filosofie “eretiche” o quei pensatori atei le cui opere gli
sembrano pi adatte a confermare la sua particolare Weltanschauung, che non è più una
visione antropocentrica della realtà, ma è una visione in cui l'uomo è parte di un tutto,
l'universo sensibile, governato da un'unica ragione naturale.
Di qui la scelta per un Pomponazzi, un Vanini, un Machiavelli, uno Charron tra i
recentiores o di Epicuro, un Lucrezio, un Sesto Empirico, un Cicerone tra gli antichi. Da
qui anche la diversa presa di posizione nei confronti dello scetticismo; mentre per Cartesio
essa è la filosofia da combattere e da superare, per il Theophrastus redivivus si ha invece
l'impressione che rappresenti lo strumento per un esercizio più libero e non più dogmatico
della ragione. In questo senso assai significative risultano le affinità tra alcune prospettive
presenti negli Essays di Montaigne e quelle dell'anonimo autore.
Quindi solo da questo punto di vista, cioè cercando di capire il taglio particolare con
cui il Theophrastus redivivus ha scelto ed “adattato” determinati testi per la compilazione del
suo lavoro, si possono intendere, anche se parzialmente, i giudizi negativi espressi sulla
cultura dell'autore.
(15)
Su questo aspetto cfr. M.A. Del Torre, Le origini moderne della storiografia filosofica, cit. pp. 18-19.
10
Se resta ancora accettabile il fatto che, come afferma lo Spink, l'anonimo compilatore
«aveva l'ottica di un uomo di una generazione precedente; sembra essere stato poco
influenzato dai suoi contemporanei»
(16)
, tuttavia eccessivamente riduttive appaiono certe
altre critiche, come quella del Pintard quando dice che «il exprime un pensée infiniment
moins vivante, développée pour ainsi dire en dehors du temps et sans recours aux autres
hommes»
(17)
, figurandosi infine l'anonimo come un'«esprit tout “renaissant”», o come quella
di Busson che afferma essere il Theophrastus redivivus «livre très hardi dans ses thesès,
assurement, déiste et peut-être athée, mais vieux à sa naissance. Livre d'humaniste nourri de
Lucrèce surtout, de Pomponace, de Cardan, d'une philosophie morte, en somme, mais que
ignore tout de la philosophie de l'avenir»
(18)
. A questo punto il sia pur breve confronto tra le
posizioni espresse nel Theophrastus redivivus e le problematiche aperte dalla filosofia di
Cartesio deve qui tornare proprio perché è su questo terreno che nascono le critiche - del
Garin innanzitutto e poi, sulla stessa scia, del Gregory - alle obiezioni prima citate, le quali
vengono tutte accomunate sotto un'unica matrice, quella cartesiana appunto.
Così il Gregory: «vi è ancora una prospettiva direi “cartesiana” che da un lato rifiuta
di considerare l'erudizione come un positivo strumento di ricerca e di progresso,
dall'altro identifica la nascita del mondo moderno con la nascita della filosofia di Cartesio o
quanto meno di quel meccanicismo che avrebbe nettamente separato - ed insieme “salvato” -
anima e corpo, “res cogitans” e “res extensa»
(19)
.
Ma quest'ottica è troppo unilaterale in sede di storia della filosofia per essere
completamente accettata perché, anche ritenendo valido lo schema che vede nel filosofo
francese il fondatore della filosofia moderna, non bisogna dimenticare che, al di là di questa
pur fondamentale influenza, la trasformazione che subisce la “coscienza europea” nel
Seicento «è il risultato di una serie assai complessa di mutamenti verificatesi in varie regioni
del sapere e dei quali spesso è difficile cogliere l'interdipendenza, nonostante la relativa
contemporaneità»
(20)
.
(16)
J.S. Spink, Il libero pensiero in Francia da Gassendi a Voltaire, cit., p. 81.
(17)
R. Pintard, Le libertinage érudit dans la première moitié du XVIIe siècle, Paris, 1943, p. 644.
(18)
H. Busson, La religion des classiques (1600-1685), Paris, 1948, p. 394.
(19)
T. Gregory, Il libertinismo della prima metà del Seicento. Stato attuale degli studi e prospettive di ricerca,
in Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento, Firenze, La Nuova Italia, 1981,
p.20.
(20)
D. Pastine, Note al “Theophrastus redivivus”, cit., p. 437. Sullo stesso tono si era espresso, a proposito del
Seicento, il Gregory: «in realtà quel secolo portò alla consumazione e alla trasformazione di orizzonti culturali
non solo in quanto fu capace di delineare nuovi mondi fisici e metafisici, ma in quanto - anche attraverso una
nuova utilizzazione dell'antico - riuscì a liberare la cultura da secolari tabù, e ricondurre a limiti e origini
umane scale di valori ritenute intangibili», Theophrastus redivivus, cit., p. 12.
11
Ci troviamo così di fronte ad un nodo problematico che, impostato sulla categoria
“erudizione”, è fondamentale all'interno di tutta la pratica storiografica, laddove si tenga
presente che siamo in un periodo, poco oltre la metà del Seicento, in cui la storiografia
filosofica non si era ancora definita come historia critica ma è tuttavia nella fase
immediatamente precedente: basti pensare come allo stesso 1659 appartenga anche un'opera
che ha posto le fondamenta del nascente genere storiografico, il De scriptoribus historiae
philosophicae di Giovanni Jonsio.
Da questo punto di vista se si indicherà lo schema cartesiano come la pars
construens che imposta, e in un certo senso confina, l'esperienza filosofica “moderna”, allora
alcune tematiche di certo libertinismo, innanzitutto in un'opera quale il Theophrastus
redivivus ne costituiranno la pars denstruens, non soltanto nel senso di una generica, quanto
molto spesso cauta, contrapposizione alla filosofia predominante, ma anche come aperta
sfida teorica alla stessa teologia e, di conseguenza, alle istituzioni politiche che essa supporta
ed alle “superstizioni” che tiene in vita; tant'è che se fosse possibile parlare di una “storia
della filosofia” all'interno dell'opera qui esaminata, la si dovrebbe senz'altro chiamare “storia
dell'ateismo”, che è poi l'esplicito programma dell'anonimo autore
(21)
.
Così nel Theophrastus redivivus l'erudizione risulta essere “ancella” dell'ateismo e
ciò potrebbe essere inteso come un tentativo di liberare la filosofia, a sua volta ancella da
secoli, dalle catene che la legano alla teologia. Tale tentativo troverebbe poi il suo primo
passo nel rovesciamento totale dello schema platonico-occidentale che divide recisamente
l'aletheia dalla doxa.
Laddove Platone poneva l'aletheia come metafisica dell'essere, indicando al filosofo
la via da seguire per avvicinarsi all'ente supremo e relegando così la doxa al grado più basso
della conoscenza, l'anonimo compilatore del Theophrastus sostiene invece essere la
conoscenza sensibile, nella sua dimensione di quotidiana experientia, momento
imprescindibile di ogni conoscenza vera e naturale e ritiene l'aletheia come arma o
strumento tipico di ogni forma di potere - filosofico, politico o sociale
(22)
.
(21)
Infatti nel frontespizio dell'opera, in una frase posta in alto li legge: «Hi omnes negaverunt Dominum et
dixerunt “non est ipse”». Intorno al titolo vi è poi “disegnato” l'albero dei filosofi atei: partendo da
Theophrastus Eresius, attorniato dai nomi di Protagoras, Diagoras, Theodorus Cyrenaeus ed Eumerus Tegaeus,
esso si divarica in due linee verticali e parallele di cui la prima, a sinistra di chi legge, comprende i nomi di
Plato, Epicurus, M.T. Cicero, Plinius Secundus, Galenus, l'altra, a destra, quelli di Aristoteles, Lucretius,
Annaeus Seneca, Lucianus, Sextus Empiricus, per richiudersi infine sul nome di Theophrastus redivivus,
attorniato dai nomi di quattro novatores, Pomponatius, Cardanus, Ioannes Bodinus, Iul. Caes. Vaninus.
(22)
In questo stesso senso afferma D. Pastine: «L'erudizione classica viene utilizzata nel “Theophrastus”
secondo una precisa finalità critica. La storia spirituale dell'umanità ... si sdoppia in linee divergenti e di
valore contrario, l'una racchiudente l'autentica sapienza filosofica, fondata sulla ragione naturale, l'altra
contenente un sapere falso ed ingannatore, diretto a sostenere e rafforzare il potere dell’autorità politica e della
casta sacerdotale sulle plebi credule e ignoranti», in Note al “Theophrastus redivivus”, cit., p. 439.
12
Né ci si trova qui d'accordo con D. Bosco il quale, a proposito dell'impianto
coerentemente naturalistico del manoscritto, avanza l'ipotesi, per lui sicuramente valida ed
applicabile a molte esperienze del libero pensiero, di una “metafisica libertina”: «proprio il
mutamento di cornice e di sostanza, rispetto al naturalismo pomponazziano, o vaniniano, per
restare a due celebri nomi, che spiega il senso e la portata della “metafisicità” del
“Theophrastus”
(23)
.
Certo è innegabile che la “professione di ateismo” del Theophrastus redivivus vada
oltre la posizione di Pomponazzi o di Vanini, tuttavia ci suona strano parlare di una esigenza
metafisica all'interno del discorso dell'anonimo, pur se questa viene intesa a partire
dall'unitarietà dell'argomentazione naturalistica basata su ragione ed esperienza. Ci sembra
piuttosto che per l'anonimo del Theophrastus l'intento primo con cui usa il naturalismo
aristotelico di stampo averroistico sia quello di un avallo ideologico al proprio contributo di
scardinare una filosofia che vuole l'uomo succube di Dio ed al tentativo di stabilire per
questi la possibilità di una vita felicemente terrena: «l'autore del “Theophrastus redivivus”
non si sottrae insomma ad una filosofia consolatoria che è tale in quanto rifiuta il mondo
esterno rinchiudendosi in un aristocratico “bene vivere”»
(24)
. In un certo senso il giudizio del
Bosco, almeno su questo aspetto particolare, ci appare anch'esso legato ad una “prospettiva
cartesiana”
(25)
.
Ma per concludere momentaneamente il discorso sull’erudizione del Theophrastus
redivivus se è giusto parlare di un «limite fondamentale dell'opera, la cui arretratezza non
consiste nell'ignoranza delle prospettive metafisiche aperte dalla filosofia cartesiana o dalla
visione del mondo fisico proposta dalla nuova scienza, ma nel carattere inadeguato del
concetto di esperienza e nella parzialità o unilateralità dell'erudizione»
(26)
, tuttavia ci
sembrano riduttive le conseguenze che lo studioso ne trae.
Infatti che l'erudizione dell'anonimo estensore risulti essere «insufficiente come
contributo alla formazione di un autentico spirito critico nella ricerca storiografica e
nell'analisi dei fenomeni culturali»
(27)
, può apparire un giudizio parziale se si indica la
(23)
D. Bosco, Metamorfosi del ‘libertinage’. La ‘ragione esigente’ e le sue ragioni, Vita e Pensiero, Milano,
1981, p. 190. Al contrario G. Canziani e G. Paganini sostengono, a proposito dell'atteggiamento critico del T.R.,
che quest'ultimo «ben lungi dall'assolutizzare il sensismo in un rinnovato sistema di materialismo metafisico,
preferisce invece servirsene come di un'arma polemica rivolta innanzitutto contro le distorsioni della cultura nelle
quali si consuma l'alienazione della verità naturale», in T.R., Introduzione, p. XXV.
(24)
Lorenzo Bianchi, Libertinismo e ateismo nel Seicento, in “Studi Storici”, XX, 1979, p. 883.
(25)
Afferma ancora Bosco a proposito delle considerazioni filosofico-naturalistiche del T.R.: «il linguaggio e le
tematiche (l'eternità del mondo, l'eternità della materia) si trovano lontane da ciò che cartesianesimo e gassendismo
andavano proponendo nell'esplicazione razionale dell'uomo e dell'universo», in Metamorfosi del ‘libertinage’, cit.
p. 190.
(26)
D. Pastine, Note al “Theophrastus redivivus”, cit., p. 441.
(27)
Ibidem, p. 441.
13
restrizione che in questo contesto subisce il concetto di “spirito critico”; infatti esso viene
collegato solo alle indagini critiche sull'Antico Testamento, nel senso che solamente quando
si sentì la necessità di sottoporre al libero vaglio questo testo sacro con strumenti di natura
empirica, sarebbe venuto a cadere il carattere di autorità del passato.
Proprio nel campo della critica biblica starebbe l'insufficienza dell'erudizione del
Theophrastus redivivus. Tuttavia, anche se l'operazione dell'anonimo autore è essenzialmente
intellettualistica occorre sottolineare come il fatto di scrivere una storia dell'ateismo fosse già
di per sé lavoro di non poco conto, soprattutto se si tiene presente il momento storico in cui
ciò avviene; siamo nella Francia degli anni successivi al fallimento politico della Fronda,
negli anni che si aprono al lungo regno del re Sole e che vedono un mutamento nell'ambiente
culturale parigino.
Si ha perciò l'impressione che l'intento del Theophrastus redivivus non sia
esclusivamente “intellettualistico”: «ancora una volta la “restaurazione” di un patrimonio
antico non risponde solo a una curiosità erudita ma all'esigenza di restituire gli strumenti per
una battaglia culturale quale i tempi richiedono»
(28)
. Da questo punto di vista il Theophrastus
redivivus non risulta essere più «un testo vecchio e attardato su tematiche esclusivamente
erudite, ma piuttosto un'opera radicale, alternativa rispetto ai contemporanei impianti
filosofici e tendenzialmente “eversiva”»
(29)
.
Quindi il Theophrastus redivivus, questa «bibbia del libertinismo»
(30)
, frutto di un
pensatore non certo “minore”
(31)
, si presenta nel vasto programma antireligioso ma anche
politico stricto sensu, come un'opera che porta avanti sia quella filosofia della natura che,
dopo l'instaurarsi della scienza moderna con Cartesio, Galileo, Gassendi, verrà per molti
aspetti relegata nell'alchimia, sia quella “tradizione erudita” che - divenuta nel Seicento
strumento critico efficacissimo - permette un polemico quanto intellettualmente valido
intervento sulla filosofia del passato; inoltre per la sua diffusione clandestina questo
manoscritto «rammenta alla storia del pensiero l'esistenza di minoranze e opposizioni che,
costrette a esprimersi e a comunicare per vie non ufficiali, hanno tuttavia rappresentato
elementi di novità e di precisa influenza culturale»
(32)
.
(28)
T. Gregory, Theophrastus redivivus, cit., p. 12.
(29)
Lorenzo Bianchi, Sapiente e popolo nel “Theophrastus redivivus”, cit., p. 140.
(30)
La significativa espressione di P. Zambelli è nella sua recensione allo studio monografico del Gregory, in
“Annali dell'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze”, IV, 1979, 2, pp. 82-85.
(31)
Interessante quel che sostiene lo Spink al riguardo: «è l'opera di un pensatore possente e sistematico, dotato di
grande rigore intellettuale; da questo punto di vista non ci fu nella Francia del diciassettesimo secolo un
intelletto che potesse competere con lui», in Il libero pensiero in Francia da Gassendi a Voltaire, cit., p. 77.
(32)
Lorenzo Bianchi, Sapiente e popolo nel “Theophrastus redivivus”, cit., p. 164.
14
Nella fattispecie l'influenza culturale esercitata dal Theophrastus redivivus - più
mitica che reale -, soprattutto nel XVIII secolo
(33)
, è dovuta alla forte tensione antifideistica,
materialistica ed ateistica delle argomentazioni presenti nel manoscritto. D'altronde la
polemica antireligiosa, come si è già accennato, rappresenta l'altro aspetto, insieme
all'erudizione, veramente importante dell'opera. Ci troviamo, nel caso del Theophrastus
redivivus, di fronte ad «un'utilizzazione nuova di tutta la tradizione filosofica antica per
ritrovare in essa non più i presupposti e i sostegni della tradizione spiritualista ma i
fondamenti di quella ‘filosofia libera’, ‘empia’, ‘ateistica’»
(34)
.
Dunque quello del Theophrastus redivivus è un che pensiero trova la sua ragion
d'essere propria nella eterodossia religiosa e che permette polemicamente all'anonimo autore
di proseguire la ricerca della ratio naturalis, prima e vera natura dell'uomo, ma ormai
dimenticata e sostituita da una “seconda natura”, vale a dire l'opinione, le leggi, i costumi
della società. La polemica antireligiosa diviene così momento ineludibile di ogni critica della
civiltà proprio perché, grazie all'uso politico che della religione ne hanno fatto i sacerdoti e i
legislatori, accentua il distacco tra credere e intelligere, creando così due ambiti separati e
specifici: l'ambito della superstizione e della credenza, proprio del volgo ignorante, e l'ambito
del potere e della “tradizione”, proprio di chi governa.
In questa fenomenologia del sociale non si trova più alcuno spazio per una saggezza
tutta umana che vuole l'uomo cosciente dei suoi limiti e delle sue possibilità; la divisione tra
uomo e Dio, tra servo e padrone, tra insipiente e filosofo, è innaturale per il Theophrastus
redivivus. E’ presunzione la pretesa di alcuni uomini di sentirsi superiori ad altri così come
sciocca e gravida di conseguenze negative la pretesa superiorità dell'uomo in generale
sull'animale, primato che l'anonimo compilatore combatte riprendendo il confronto uomo-
animale ed usando le stesse fonti classiche già usate da Montaigne nell'Apologia di Raimond
Sebond
(35)
.
Se resta valido l'insegnamento di Pomponazzi secondo cui alcuni individui sono più
vicini alle bestie che agli uomini, tuttavia per il Theophrastus redivivus la natura umana ha
una omogeneità di fondo che soltanto la creazione dei miti religiosi, da parte di pochi politici
astuti, i quali hanno sfruttato la paura originaria dell'uomo di fronte al mondo ed ai suoi
(33)
Su questo aspetto si veda J. Vercruysse, Le “Theophrastus redivivus” au 18° siecle: mithe et realite, in
Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento, cit., pp. 297-303. Per una prima analisi
sulla composizione del T.R. ed i suoi rapporti con altri manoscritti clandestini, si vedano le considerazioni, rivelatesi
in seguito errate, di I.O. Wade, The clandestine organization and diffusion of philosophic ideas in France from
1700 to 1750, Princeton, 1938, pp. 222-228.
(34)
T. Gregory, Theophrastus redivivus, cit., p. 11.
(35)
Su questo punto si vedano i capp. II e III del VI trattato del T.R.
15
fenomeni, ha potuto dividere e diversificare
(36)
. Da un punto di vista strettamente teoretico
si ha nel manoscritto «una demitizzazione che è tanto più radicale in quanto non investe
soltanto aspetti marginali o degenerativi del fenomeno religioso, ma ne aggredisce il nucleo
costitutivo, riportandolo alla sua radice politeistica e superstiziosa»
(37)
. Certo siamo ancora
lontani dalla bayliana “repubblica degli atei” o dalle valenze rivoluzionarie, sia in senso
politico che di sapere religioso, che la polemica antireligiosa assumerà nel primo illuminismo
francese; vi è però - aristocraticamente - nel pensiero del Theophrastus redivivus una “via
alla saggezza”, un percorso filosofico su cui si era già incamminato lo scetticismo
montaignano un secolo prima.
E se da un lato viene meno l'aspetto fideistico presente nell'autore degli Essays,
dall'altro lato vi si consolida invece il conservatorismo, l'isolamento dalla società e dalle sfere
del potere, la volontà di ritirarsi in un mondo impolitico, rarefatto, culturalmente rivolto
verso la classicità, una classicità tuttavia che ha perso quelle istanze progressiste che
l'avevano caratterizzata come “umanesimo” nell'età rinascimentale per trasformarsi in un
amore del mondo classico che «è più simile a una fuga che al raggiungimento di una ‘ratio
naturalis’ e la meditazione sui luoghi classici, stoici ed epicurei, relativi alla condizione del
sapiente si scontra con una realtà sociale che si vuole rifiutare»
(38)
.
Torna qui a proposito il giudizio di chi ha visto nel Theophrastus «un tipico
intellettuale eterodosso del ‘grand siècle’, espressione di un’ottica dissociata, che da un lato
rivendica al saggio una nuova libertà di giudizio e di critica, e, dall'altro, si piega sul piano
esterno ad accettare la logica e la prassi del potere assoluto come garanzia di pacifica
convivenza»
(39)
.
La critica alle religioni stabilite risulta così essere, il nodo centrale, la linea di
sviluppo fondamentale dell'argomentare dell'anonimo autore non solo da un punto di vista
teoretico, che vede l'ateismo come la matrice in cui collocare la sapienza filosofica
dell'uomo, ma anche da un punto di vista storico-filosofico, nel senso che proprio in questo
ambito si può maggiormente notare l'utilizzo di alcuni topoi ormai classici della critica
eterodossa religiosa nel Seicento.
(36)
Rispetto al tema della “conoscenza umana” presente nel manoscritto, scrivono i due curatori: «al principio di
autorità si contrappongono dunque l'egualitarismo sul piano delle comuni facoltà di apprensione empirica e il
richiamo, sempre energico ed insistito, alla responsabilità del singolo nella ricerca e nella verifica delle proprie
conoscenze», in T.R., Introduzione, cit., p. XIX.
(37)
Ibidem, p. XXXI.
(38)
Lorenzo Bianchi, Sapiente e popolo nel “Theophrastus redivivus”, cit. p. 151.
(39)
A.M. Battista, Psicologia e politica nella cultura eterodossa francese del Seicento, in Ricerche su letteratura
libertina e letteratura clandestina nel Seicento, cit., p. 231. Per questo aspetto resta fondamentale il saggio, della
stessa autrice, Come giudicano la ‘politica’ libertini e moralisti nella Francia del Seicento, in Il libertinismo in
Europa, a cura di S. Bertelli, Ricciardi, Napoli, 1980, pp. 25-80.