Il fatto che al settore siano collegati anche soggetti apparentemente distanti
dalla musica pone dei quesiti e fa fiorire molte contraddizioni nel rapporto tra la
musica e la sua commercializzazione; complica notevolmente l’intreccio tra gli attori
dell’industria e i consumatori, tra l’arte e gli interessi alla stessa legati.
Mentre le tradizionali case discografiche continuano la loro lotta disperata alla
musica illegale, attaccando i loro stessi consumatori, allo stesso tempo iniziano ad
arrendersi alla consapevolezza dell'enorme potenziale di sviluppo legato alle nuove
tecnologie.
Il consumatore, infatti, è sempre più orientato alla convenienza, intesa come
qualità e servizio a costi accessibili ed ha affinato notevolmente le sue capacità di
selezione di prodotti musicali. Pretende che la musica digitale porti con sé la
possibilità di scelta, la libertà di utilizzo.
Le recenti statistiche dimostrano che gran parte dei consumatori, benché
'viziati' finora dalla gratuità della musica in Rete, è disposta a pagare per un servizio
on-line: le richieste sono per lo più ancora vincolate alla logica di possesso, ereditata
dalla prima diffusione gratuita di files tramite Internet, ma già molti fruitori
richiedono un servizio vero e proprio, un’esperienza musicale totale più articolata
della semplice vendita di brani tramite Internet. Questi ultimi ricercano quindi non
soltanto un prodotto, ma un evento, che li ponga in diretto contatto con l'artista,
disintermediando le case discografiche.
In effetti, nella crisi mondiale della musica registrata, la musica live
ultimamente ha goduto di buona salute, a testimoniare il desiderio del pubblico di
sentirsi parte di un evento unico, e di una comunità, secondo la spinta di
aggregazione che la musica dall'inizio degli anni Settanta ha un po' perso, all'insegna
della facile commercializzazione di suoni senza identità, con ciclo di vita tipico di
prodotti 'usa e getta'.
Ora si avvertono anche per il comparto live i primi sintomi di una crisi
inevitabile di vendite, dovuta a un aumento sconsiderato dei prezzi dei concerti.
Il fenomeno, primariamente, è da collegarsi con l’ingresso nel business degli
spettacoli dal vivo di colossi che operano a livello internazionale nel settore
dell’entertainment. Tutto ciò accade proprio mentre, specialmente in Italia, si
moltiplicano i concerti gratuiti organizzati e finanziati a scopo promozionale da
grandi imprese esterne al settore, in particolare compagnie telefoniche.
Le case discografiche e gli altri nuovi competitors stanno comprendendo
come il consumatore dimostri la propria indifferenza verso un prodotto che non si
rinnova, che propone copie diffuse di musica senza personalità e senza creatività, e
chiede a gran voce innovazione e verità (la musica live è vissuta in questo senso come
redenzione, come rapporto diretto con l'artista, che è l'unico 'marchio' percepito dai
fruitori).
La creatività di cui i colossi multinazionali difettano, d'altra parte, è coltivata
dalle piccole etichette indipendenti, che per molti anni sono rimaste isolate nello
scoprire nuovi talenti, non potendo beneficiare della promozione necessaria per
imporsi sul mercato. Le majors, in antitesi, cercano di spremere selvaggiamente un
settore maturo a cui hanno imposto, nei limiti dello spazio operativo di cui godono,
regole strettissime, a discapito dell'innovazione.
Tuttavia, le etichette indipendenti guadagnano posizioni importanti sul
mercato, e, grazie alla loro flessibilità e vicinanza al consumatore, stanno
raccogliendo molti favori anche da parte di artisti affermati che vogliono rilanciare la
propria creatività, soffocata precedentemente dalle logiche troppo stringenti di
massimizzazione del profitto della grande macchina discografica.
Nonostante le multinazionali cerchino di integrare le regole del nuovo modo
di fruire la musica, operano sostanzialmente quasi solo a livello di ristrutturazioni
interne, con progetti di fusione, cambi di proprietà, outsourcing, flessibilizzazione
delle loro strutture pesantemente burocratizzate, a fronte di una concorrenza esterna
ben più preparata all'imminente scontro nel Web.
Il futuro è quindi già arrivato per il settore musicale, si tratta di attendere
un'organica legislazione che permetta di tutelare il copyright e di gestirne
modernamente gli aspetti economici in Internet: la tecnologia è infatti già pronta ad
essere utilizzata.
Legato alla tutela dei contenuti è il tema della pirateria, su Internet e di
supporti fisici. Viene spontaneo chiedersi se questa piaga, da un qualche punto di
vista, sia la risposta dei consumatori, discorso etico a parte, a una domanda inevasa,
cui l'offerta ha cercato di imporre i prodotti, senza ascoltare le reali esigenze di un
pubblico che continua a urlare le proprie ragioni legittime, ma anche il suo
entusiasmo per la musica, quanto mai popolare anche in questi anni disgraziati per
l'industria musicale.
La presente ricerca si propone di analizzare dettagliatamente i temi cruciali
che infittiscono le problematiche di un settore che si fonda su delle contraddizioni
originali, nel commerciare prodotti artistici. Valuterà la struttura del settore
fonografico, sia da un punto di vista statico che dinamico, in Italia e a livello
mondiale.
Si augura, così, di riuscire a illustrare in quale modo la fruizione e la
diffusione di musica sia cambiata, e come potrebbe cambiare, alla luce dei profondi
sconvolgimenti dovuti all’ingresso di nuove tecnologie e di nuove figure
concorrenziali, alla nascita di nuove opportunità, ma anche di minacce per gli
operatori e per l’arte.
Si occuperà poi dei problemi, stagnanti o emergenti, connessi all’industria
musicale: la pirateria e la necessità di una legislazione specifica per il nuovo modo in
cui è concepita la vendita di musica, la ricerca di uno standard tecnologico, la
necessità di un intervento statale, ecc..
La ricerca di linee guida per le case discografiche indipendenti cercherà di
evidenziare in maniera essenziale l'esigenza di elaborare strategie competitive per
non seppellire la creatività di cui sono portatrici, da un lato, in Internet, dove la
confusione del cambiamento si può tradurre in minor visibilità, dall'altro, nel settore
tradizionale, dove la musica circola sempre più secondo le leggi dei profitti derivanti
da alta rotazione del prodotto. Per questo, l’analisi si avvale del contributo di alcune
tra le realtà più importanti della musica indipendente in Italia.
In tutto questo, l'obiettivo è di fornire diverse prospettive, riferite alla
configurazione del settore, alle realtà che tradizionalmente operano al suo interno, e
alle nuove tendenze tracciate dal cambiamento. L’analisi di tutti questi aspetti
confluirà in linee strategiche da adottare per l’industria musicale, tenendo conto dei
contributi dati dai consumatori, nella loro ricerca delle opportunità più convenienti e
nella loro vocazione ad essere parte attiva (meglio, interattiva) nella nuova catena del
valore del prodotto-evento musica.
Ho scelto di prefiggermi questo obiettivo perché la musica è una delle mie
passioni più avvolgenti, passione completata da altri ambiti in cui è espressa
l'affascinante divinizzazione dell'umano, come nella cinematografia o nei libri più
classici. Con la piena consapevolezza che la musica di qualità, sia da un punto di
vista tecnico che emozionale, ha perduto di visibilità, ritengo che Internet possa
essere una minaccia per la creatività e per l'arte, ma, mi auguro, soprattutto una
grande opportunità. Ed è proprio questo che tramite la ricerca mi preme conoscere,
perché il bisogno di musica, di natura e silenzio è essenziale nella società
contemporanea, dove il più delle volte anche la comunicazione tra persone è vuota e
stanca, come un suono divino cui è stata sottratta l’anima.
Secondo Hegel, la soluzione migliore per imparare a nuotare non è quella di
attardarsi nella disquisizione dei preliminari, ma di buttarsi in acqua appena possibile.
Questa idea è tradotta, in questo caso, nella mia consapevolezza riguardo la presenza
di inevitabili lacune, che derivano dall’affrontare un argomento, vasto e stimolante,
senza poterne ancora cogliere l’essenza direttamente, attraverso l’esperienza.
Il presente lavoro ha tuttavia aperto innanzi a me nuovi sentieri conoscitivi da
esplorare, per cui considero il tempo che ho dedicato alla ricerca come fondamentale
per l’assorbimento di nuovi punti di vista.
Capitolo 1 – ELEMENTI INTRODUTTIVI
1.1 TEMPO LIBERO
L'industria musicale nasce per soddisfare le svariate esigenze avvertite dai
fruitori di musica. Si tratta di esigenze culturali, sociali o legate all'intrattenimento. Più in
generale, l'industria creativa si è sviluppata in concomitanza con i fattori caratterizzanti
la società post-industriale. Fattori quali l'aumento del reddito medio, l'accresciuto livello
di istruzione, la disponibilità alla mobilità, l'allungamento della vita media hanno
consentito agli individui modelli diversi di fruizione del loro tempo libero.
In prima approssimazione, per tempo libero si intende il tempo non
lavorativo. Il concetto viene definito tramite formula negatoria e residuale, ossia
l'assenza di lavoro. Sennonché questa definizione non può ritenersi completamente
soddisfacente riferita alla situazione attuale, in cui la flessibilizzazione delle forme
lavorative ha chiaramente messo in discussione la contrapposizione dicotomica tra
lavoro e non lavoro. La giornata lavorativa di gran parte degli individui risulta
frammentata in molti intervalli differenti tra loro, e il tempo libero diventa così una
somma di molti momenti che si accumulano durante la giornata.
Alla luce di questi fatti, è decisamente preferibile rivisitare il concetto
parlando di complementarietà al lavoro, piuttosto che assenza di lavoro. Queste
considerazioni, analizzate in riferimento alle mutate condizioni della società, ai
diversi modelli di consumo, ed, in generale, ad un aumento del benessere, portano a
riconoscere al tempo libero una crescente rilevanza economica. Esso viene sempre
più considerato come una risorsa scarsa per la quale gli individui sono disposti a
pagare, sia per averne disponibilità, sia per impiegarla nel modo migliore possibile.
Il valore del tempo libero è in deciso aumento, come dimostrano le crescenti
spese per attività di svago e di cultura, ma anche la tecnologia, che permette di
usufruire degli spazi lasciati al tempo libero lontano da casa, tempio in cui
tradizionalmente venivano celebrate quasi tutte le attività non lavorative.
Il settore del tempo libero è soggetto dunque a confini incerti e mutabili, e
difficilmente classificabile in base a proprie specificità. D'altro canto non è negabile
un processo di sviluppo e riorganizzazione in atto all'interno delle istituzioni, degli
organismi e delle aziende del tempo libero, la progressiva integrazione tra i vari
comparti produttivi legati al settore, e la loro confluenza in un'unica industria, in virtù
non solo della rivoluzione digitale, ma della posizione centrale rivestita dalla
domanda. Quest'ultimo fatto è di particolare rilievo in quanto capovolge le
metodologie di analisi tradizionale, essendo la domanda, e non l'offerta, a definire il
settore (C. Canali, 2002).
L'industria della creatività ha dunque l'obbligo di trovare un approccio
creativo nell'implementazione di linee strategiche basate sul consumatore, che in tale
ambito ha dimostrato di essere particolarmente sensibile all'innovazione e ai nuovi
modelli di fruizione del suo tempo. Questi devono rispondere ai requisiti di qualità e
flessibilità, sempre nell'ottica della convenienza.
1.2 PRINCIPI GENERALI DEI SETTORI DELLA CREATIVITA’
I settori della creatività, che producono e distribuiscono prodotti e servizi cui
viene in generale associato un valore culturale, artistico, o semplicemente di svago,
sono spesso stati ignorati dagli economisti, in quanto difficilmente osservabili e
quantificabili sulla base di osservazioni scientifiche e soggetti spesso a proprie regole
differenti, che contraddicono o non rispondono pienamente alle teorie economiche
più obiettive.
Le proprietà economiche dei settori creativi possono essere riassunte,
essenzialmente, nelle seguenti (R. E. Caves, 2001):
a) centralità e incertezza della domanda
b) collaborazione tra soggetti creativi e non creativi
c) differenziazione dei prodotti
d) durabilità dei prodotti e delle rendite
Esiste una notevole incertezza associata al valore assegnato dai consumatori
ad un nuovo prodotto creativo, a seguito della produzione del bene e sua
distribuzione ai consumatori. Questo potrebbe infatti incontrare un enorme successo e
ottenere ricavi ben superiori al costo di produzione, ovvero non riscuotere
minimamente giudizi positivi e vanificare la portata di investimenti non recuperabili.
Le ricerche ex ante risultano in gran misura inefficaci, dal momento che il successo di
un prodotto creativo riesce raramente a essere spiegato anche ex post attraverso la
soddisfazione di un bisogno preesistente.
La centralità della domanda viene spiegata quindi dal fatto che un prodotto
creativo si presenta come un bene di esperienza ed il consumatore ne decreta la
'qualità', a volte in maniera molto discorde dai giudizi dei critici e degli esperti.
Costoro si esprimono tecnicamente, tralasciando spesso le infinite variabili
emozionali e il veicolo di immagine che il prodotto introduce nella società creando un
valore autonomo, spesso svincolato dall'ammontare degli investimenti effettuati o dai
costi di produzione sostenuti.
Un aspetto non secondario riguarda poi, accanto all'opera dell'artista,
l'impiego di competenze eterogenee, che vanno dalla produzione alla distribuzione e
promozione dell'opera stessa, e ne permettono un ritorno economico che gli operatori
si augurano sia fonte di profitto. Il processo eterogeneo avviene nell'ottica della
cooperazione: un soggetto comunemente interessato al contenuto della sua opera
(artista) collabora con soggetti che forniscono altri input necessari per l'ottenimento
di un output commercializzabile, secondo la logica del contratto.
Nella discografia, per esempio, esistono varie forme di contratto che legano le
case discografiche all'artista. La difficoltà è insita nella ricerca del compromesso tra
la pienezza espressiva dell'artista e le convinzioni commerciali dei produttori (che a
volte sono anche distributori e promotori). Il dubbio dell'artista che si vede rifiutare o
modificare parte dell'opera si scontra spesso con la sua mancanza di risorse per curare
il lato non artistico di marketing, e rifiutare il compromesso come principio allontana
la possibilità di concludere il migliore accordo possibile. Senza dubbio, molto
dipende dal potere contrattuale raggiunto dagli artisti.
Celebre fu il caso di Bohemian Rhapsody dei Queen, brano di 6 minuti che
nel 1975 il gruppo volle a tutti i costi pubblicare come singolo a fronte delle
resistenze della EMI, la quale cedette alla ostinatezza di musicisti che stavano
conquistando il mondo sulle onde di un rock potente e raffinato (J. Gunn-J. Jenkins,
1992).
Quando un prodotto creativo raggiunge il mercato e il giudizio dei
consumatori, il valore assegnato viene solitamente messo in relazione a quello di
prodotti culturali simili ad esso. Dopo aver acquistato due prodotti, i consumatori
possono concordare che il prodotto A è migliore di B. Se entrambi hanno lo stesso
prezzo, nessuno comprerà B. In questo caso i prodotti creativi sono differenziati
verticalmente. I prodotti creativi differiscono però anche in base a caratteristiche che
sono indipendenti dal giudizio del consumatore espresso nei termini consueti di
'qualità del prodotto'. Possono essere caratteristiche emozionali, estetiche, status
symbol, e differenziano i prodotti orizzontalmente. Se due prodotti differenziati
orizzontalmente verranno venduti allo stesso prezzo, alcuni consumatori preferiranno
il primo, alcuni il secondo. In generale, i prodotti creativi mostrano una combinazione
di differenziazione verticale ed orizzontale, e quante più sono le dimensioni della
differenziazione, tanto più la differenziazione tende ad essere orizzontale: ci sono
infatti molte ragioni diverse e soggettive per preferire un prodotto all'altro. La
proprietà qui descritta viene definita della 'varietà infinita', e viene analizzata per
richiamare l'universo di possibilità tra le quali l'artista compie le proprie scelte
creative, oppure l'insieme dei prodotti creativi tra i quali i consumatori si trovano a
scegliere.
L'ultimo aspetto da considerare è temporale. Molti prodotti creativi sono
durevoli anche per lungo tempo dopo la loro composizione, e possono essere oggetto
di rendite e royalties a beneficio dell'artista, legate alla durata del diritto d'autore. Il
fatto che la remunerazione della rendita venga corrisposta attraverso numerosi
'versamenti' è un aspetto fondamentale per l'artista. Per esempio la storia della musica
è ricca di episodi che vedono canzoni ritornare popolari dopo molti anni dalla loro
pubblicazione originaria permettendo agli artisti di godere di guadagni aggiuntivi
senza ulteriore lavoro. Un esempio riguarda il brano 'Breathe' di Midge Ure, che
legato nel 1998 allo spot della compagnia Swatch (la canzone è del 1994), generò
reddito ulteriore per il cantante, attraverso i diritti connessi alla licenza e a un
prepotente ritorno in classifica
1
.
Un'ultima considerazione riguardante la durata del ciclo di vita dei prodotti si
fonda sulla distinzione introdotta da Herbert J. Gans tra 'arte colta' e 'arte popolare'.
Egli ritiene che i produttori di arte colta si impegnino in un processo complesso e
innovativo, in cui la reazione diretta e soggettiva del consumatore non incide sul ciclo
di vita di un opera destinata ad essere apprezzata in maniera continuativa da una
nicchia con elevata cultura e a rimanere universalmente valida nel tempo.
Dall'altro lato, l'arte popolare, o Kitsch, è rappresentata da prodotti che
raggiungono presto la fase di maturità, sono facili da apprezzare e discendono da
precedenti innovazioni creative, per cui sono soggetti ad un ricambio frenetico sul
mercato. Nonostante questo, le strutture organizzative e i processi sociali che
avvolgono queste due differenti forme d'arte non sono strutturalmente diverse (H. J.
Gans, 1974).
Al di là di ogni classificazione, il mercato ha spesso smentito ogni
teorizzazione sul prodotto creativo. Punto fermo rimane la domanda, che seleziona, a
volte in maniera sorprendente, i prodotti creativi di successo.
1
http://www.musicboom.it/mostra_recensioni.php?Unico=20030118010750.
2.2 I QUATTRO LIVELLI DEL MERCATO
Il settore in questione si presta ad essere considerato come un caso unico e
come esempio di settore globale e tendente alla digitalizzazione dei prodotti.
L'industria della musica si era posta, ai tempi del fonografo, come anticipatrice dei
consumi di massa e ora si pone come paradigma di una nuova concorrenza che
proprio nel 2004 inizierà a confrontarsi con decisione sul web.
La premessa che va fatta in questo ambito coinvolge la trasversalità e il valore
della musica al di là della stretta definizione di prodotto. Si può affermare, infatti, che
la musica coinvolge quattro livelli di mercato, assunto necessario per comprendere la
circoscrizione del settore.
Questa ripartizione si basa sul fatto che il consumo musicale coinvolge e
rafforza anche i fatturati di una serie di operatori che, molte volte, si occupano di
prodotti merceologicamente non affini al prodotto musica, grazie alla proiezione e
allo sfruttamento dell'immagine dei 'miti' che questa è tradizionalmente capace di
generare (M. Scialò, 2003).
Nella fattispecie, si considerano quattro categorie di consumo che
progressivamente si allontanano dalla musica come core business, non senza
influenzare le dinamiche delle imprese dei livelli 'inferiori'.
Il mercato di primo livello comprende tutti i prodotti industriali e i servizi
legati in modo diretto all'attività del settore musicale. Sono inclusi nella categoria i
dischi, i videoclip, l'attività dei musicisti, il diritto d'autore, di edizione e
distribuzione, i CD-ROM e i DVD degli artisti, i concerti e gli eventi ai quali gli
artisti prendono parte, il merchandising e così via. Si tratta di una serie di prodotti
rivolti ad un consumatore che, nella sua genericità, è interessato ad acquistare
direttamente musica nelle sue varie forme e di tutte le problematiche strettamente
connesse.
Il mercato di secondo livello si compone di servizi e manufatti necessari alla
realizzazione di prodotti di primo livello. Si tratta di quelle aziende che si occupano
della progettazione e produzione delle attrezzature necessarie alla registrazione e
stampa di dischi, della produzione e commercializzazione di strumenti musicali, delle
forniture di supporti logistici fino all'ideazione di campagne di marketing per i clienti
compresi nel mercato di primo livello.
Il terzo livello di mercato è rappresentato da beni che non hanno alcuna
affinità merceologica con la musica, ma, rivolgendosi agli stessi gruppi di consumo,
necessitano delle spinte di immagine offerte dalla visibilità del sistema-spettacolo per
caratterizzare e vendere i loro prodotti. Essendo questa una categoria di mercato di
dimensioni ben più vaste della categoria di primo livello, paradossalmente
un'ipotetica dismissione dell'attività discografica colpirebbe in misura maggiore gli
operatori di questo terzo settore, benché non direttamente, ma tramite un riflesso
d'immagine e la conseguente influenza sui ritorni economici.
Il quarto livello, infine, è caratterizzato da prodotti che non condividono il
target delle produzioni musicali. Prodotti quali l'auto, la moda, le assicurazioni si
rivolgono a individui tra i 25 e i 60 anni, e non certo ai teenagers, cui è destinata gran
parte della produzione musicale contemporanea. Il sottile filo che lega questi due
mondi apparentemente antitetici va ricercato nel messaggio che una stella della
musica porta indirettamente a chi di musica non si interessa. Specialmente artisti rock
hanno saputo trasmettere le idee di avversione alla quotidianità, di perenne
giovinezza che si erge innanzi allo scorrere del tempo. Questo può essere, in
definitiva, il messaggio che il rock veicola a chi di rock, inteso come genere
musicale, non si interessa, manifestando la capacità della musica di ammaliare
indirettamente individui ben lontani dal segmento di riferimento. Esempi di
operazioni di questo tipo sono stati l'associazione del nome e del logo Pink Floyd ad
un modello Wolkswagen a metà degli anni Novanta, l'associazione del marchio MTV
ad un modello Renault, e, più di recente, l'utilizzo di un testimonial legato allo star
system come Robbie Williams per promuovere la Smart Mercedes.
Riguardo i legami teorizzati precedentemente tra musica e altri consumi, si
può portare l'evidenza di come Elvis Presley cambiò nei giovani di allora la
propensione ad acquistare prodotti che l'artista americano 'pubblicizzava'
congiuntamente all'immagine di 'mito' creata dalla sua forte personalità.
Gli anni Cinquanta-Sessanta segnano nella cultura americana e inglese la
presa di coscienza dei giovani come realtà sociale, che necessita di esprimere
l'autonomia dai genitori, come raggiunta maturità sessuale, attraverso il consumo e il
possesso di oggetti tangibili, che fungano da riferimento per il gruppo. La pubblicità
inizia a orientarsi ai giovani proponendo nuovi modelli di piacere, ovviamente
attraverso il consumo di beni quali jeans, motociclette, automobili.
In questo contesto si colloca uno dei miti del rock'n'roll, capace di rinnovare e
dare slancio ad una nuova via di interpretare la musica, ma anche di impersonificare
le ambizioni dei giovani del tempo, dando loro un riferimento di grande personalità
scenica, di movimento e di liberazione sessuale. Il modo con cui Elvis si presentava
in scena, il suo abbigliamento, i suoi movimenti erano parte di un'arte complessa, di
cui la musica sembrava rivestire le sembianze di colonna sonora. Un grande artista
come Elvis divenne quindi il profeta di un messaggio pubblicitario strettamente
legato alla sua immagine.
Il consumo di jeans crebbe vertiginosamente, con cifre ben più cospicue dei
dati di vendita dei suoi dischi. Egli divenne di fatto il volano pubblicitario di prodotti
diversi dal prodotto musica, un catalizzatore di attenzione mondiale sufficientemente
massificata da attirare l'interesse di molte imprese, il cui target coincideva con i
seguaci del mito. ”Per quanto sia difficile ricomporre in modo accurato il peso
finanziario dell'intera produzione del 're del rock'n'roll', non è avventato ipotizzare
che, data base 100 all'intero valore della produzione discografica e concertistica di
Elvis, le aziende produttrici di jeans e di altri capi di abbigliamento da lui
'candidamente' indossati, possano avere ottenuto, come esclusiva conseguenza del
suo successo 'artistico', un incremento di fatturato di 1200-1500. In altre parole,
mentre discografici, artisti, radio, case di produzione, giornalisti specializzati e media
erano impegnati in un imponente sforzo di esaltazione o critica feroce del fenomeno,
aziende assolutamente esterne all'ambito della produzione artistica raccoglievano i
frutti reali del modello che era stato generato. In fondo, secondo dati più agevolmente
riscontrabili, nel 1999 l'intero fatturato dell'industria discografica italiana è stato
inferiore di quattro volte a quello di un'unica marca di occhiali da sole che ha lanciato
un modello di montatura con il nome di una star del rock” (M. Scialò, 2003, p. 64).
La contraddizione originale è insita in quella convinzione comune per cui l’industria
culturale produce un filtro che impedisce al talento e alla cultura di esprimere la loro
dimensione più alta. Il processo attraverso cui tale contraddizione si palesa può essere
riassunto in tre fasi (M. Scialò, 2003):
a) gli osservatori (critici, consumatori) mettono a confronto il modesto valore
artistico di una star che ha raggiunto la celebrità con il valore, oggettivamente
superiore, di altri artisti relegati ai margini del mercato.
b) nel valutare l’iniquità si rivolgono a chi apparentemente opera la scelta,
ossia le majors discografiche. Gli osservatori sono convinti che chi opera all’interno
delle imprese del settore sia in grado, sulla base di un giudizio analogo, di
riconoscere oggettivamente la contraddizione tra il valore artistico di alcuni autori
trascurati dalle grandi labels e gli investimenti effettuati a vantaggio di artisti di
modesto livello. La conseguenza è la convinzione che le scelte dell’industria vengano
effettuate non solo sulla scorta dell’interesse economico, ma, addirittura, a pieno
discapito della diffusione di cultura. Majors e società organizzatrici, secondo questa
analisi, pongono il fine lucrativo al di sopra di ogni considerazione di carattere
artistico, limitando le potenzialità di espressione culturale virtualmente presenti nella
società.
c) Se le majors sono l’elemento centrale di tale sistema e limitano il positivo
evolversi della qualità dell’arte, il ridimensionamento del modello industriale da esse
rappresentato può liberare le forze di talenti, costretti finora all’anonimato dalle
grandi case discografiche.
Al di là delle evidenti colpe delle multinazionali del disco, per spiegare la
contraddizione bisogna andare oltre il settore in cui operano le industrie ‘di primo
livello’. Nel pop e nel rock il successo di pubblico è parte integrante del fenomeno.
L’importanza di un’opera mantiene una potente relazione con la sua capacità di
penetrazione presso i consumatori. Tuttavia, tale capacità è quantificabile in termini
commerciali.
Quindi, “l’industria della musica leggera, in definitiva, non assolverebbe alle
sue funzioni se si limitasse a operare le proprie scelte sulla base di considerazioni
prettamente artistiche, poiché il compito che l’intero sistema economico affida agli
operatori delle industrie di primo livello è di produrre nuovi linguaggi di massa
utilizzabili a fini promozionali o di induzione al consumo nel modo più rapido,
penetrante ed efficace possibile” (M. Scialò, 2003, p. 186). Le aziende di terzo o
quarto livello affidano agli artisti famosi il compito di comunicare ai consumatori,
con un linguaggio anche lontano da valutazioni di carattere artistico o culturale.
La contraddizione è identificabile, in realtà, nel desiderio di vedere alcuni
autori o musicisti di talento diventare delle vere e proprie star, in forza del solo
valore artistico. Non si può tuttavia ritenere che esista una relazione tra l’arte e la sua
quotazione: come un vero artista non ha alcuna necessità del successo commerciale
per esprimere il valore della sua opera, così una grande star della musica non
eserciterà un’influenza decisiva sulla storia dell’arte esclusivamente grazie al
successo di vendite e di pubblico.