9
Rispettando tale logica espositiva nel primo capitolo, dopo aver
individuato le principali cause del dissesto, si sono delineate i tratti
essenziali del processo di aziendalizzazione, avviato con la legge
142/90, soffermandosi su quei provvedimenti miranti all’acquisizione
e all’utilizzo di quegli strumenti contabili capaci di razionalizzare la
gestione delle risorse pubbliche.
Le molteplici lacune soprattutto contabili che, di fatto, non
hanno consentito l’avvio del sistema verso l’economicità di gestione
più volte richiamata dalla l. 142/90, vengono finalmente rimosse con il
decreto 77/95 le cui principali novità, per alcuni aspetti in maniera
approfondita, vengono illustrate e discusse nel secondo capitolo.
Benché le potenzialità applicative delle innovazioni introdotte
permettano un decisivo passo in avanti per il perseguimento della
razionalità di gestione, numerose appaiono le incongruenze che,
paradossalmente, non permettono alle finalità volute dal legislatore di
essere perseguite attraverso gli strumenti all’uopo previsti.
Nel capitolo terzo affrontando tali aspetti, a volte non
considerate adeguatamente né dalla teoria né dalla prassi, emerge
palesemente come il riscontrato gap tra finalità e strumenti sia
essenzialmente dovuto alla scarsa conoscenza e considerazione della
realtà in cui gli Enti sono chiamati ad operare. Il rischio che le
strumentazioni contabili introdotte col decreto e le relative proposte di
miglioramento, potrebbero tradursi semplicemente in nuovi fardelli
formali a cui adempiere, è sicuramente elevato.
In conclusione ciò che si rimarca nella parte finale, è che non si
avrà nessun recupero di economicità se prima non si soppianterà la
cultura burocratico – amministrativa con una orientata ai risultati.
10
CAPITOLO PRIMO
IL PROCESSO DI RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI
1.1 L'esigenza di cambiamento delle Amministrazioni pubbliche
Nell’attuale contesto economico e sociale, l'Ente Locale appare
tra gli organismi aziendali più aperti nei confronti dell'ambiente
esterno. La dinamicità ambientale tradottasi in un aumento della
quantità, qualità e tipologia dei beni e servizi richiesti dai cittadini, ha
inevitabilmente sancito il passaggio da una finanza neutrale ad una
funzionale ampliandone enormemente la sfera d'intervento.
Tuttavia il grado di recepimento dei segnali provenienti
dall'esterno è stato basso, provocando una disincronia, un gap, tra
l'azione dell'ente ed i bisogni avvertiti dai cittadini e dal sistema
produttivo locale.
Lo stato dei servizi pubblici è additato dai molti come una delle
principali cause del ritardo nello sviluppo economico e sociale del
nostro paese; non casualmente gli standard e le prestazioni dell'Italia
sono spesso inferiori a quelli dei nostri patners CEE.
1
Con l'attuale
processo d’integrazione europea nuovi ed impegnativi compiti si
aggiungeranno ai vecchi e il sistema produttivo dovrà poter contare
1
Cfr. Anselmi L., Torino, 1995.
11
ancor più sulla presenza di servizi pubblici adeguati alle mutate
condizioni concorrenziali. Si è così evidenziata l'esigenza di superare
finalmente le ormai antiquate concezioni amministrative - contabili,
avviando un cambiamento gestionale che permettesse la
razionalizzazione del settore attraverso il perseguimento
dell'economicità dell'azione svolta.
A tal punto sembra quanto mai opportuno effettuare una
precisazione sui concetti di economicità e profitto. Tradizionalmente
dal punto di vista economico-aziendale si distinguono, in base al fine
perseguito, le aziende di erogazione da quelle di produzione
2
: le prime
mirano alla soddisfazione dei bisogni dei soggetti di riferimento
mentre le seconde alla massimizzazione del profitto.
Tali fini però, non vanno confusi col fine unico aziendale,
sovraordinato a quello del soggetto economico, e consistente
nell'economicità della gestione. Questo significa che la gestione deve
creare una quantità di ricchezza superiore a quella che vi è stata
immessa.
Nel caso contrario la persistente diseconomicità provocherebbe
la dissoluzione della struttura aziendale, in quanto la reintegrazione da
parte di terze economie non potrebbe avvenire incondizionatamente e
sistematicamente. Se un favorevole rapporto tra costi e ricavi manca,
nel breve termine o con riferimento alla conduzione di un servizio,
certamente deve aversi nel lungo termine e/o con riferimento
all'insieme delle attività svolte. L'economicità conduce quindi ad unità
le varie espressioni del fenomeno azienda, in quanto l'esigenza
2
Si veda Giunta F., 1995, pag. 8.
12
fondamentale di ogni sistema è di perdurare, sopravvivere nel tempo,
al fine di raggiungere
3
gli obiettivi per cui è stato creato. Chi confonde
il concetto di economicità con quello del profitto, afferma che
l’economicità contrasta con la socialità del servizio; al contrario la
prima è strumentale per il conseguimento della seconda.
L'operare in armonia con i principi dell'economia aziendale,
utilizzare le risorse in modo razionale, è senza dubbio fattore di
socialità in quanto così si assicura una migliore qualità dei servizi ed
un accrescimento della ricchezza della collettività globalmente intesa
(si veda a tal proposito la figura 1.1).
1.2 Le cause del dissesto
Nella ricerca delle cause della situazione di diseconomicità
degli enti locali, numerosi sono i fattori che hanno impedito o
impediscono tuttora lo svolgimento delle attività in modo efficiente ed
efficace. Brevemente e senza alcuna pretesa di esaustività si vuol
evidenziare che:
ξ l'orientamento concettuale di carattere burocratico
amministrativo, indotto dal sistema di finanza derivata appare alla luce
delle conseguenze provocate, l'origine di tutti i mali della pubblica
amministrazione. Come avremo modo di esaminare, non solo si è
indirizzato l'attenzione delle amministrazioni verso gli aspetti formali
e giuridico – legali ma si è soffocata la crescita di una cultura
3
Cfr. Zappa G., 1961.
13
Figura1.1 – IL ciclo dell’economicità
RAZIONALE UTILIZZO DELLE RISORSE
MAGGIORI SOPRAVVIVVENZA
RISORSE E SVILUPPO
INCREMENTO MIGLIORAMENTO
DOMANDA SERVIZIO
MAGGIORE SODDISFAZIONE
CITTADINI/UTENTI
Fonte: nostra elaborazione
14
imprenditoriale result oriented.
4
L'interesse alle procedure
anziché ai risultati si è ripercosso negativamente sia sulla
gestione economica dei servizi, che sul grado di soddisfazione
dei bisogni dell'utenza;
ξ la mancanza di una netta delimitazione tra politica ed attività
operativa, tra indirizzo e gestione non solo permetteva di
implementare azioni che ben poco avevano di economico, ma
impediva altresì l'individuazione delle responsabilità e la
definizione dei compiti;
ξ la struttura organizzativa è costituita da un modello atipico,
funzionale e divisionale ad un tempo, naturalmente caratterizzato
da una gestione piuttosto amministrativo – burocratica che
manageriale. Si possono, infatti, evidenziare (prima e dopo il
D.lgs.77/95) sia ripartizioni per funzioni (personale, ecc.) che per
unità divisionali che coinvolgono più entità organizzative (i
programmi e progetti menzionati nel D.Lgs. 77/95). Il tutto rende
non facile l'identificazione delle responsabilità e dei compiti;
ξ l'assenza di un sistema di monitoraggio che dovrebbe raccogliere
informazioni sia sull'ambiente esterno sia su quello interno, non
permette di tradurre in programmi gli obiettivi da realizzare e
quelli realizzabili. Da ciò deriva un processo di pianificazione
strategica di fatto evanescente o in ogni modo poco rispondente
alle reali esigenze della collettività;
ξ senza un’effettiva programmazione risulta svuotato di contenuto
anche il controllo di gestione che trova il suo naturale termine di
4
“Il modello burocratico à rigido e meccanicistico e non può soddisfare le mutevoli ed emergenti
esigenze di un ambiente dinamico.” Weber M., 1966, pag. 25.
15
confronto negli obiettivi precedentemente fissati. Sebbene tuttora
i controlli effettuati siano articolati e numerosi, appaiono nel
complesso molto attenti agli aspetti quantitativi, ma poco
adeguati a tutelare realmente il benessere sociale;
ξ il fenomeno dell'inflazione normativa,
5
che si colloca appieno
nell'accennata ottica d’attenzione ai processi anziché ai risultati
favorisce, sia una minore autonomia ed elasticità delle strutture,
sia una forte conflittualità tra le amministrazioni ed i cittadini;
ciò è testimoniato dall'elevato numero di ricorsi contro l'azione
amministrativa. In uno scenario dominato dalla flessibilità e dalla
forte dinamicità ambientale, scarsi sono i risultati sul piano
dell'azione svolta.
1.3 L'avvio della riforma: la legge 8/6/1990 n°142
Il complesso dei provvedimenti normativi approvati negli ultimi
anni ha contribuito a mutare sostanzialmente gli enti locali sotto
molteplici aspetti: istituzionale, organizzativo, gestionale, finanziario,
contabile, di controllo.
Un possibile punto di partenza per interpretare il processo di
cambiamento in atto, può individuarsi nel tentativo del Legislatore di
riqualificare il legame tra governo locale e collettività amministrata.
Gli Enti Locali, così come altre amministrazioni pubbliche, per
5
“Il fenomeno dell’inflazione normativa non caratterizza solo l’ordinamento italiano, ma qui si
pone in termini più gravi che altrove. Nel 1990 in Francia erano in vigore 7325 leggi. In Germania
le leggi in vigore sono 5587. In Italia le stime oscillano tra le 100 e le 150 mila leggi.”, Cassese S.,
1993, pag. 122.
16
troppo tempo hanno creduto di ritrovare in se stesse la giustificazione
del loro esistere ed hanno finito così col distaccarsi dai contesti sociali
ed economici in cui sono chiamati ad operare.
Il gap che si è venuto a creare tra le reali esigenze locali e la
capacità delle aziende di soddisfare tali bisogni ha finalmente portato
ad un’inversione di rotta, nel senso che si è passati da un forte
accentramento delle funzioni economiche da parte dello Stato, ad una
progressiva acquisizione da parte degli enti locali di ambiti
d’autonomia sempre più vasti, in special modo nei processi di
acquisizione delle risorse finanziarie e del loro utilizzo.
L'insieme dei provvedimenti intrapresi mirano a rilegittimare
nei confronti della collettività amministrata la funzione svolta dall'ente
locale, che dovrebbe mirare a captare i segnali provenienti
dall'ambiente esterno, decifrarli, interpretarli e tradurli in azioni
gestionali concrete.
6
A causa dello stato di dissesto economico-finanziario che
caratterizza la gestione dei pubblici servizi, si è avuto il tramonto della
concezione legata ad una presunta diversità dei servizi considerati
pubblici, tale da giustificare per molti di essi il ricorso a forme di
gestione pubbliche quasi sempre prive di connotati economici. Appare
chiaro che un servizio pubblico, se adeguatamente regolamentato, può
essere esercitato dal privato o comunque in forme privatistiche senza
per questo comprometterne la sua socialità.
6
“ Se un prodotto o servizio è ben accetto ciò significa che la cultura aziendale che lo ha generato
è in sintonia con quella antropologica; in caso contrario esiste un gap fra le due culture e
l’ambiente non riconosce i valori aziendali intrinseci al bene o servizio immesso sul mercato “
Catturi G., 1994, pag. 21.
17
Consapevoli dell'essenzialità di una loro razionale gestione per
lo sviluppo economico - sociale del Paese, il percorso che mirava ad
una loro completa privatizzazione, così come è avvenuto in altri paesi
europei, è in Italia percorribile, per motivi politici, solo in parte.
Da tale duplice constatazione nasce l'esigenza di revisionare il
come essi sono amministrati ed in tale contesto si colloca appieno la
legge 142/90, meglio nota come legge di riforma delle Autonomie
Locali, che avvia un cosiddetto processo di aziendalizzazione. Esso si
muove essenzialmente su due direttrici principali:
1. acquisizione di maggiori margini di autonomia decisionale nella
gestione dei pubblici servizi in modo da differenziare il momento
in cui si stabiliscono gli obiettivi da perseguire, spettanti ai
cittadini ed ai loro rappresentanti, da quello inerente alla gestione
ordinaria, spettante ai manager. Essa deve essere improntata a
criteri di efficienza, efficacia, economicità;
7
2. acquisizione ed utilizzo di strumenti informativi – contabili che
permettano di operare sulla base di logiche programmatorie che
si fondano sui principi della pianificazione strategica e tattica e
del collegato sistema di controllo di gestione.
Le diverse forme ammissibili per la gestione dei pubblici
servizi, così come previsto dagli art. 22 -23 della l.142, evidenziano la
tendenza dello scorporo dei servizi pubblici dalle aziende tradizionali
(Provincie, Comuni) ad altre, costituite appositamente per la gestione
dei servizi. Tutto ciò non è altro che la formalizzazione diffusa da
7
“L’azienda e l’istituzione informano le loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed
economicità…”, L.142/90, art. 23 comma IV.
18
parte delle aziende di servizi, di esprimere la propria gestione ed
organizzazione in forme snelle, facilmente controllabili e fuori delle
lungaggini burocratiche delle tradizionali amministrazioni pubbliche.
Se tale strada fosse perseguita sistematicamente, si assisterebbe
alla nascita di veri e propri gruppi pubblici in cui gli enti tradizionali
assumerebbero la funzione di holding, con soli poteri di indirizzo e di
controllo. E' da notare come il principio di economicità assume un
significato diverso con riferimento ad un'azienda operante in un
contesto di gruppo sia esso inteso in senso tradizionale, che relativo a
quello ottenibile con a capo il comune holding.
Pur essendo, infatti, costituito da unità giuridicamente
autonome, il gruppo è un complesso unico sotto l'aspetto economico,
quindi anche il relativo giudizio di economicità deve essere espresso a
livello globale. Nel valutare il contributo apportato da ogni unità
all'economicità globale, si potrà quindi ammettere anche l'esistenza di
unità in perdita se queste in virtù della posizione ricoperta e del ruolo
svolto apportino un contributo positivo al risultato di gruppo.
8
8
Per approfondimenti Marcon G., 1984.
19
1.4 Gli effetti distorsivi della finanza derivata
L'inversione di tendenza, precedentemente accennata è
chiaramente rinvenibile nella legge di riforma delle autonomie locali
che nell'art. 2 comma 4 attribuisce a comuni e province autonomia
statutaria e finanziaria nei limiti fissati dalla legge.
Da un forte accentramento del prelievo tributario,
dell'indebitamento e della gestione della liquidità, tipico di un sistema
di Finanza derivata, si è passato a un sistema di Finanza mista in cui
l'ente locale nello svolgimento dei propri compiti si avvale più di
risorse proprie, che di trasferimenti derivanti dallo Stato e dalla
regione di appartenenza.
Tale cambiamento dovrebbe stimolare gli organi elettivi,
coerentemente allo spirito della l. 142/90, a rapportarsi in misura
maggiore con la collettività amministrata ampliando e migliorando i
sistemi informatici in modo da perseguire una maggiore razionalità
nell'utilizzazione delle risorse.
Il modello di Finanza derivata non incentivava il
raggiungimento di tali obiettivi. I meccanismi di ripartizione delle
risorse dal centro alla periferia non erano, infatti, strutturati in modo
da indurre gli enti locali ad aumentare i livelli di efficienza nell'uso
delle risorse disponibili e di efficacia dei servizi apprestati e dei
programmi intrapresi.
L'ammontare delle risorse che affluivano a ciascun ente, non
dipendeva dai risultati conseguiti attraverso il loro impiego (ciò era
affidato alla buona volontà degli amministratori), ma semplicemente
dalla capacità di negoziazione posseduta nei confronti delle
20
amministrazioni sovrastanti.
9
Tale sistema ha provocato la non
incentivazione all'economicità, ed una progressiva
deresponsabilizzazione del management pubblico per i risultati
conseguiti. Non solo sono sorti notevoli difficoltà nel distinguere fra i
diversi livelli di responsabilità e nell'individuare i contenuti di
quest'ultima, ma si è così impedita la formazione di una classe
dirigenziale pubblica result-oriented.
E' da aggiungere, inoltre, che il vincolo di destinazione gravante
su parte delle risorse trasferite dal centro alla periferia non solo
affievoliva ancor più le responsabilità economiche degli
amministratori nei confronti della collettività locale, ma relegava
l'ente locale, che non partecipava al processo di programmazione a
livello centrale, a mero esecutore di decisioni assunte senza tenere
conto del contesto socioeconomico di riferimento.
La mancata correlazione tra risorse trasferite e risultati
conseguiti ha determinato inoltre, la distorsione del concetto di
performance. L'amministratore, il responsabile di una funzione o di
un’unità organizzativa non è valutato sulla dimostrata capacità di
conseguire in modo economico gli obiettivi posti, ma nell'abilità
nell'ottenere, ex - ante, il maggiore ammontare possibile di mezzi
monetari da spendere.
Si spiega così la nascita e lo sviluppo di una cultura
amministrativo burocratica, dell’amministrazione per atti che
privilegia un controllo di tipo formale (rispetto della norma) a scapito
dell’assenza completa di qualsivoglia verifica sui risultati ottenuti. Il
tutto dipendeva dalla capacità di negoziazione.
9
Si veda Mussari R., in Azienda Pubblica n°2/97, pagg. 159-175.