3
Nel capitolo III si è dedicata attenzione al progetto Sud-Nord-Sud, un 
progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, e realizzato 
da Italialavoro. L’obiettivo prioritario del progetto Sud-Nord-Sud è quello di 
pensare alla mobilità non più come una necessità ma come un’opportunità di 
crescita. Un’opportunità per l’imprese che cercano forza lavoro, per il lavoratore in 
cerca di occupazione e per il territorio attraverso l’arricchimento del capitale 
umano.  
Nel IV capitolo è stato analizzato il caso pilota della Provincia di Vibo 
Valentia, dato che, attraverso la collaborazione di Italialavoro, è stata una delle 
prime province italiane ad attivare progetti di mobilità.  
Nel caso di Vibo Valentia si è sperimentata l’utilità del tirocinio nell’incontro 
tra domanda e offerta di lavoro. Infine, attraverso l’intervista dei soggetti 
interessati si sono evidenziate le maggiori priorità del progetto. 
 
 
 4
Capitolo I 
 
Aspetti istituzionali del mercato del lavoro 
 
 
1.1 Il mercato del lavoro nell’ultimo ventennio: le principali riforme in tema 
di politiche attive 
Nell’ultimo ventennio, in Italia, si è assistito a molti mutamenti legislativi che 
hanno interessato il mercato del lavoro. 
Nel presente lavoro un’attenzione particolare è stata riservata alla mobilità 
essendo uno degli aspetti più interessanti da analizzare, nel complesso quadro del 
mercato del lavoro.  
La mobilità dei lavoratori può essere determinata, oltre che dalle scelte dei 
lavoratori e delle imprese, anche dagli aspetti istituzionali del mercato del lavoro. 
Il “normale” rapporto di lavoro prevede una durata indeterminata del match 
lavoratore-impresa, definendo quello che comunemente si definisce “posto fisso”. 
L’indeterminatezza del contratto, normale o ordinario, evidenzia una delle 
caratteristiche basi della regolamentazione italiana del lavoro protesa alla tutela dei 
lavoratori
1
. Per questo motivo non mancano degli elementi di rigidità, sia per le 
assunzioni che per i licenziamenti, sempre a tutela dei lavoratori e al buon 
funzionamento del mercato del lavoro. Sino alla prima metà degli anni Ottanta le 
assunzioni dovevano avvenire attraverso l’ufficio di collocamento, un ente 
preposto a garantire pari opportunità a tutte le persone in cerca di occupazione. Per 
quanto riguarda i licenziamenti, essi possono determinarsi liberamente solo in 
presenza della “giusta causa” (o in caso di dimissioni volontarie del lavoratore). 
Nel corso degli anni, con l’obbiettivo di ridurre la disoccupazione, le politiche 
del lavoro hanno agito nel senso di ridurre la rigidità del mercato, tentando al 
contempo di salvaguardare i diritti del lavoratore. Nei paragrafi successivi vedremo 
quali sono le maggiori modifiche che sono state apportate in questo campo negli 
                                                 
1
 Cfr: Leombruni R. e Malpede C., in Contini B. (a cura di) Osservatorio sulla mobilità del lavoro in Italia,2002. 
 5
ultimi vent’anni. Sono stati, infatti, analizzati quelli che sono stati gli effetti e come 
il mercato del lavoro ha reagito a queste serie di modifiche. 
Il mercato del lavoro italiano ha previsto e prevede numerose misure per il 
sostegno degli occupati e delle imprese. Da un lato si vuole stimolare 
l’occupazione e sostenere economicamente i soggetti al margine del mercato o in 
stato di disoccupazione. Dall’altro le imprese sono invogliate a collaborare, 
mediante l’applicazioni di agevolazioni fiscali, contributi agli investimenti e sgravi 
a ridurre il costo del lavoro. 
Per quanto riguarda le imprese sono soprattutto quelle localizzate nel 
Mezzogiorno che hanno potuto beneficiare dei principali vantaggi in termini di 
riduzione del costo del lavoro, della pressione fiscale e di facilitazione agli 
investimenti. 
Una particolare attenzione è dedicata alle fasce “deboli”
2
 del mercato del 
lavoro: ai giovani, alle donne, ai lavoratori in bilico tra posto di lavoro e 
disoccupazione (cassa integrazione, liste di mobilità) e ai soggetti svantaggiati 
(handicap, profughi). 
A partire dagli anni Ottanta abbiamo assistito a varie riforme che hanno modificato 
le regole del mercato del lavoro
3
. Tutte queste modifiche hanno determinato delle 
conseguenze, ma solo indirette, sulla mobilità “naturale” dei lavoratori e sulla 
creazione netta di posti di lavoro. Il focus del dibattito si è spostato in questi ultimi 
anni dalla protezione del lavoratore al sostegno dell’impresa. E’ successo che 
quelli che erano strumenti delle politiche del lavoro (flessibilità e 
regolamentazione del costo del lavoro) sono diventati veri e propri obiettivi da 
perseguire. Ciò, come accennato, ha determinato un diversa attenzione al mercato 
del lavoro, non tanto rivolta verso i lavoratori, ma più rivolta al sostegno delle 
imprese. Infatti l’idea comune  che si è sviluppata è che perseguire questi obiettivi 
abbia un effetto positivo sull’occupazione.  
                                                 
2
 Cfr: Paci M, Mercato del lavoro e classi sociali in Italia, 1973, pag.139. 
3
 Questo paragrafo è stato scritti facendo riferimento al testo di Contini B,  Osservatorio sulla mobilità del lavoro in 
Italia, 2002. 
 6
Il maggiore risultato ottenuto da vent’anni di riforme è stato quello di 
aumentare il match tra lavoratori e imprese. Così, accanto al contratto a tempo 
indeterminato “normale”, che ancora oggi continua ad essere il principale modo 
per assumere,  sono state affiancate numerose altre tipologie contrattuali 
“atipiche”. 
Sino alla metà degli anni Ottanta le politiche del lavoro in Italia avevano 
soprattutto carattere passivo, la difesa del posto di lavoro era il prius inamovibile.  
I vincoli al licenziamento, soprattutto per le grandi imprese, e l’adeguamento del 
salario all’inflazione (prima effettiva, poi programmata) ne erano i principali 
contenuti. 
Le crisi petrolifere e il periodo d’elevata inflazione avevano indebolito 
l’industria italiana, provocando un calo della domanda e causando difficoltà alle 
imprese nel mantenere gli organici con produzione in calo. Si rendeva necessario il 
rafforzamento del dialogo tra le parti sociali, la concertazione assumeva un ruolo 
centrale nei rapporti tra impresa e lavoratori: Sindacati, Confidustria e Governo 
s’impegnavano ad agire di concerto per migliorare le condizioni del mercato del 
lavoro. Inizialmente il dibattito riguardava soprattutto la definizione dei livelli 
salariali, con l’introduzione della contrattazione decentrata, al fine di ridurre le 
spinte inflazionistiche, determinate, anche dalla presenza della “scala mobile”. 
Successivamente la parola d’ordine delle politiche è diventata “aumentare la 
flessibilità per l’imprese”. 
Con la cassa integrazione si sostenevano le grandi imprese in crisi. Nel 
Mezzogiorno il sistema di sgravi, erede della Cassa per il Mezzogiorno costituiva, 
ancora il principale strumento per favorire le imprese, abbattendo il costo del 
lavoro. Gli imprenditori settentrionali erano altresì incentivati ad investire nelle 
aree più arretrate del paese, con finanziamenti pubblici a pioggia e agevolazioni 
nella gestione della manodopera. Il conflitto derivava dalla richiesta delle imprese 
di una maggiore flessibilità. Questo si traduceva in un “lasciar fare” al mercato, 
che garantiva una più ampia flessibilità alle imprese, ma anche una minore tutela 
per i diritti dei lavoratori. 
 7
Un anno molto significativo, per quanto riguarda le riforme apportate al 
mercato del lavoro, è stato il 1984 (legge 863/1984), delle quali ne ricordiamo 
alcune tra le più importanti:  
 ξ  i vincoli all’assunzione vengono notevolmente ridotti, diminuendo il ruolo 
monopolistico degli uffici di collocamento; 
 ξ  si introduce il lavoro a tempo parziale; 
 ξ  si introducono i contratti di formazione lavoro riservati alle imprese che 
vogliono assumere giovani da “formare”, diventando un primo strumento di 
flessibilità per il mercato. 
Facendo un excursus storico dobbiamo ricordare che il contratto a termine era stato 
introdotto nel nostro ordinamento nel 1962, ma i confini di applicabilità erano 
molto ristretti. Infatti l’impresa poteva assumere a termine solo per sostituire 
lavoratori temporaneamente impossibilitati al lavoro oppure i lavori stagionali. I 
contratti di formazione rappresentano il primo caso di contratti a termine veri e 
propri. Attraverso l’introduzione di questa nuova tipologia di contratto l’impresa 
aveva la possibilità di assumere un giovane per un periodo di formazione di 
massimo due anni (con tutte le agevolazione del caso). In un secondo momento, 
l’impresa, in base all’esperienza avuta, poteva decidere se trasformare il contratto 
di formazione lavoro in contratto a tempo indeterminato. In aggiunta, come 
accennato in precedenza, le imprese erano invogliate all’utilizzo dei contratti di 
formazione dall’abbattimento del costo del lavoro, che li rendeva convenienti come 
i contratti d’apprendistato, in vigore, sin dal 1959, per l’assunzione dei 
giovanissimi. 
 La normativa che regola i contratti di formazione ha subito negli anni 
numerose revisioni, riducendone la convenienza sia in termini d’agevolazioni 
fiscali, sia come strumento di flessibilità. Le modifiche apportate alla normativa 
prevedono che per poter utilizzare ancora il contratto di formazione lavoro, a 
partire dal 1991, i datori di lavoro devono aver trasformato in contratti in tempo 
indeterminato almeno il 50%, poi il 60% dei contratti di formazione scaduti nei 
due anni precedenti. 
 8
Anche il 1991 (legge223/1991), come il 1984, è stato un anno molto 
importante per quanto riguarda le modifiche apportate al mercato del lavoro. Oltre 
alle modifiche alla normativa per i contratti di formazione lavoro si hanno altri 
interventi, in materie varie, sempre confinanti con il mondo del lavoro, tra cui:  
 ξ  si introducono liste di mobilità e i contratti d’inserimento lavorativo; 
 ξ  si consente il pensionamento di lavoratori prossimi alla maturazione dell’età 
pensionabile; 
 ξ  vengono ridotti i vincoli al licenziamento per le piccole medie imprese. 
Le liste di mobilità consentono alle grandi imprese di procedere a licenziamenti 
collettivi: i lavoratori licenziati sono momentaneamente inseriti in liste di mobilità 
per favorire il reinserimento lavorativo. Contestualmente nascono forme di 
contratto a termine destinate a datori di lavoro che assumono soggetti in mobilità o 
in cassa integrazione. Il meccanismo comune alle nuove norme contrattuali è 
duplice: garantire un abbattimento del costo del lavoro e un recupero di flessibilità 
rispetto al contratto tipico. 
Bisogna aggiungere che dal lato delle politiche passive del lavoro si inizia a 
parlare di workfare
4
. Attraverso il workfare i lavoratori disoccupati ricevono un 
sussidio (indennità) in cambio di un lavoro socialmente utile. 
Nel 1994 l’Unione Europea è intervenuta, in base agli accordi di Maastricht 
del 1992, individuando nell’agevolazioni al Mezzogiorno una violazione sulle 
norme della concorrenza. A partire dal 1994 viene pertanto rivisto il sistema degli 
sgravi al Mezzogiorno che come vantaggio massimo garantiva alle imprese 
l’esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali per industriali neoassunti. 
Così gli sgravi sono progressivamente ridotti e attualmente vige un sistema di 
contributi capitari (cifra in quota fissa per ogni neo-assunto). 
La riforma Dini del 1996, tra le altre cose, ha costituito presso l’Inps la 
gestione separata, con lo scopo di tutelare dal lato previdenziale le categorie dei 
lavoratori che sino ad allora n’erano privi. Si tratta dei professionisti che non 
                                                 
4
 Cfr: Leombruni R. e Malpede C., in Contini B. (a cura di) Osservatorio sulla mobilità del lavoro in Italia,2002, 
pag. 377. 
 9
rientrano in nessun albo e dei collaboratori. Proprio le collaborazioni coordinate e 
continuative, il così detto lavoro parasubordinato, rappresentano una forma 
d’occupazione in costante crescita, a metà tra il lavoro autonomo e quello 
dipendente. 
La riforma del 1997 allarga il ventaglio dei possibili contratti di lavoro, 
attraverso l’introduzione del lavoro interinale. Le agenzie interinali private 
assumono manodopera da dirottare presso le imprese in cerca di personale 
temporaneo. Il rapporto di lavoro s’instaura tra lavoratore e agenzia interinale, ma 
la prestazione dello stesso è in favore dell’impresa che lo “affitta”. 
A partire dal 1998, le disposizioni a livello comunitario definiscono i criteri di 
programmazione delle politiche da parte degli stati membri. Secondo le 
disposizioni del Trattato d’Amsterdam (17 giugno 1977), ogni Stato membro deve 
predisporre nella primavera di ogni anno un Piano Nazionale d’Azione (NAP, 
National Action Plan) che tenga conto delle direttrici comuni, ed il Consiglio (su 
proposta della Commissione) si riserva di indirizzare ulteriori raccomandazioni ai 
singoli Stati. 
Le linee direttrici per le politiche del lavoro, definite dal Consiglio del 
Lussemburgo del dicembre 1997
5
 si basano su quattro pilastri: 
 ξ  migliorare l’occupabilità; 
 ξ  sviluppare l’imprenditorialità; 
 ξ  incoraggiare l’adattabilità delle imprese e dei loro lavoratori; 
 ξ  rafforzare le politiche in materia di pari opportunità. 
Così l’occupabilità, che richiama il concetto d’empowerement più che quello 
d’assistenza, le pari-opportunità e l’attenzione alle categorie svantaggiate 
diventano i punti cardine su cui formulare le future politiche per  l’impiego. 
L’attenzione alle condizioni del lavoratore è centrale. 
La mobilità del lavoratore non è mai un obiettivo esplicito delle politiche del 
lavoratore, non esistono politiche rilevanti  che incentivano il passaggio da una 
impresa all’altra o i trasferimenti inter-regionali. Peraltro l’introduzione dei 
                                                 
5
 Cfr: Leombruni R. e Malpede C. (op.citata),  2002. 
 10
contratti a termine, la riduzione dei vincoli all’assunzione e al licenziamento, le 
politiche per l’occupabilità e per l’imprenditorialità, influiscono tutte sulla durata 
dei rapporti di lavoro (riducendole) e sulle “abitudini” degli individui rispetto alla 
ricerca del lavoro (stimolandola) o alla decisione di mettersi in proprio. 
Per quanto riguarda le riforme del mercato del lavoro, non si possono 
tralasciare le modifiche apportate dalla ampia delega contenuta nella legge n.30 del 
14 febbraio 2003, più nota con il nome di “Riforma Biagi del mercato del lavoro”
6
. 
Sinteticamente le maggiori novità sono:      
 ξ  propone di ammodernare i servizi pubblici e privati per l’impiego abrogando 
definitivamente la legge 1360/60 che vietava l’interposizione privata di 
manodopera; 
 ξ  prevede il riordino dei contratti di lavoro a contenuto formativo in accordo con 
gli orientamenti comunitari in materia; 
 ξ  detta disposizioni che mirano a rendere ancora più flessibile il part-time; 
 ξ  introduce molteplici nuove tipologie di lavoro flessibile quali, tra le altre il job 
sharing (già per altro presente nel nostro ordinamento sebbene solo in virtù di 
una circolare ministeriale); 
 ξ  disciplina il così detto lavoro a chiamata e detta criteri di delega per 
l’elaborazione d’una normativa quadro in materia di  collaborazioni coordinate 
e continuative (il lavoro a progetto); 
 ξ  introduce, una nuova forma di lavoro interinale, questa volta anche a tempo 
indeterminato: il così detto staff leasing.     
I punti sopra elencati sono, in modo sintetico, le maggiori modifiche apportate 
dalla “Riforma Biagi”. Nei paragrafi successivi sarà utile, per capire meglio come 
il mercato del lavoro sta cambiando, analizzare più dettagliatamente la riforma 
dedicandole più spazio. Ora, ritornando al complesso mondo del mercato del 
lavoro, sarà proposta una figura riassuntiva che indica quelle che sono le 
interazioni tra i soggetti all’interno del mercato (cfr. fig.1).  
                                                 
6
 Cfr: Svimez Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, Rapporto sull’economia del Mezzogiorno, 2003,      
pag. 67. 
 11
 
Fig 1. Le interazioni tra soggetti nel mercato del lavoro
7
.  
 
          orientamenti 
 
 Definisce: costo del lavoro  
 (aliquote contributive), 
  minimi salariali, 
 Prevede assistenza e agevolazioni  livelli d’inquadramento,  
 all’assunzione di lavori socialmente vincolo al licenziamento, 
 utili. agevolazioni fiscali,  
 agevolazioni per  
 assunzioni di particolari 
 soggetti 
 
 
 
 
Disoccupato 
 
 
 
 
 
Sussidi 
 
 
 
     Contributi previdenziali e  
 asistenziali 
 
 
 
 
 
Oneri sociali
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
                                                 
7
 Cfr: Contini  B,  “ Osservatorio sulla mobilità del lavoro in Italia”,  2002,  pag. 379. 
 
Unione europea, parti sociali 
(sindacato,confindustria,governo) 
 
         Legislatore 
 
Centro per l’impiego 
(già ufficio di 
collocamento). 
 
Istituti previdenziali ed 
assistenziali 
(INps.Inail,Indap) 
 
Pensionato 
 
 
Lavoratore 
 
 
 
Datore di 
lavoro 
 
 12
Occorre ricordare come un rapporto di lavoro rappresenta un microcosmo 
centrato su un nucleo, due soggetti protagonisti in prima persona (il lavoratore e il 
datore di lavoro), ma composto da altri elementi in relazione tra loro. 
 
 
1.2. Riformare il mercato del lavoro  italiano in base all’esperienze 
europee 
Oggi in Italia lavora regolarmente solo un cittadino su due tra i 15 e 65 anni. 
Il tasso di occupazione infatti non supera la soglia del 54,5% ed è il più basso 
all’interno dell’UE
8
. Ciò sta a significare di conseguenza che solo un cittadino su 
due paga il sistema previdenziale
9
. La media europea è del 63,9%, e nei paesi più 
evoluti si raggiungono percentuali superiori al 70%. La situazione è ancora più 
grave se parliamo di donne adulte sopra i 45 anni e dei giovani. Per queste 
categorie il tasso di disoccupazione è inchiodato su cifre notevolmente superiori 
rispetto a quelle che si registrano negli altri Paesi europei, in Giappone e negli Stati 
Uniti. Nel nostro Paese oggi il tasso di disoccupazione è intorno al 9%, con punte 
superiori al 18 in alcune aree del Mezzogiorno. 
Il nostro mercato del lavoro registra il più alto differenziale territoriale in 
termini di occupazione. All’Italia senza lavoratori del Nord-Est si contrappone 
l’Italia senza lavoro del nostro Mezzogiorno. Nel rapporto Istat [2002] la 
disoccupazione è scesa al Sud sotto la soglia del 20%, ma l’inefficienza del sistema 
dei servizi pubblici per l’impiego (nelle regioni meridionali si concentra il maggior 
numero dei loro “utenti”) ne aggrava le caratteristiche strutturali e permanenti nel 
tempo.  
La partecipazione alle attività educative o  formative dei giovani è di oltre sei 
punti inferiore alla media europea, mentre i tassi di disoccupazione giovanile e di 
disoccupazione cosiddetta di lungo periodo (più di dodici mesi senza lavoro o 
formazione) sono tra i più alti d’Europa. 
                                                 
8
 Fonte: dati Istat, Rapporto annuale, la situazione del paese nel 2002. Cap III struttura e dinamica del mercato del 
lavoro, 2003,  pag. 181. 
9
 Cfr: Documento a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,   “La legge Biagi per il lavoro”: capire la 
riforma. 
 13
La presenza di una regolamentazione ancora forse troppo rigida, per le 
caratteristiche di cambiamento del mercato, rende difficile l’immissione di alcune 
fasce all’interno del mercato stesso.  Per questo motivo la riforma prevede delle 
nuove forma contrattuali più “flessibili” per meglio adattarsi alle nuove esigenze 
del mercato. Un dato molto significativo in tal proposito c’è dato dal confronto con 
altri Paesi per quanto riguarda la presenza di “lavoro parziale”. Ancora una volta i 
dati parlano chiaro. Il lavoro a tempo parziale, per fare solo un esempio, non 
supera il 9%, mentre la media europea è del 18%. Paesi come l’Olanda e Regno 
Unito registrano tassi di molto superiori alla media, rispettivamente del 42% e del 
25%
10
. 
Ancora c’è da evidenziare che il lavoro “nero” e irregolare assume 
dimensione due o tre volte superiori rispetto alla media europea. Stime recenti ci 
dicono che il fenomeno del lavoro irregolare riguarda oltre cinque milioni di 
posizioni lavorative. 
In sostanza a gruppi di lavoratori protetti e tutelati (gli occupati nelle 
amministrazioni pubbliche e nelle imprese di grande e media dimensione) si 
accompagnano gruppi con tutele moderate (i lavoratori atipici e i lavoratori 
occupati nelle piccole imprese) e gruppi senza tutela alcuna (i lavoratori in nero).        
Con la “legge Biagi”
11
 il Parlamento autorizza il Governo ad emanare, 
nell’arco dei prossimi anni, alcuni decreti legislativi contenenti misure di 
particolare rilevanza e priorità per riformare in tempi rapidi e certi il nostro 
mercato del lavoro. 
Gli obiettivi di questa riforma sono stati chiaramente indicati dal Governo già 
nel «Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva 
e per un lavoro di qualità» (ottobre 2001) e, successivamente, sono stati condivisi 
dalle trentanove organizzazioni sindacali e datoriali firmatarie del «Patto per 
l’Italia» (luglio 2002). 
                                                 
10
 Fonte: Istat, Rapporto annuale. La situazione del paese 2002. 
11
 Questo paragrafo fa riferimento al documento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “La legge Biagi 
per il lavoro”: capire la riforma,  disponibile sul sito web del Ministero.