V
La spinta verso la deregulation fu data dalla situazione economica che, al tempo,
risultava tutt'altro che soddisfacente. La Grande Depressione aveva attaccato il
principio cardine dell'economia americana, quello della concorrenza aperta, a tal punto
che la regolamentazione fu la risposta a quella concorrenza, considerata "eccessiva",
che aveva prodotto il fallimento delle imprese e un notevole aumento del costo dei
prodotti, da un lato, e la totale mancanza di organizzazione nei servizi, dall'altro. Per
questo motivo al CAB fu data ampia autorità in ordine al controllo dell'entrata di nuove
imprese nel trasporto aereo ed al contrario, quella di compagnie già operanti in nuovi
mercati nonché delle tariffe (approvando o respingendo le modifiche di queste, ovvero
fissandole d'autorità). Tali assunti, però, cominciarono a mostrare la loro inadeguatezza
e gli stessi economisti riconobbero l'inutilità delle regolamentazione e la sua incapacità
a riportare il trasporto aereo a livelli di maggiore efficienza. Molte ricerche, invero,
dimostrarono che proprio quei principi ai quali si era ispirata la regolamentazione
erano privi di ogni fondamento.
La fase della deregulation fu caratterizzata dall'emanazione dell'A.D.A (Airline
Deregulation Act), nel 1978, sebbene il processo di evoluzione fosse già iniziato a
partire dai primi anni '70. Dinanzi alla questione di come attuare la deregulation (se
farlo, cioè, in un lungo periodo o in tempi molto più ristretti) fu scelta la prima
prospettiva, ma ben presto se ne evidenziarono le conseguenze, di certo non confortanti.
Gli effetti della deregolamentazione si possono tracciare solo ora, a distanza di un
ventennio, e, a tal fine, possiamo affermare che contrastanti furono i giudizi sul risultato.
Sulla scia dei mutamenti americani anche l'Europa cominciò ad avviarsi verso la
deregulation. Sebbene il trasporto aereo e quello marittimo fossero esclusi dalla politica
comunitaria (ai sensi dell'art. 84 del Trattato di Roma), la Commissione cominciò ad
occuparsi, ugualmente, di una possibile deregulation.
Questa viene ad attuarsi gradualmente, in una successione di tre fasi, che indicheremo
con le espressioni "Primo" "Secondo" "Terzo Pacchetto", e secondo due politiche aventi
come scopo la revisione degli accordi bilaterali e l'emanazione di nuove norme
multilaterali attraverso le decisioni della Corte di Giustizia della CEE. Tanto le politiche
quanto le fasi del processo di liberalizzazione si inquadrarono, a loro volta, nell'ambito
della politica generale della CEE in materia di disciplina della libera concorrenza.
VI
La spinta prodotta dai provvedimenti in tema di deregolamentazione ebbero l’obiettivo
di suscitare una crescita del clima competitivo all’interno del settore, favorendo
l’ingresso di nuove compagnie e trainando in basso le tariffe offerte ai consumatori. E’
in tale contesto che le compagnie a basso costo si inseriscono, pronte a sfruttare quanto
di positivo i provvedimenti offrono, lasciando a ciascuna compagnia piena potestà sulla
governabilità delle variabili operative, pianificando nella maniera ritenuta più
opportuna rotte, tariffe e capacità operativa. Ed è, sempre, in tale contesto che le
compagnie a basso costo cominciarono a macinare i primi successi, riscontrando un
atteggiamento di totale indifferenza da parte delle grandi compagnie alla ribalta della
scena per diversi decenni. Si tratta di un macroscopico errore di sottovalutazione del
fenomeno di cui solo alcune se ne resero pienamente conto. L’insediamento dei vettori
low cost, a questo punto, si fa sempre più aggressivo, le compagnie aprono
frettolosamente nuove rotte, gli aeroporti ingaggiano una lotta per accaparrarsi accordi
in molti casi offrendo rinunce a benefici immediati per ottenere un ritorno consistente in
ottica futura. L’uragano low cost comincia a prendere piede inoltre in una situazione
nella quale la brusca frenata dell’economia impone una sostanziale flessione nella
domanda di viaggi aerei, portando grosse compagnie in rovina. I fallimenti si
susseguono, le grandi cominciano a denunciare deficit rovinosi, la concorrenza preme
sempre più alle porte. Con l’avvento delle compagnie low cost i prezzi scendono in
maniera vertiginosa, la gente risponde in maniera entusiastica affollando gli aerei, gli
operatori mostrano grande ottimismo. In breve tempo ci si convince della portata
rivoluzionaria del fenomeno e si punta facilmente il dito contro tali vettori, accusandoli
di aver acuito una crisi che vedeva mandare a casa centinaia di migliaia di persone. I
vettori low cost fanno ora paura e le iniziative si moltiplicano per arginare l’invasione
ed organizzare una controffensiva valida. Ben presto ci si rende conto però della nullità
di tali tentativi e le major prendono mestamente atto di essere dotate di una struttura di
business oramai superata, destinata ad essere inevitabilmente modificata in molti dei
suoi concetti principali. Le low cost avevano raggiunto un’influenza tale da poter essere
considerate uno straordinario modello cui si doveva guardare per il futuro. La corsa per
fondare una compagnia a basso costo poteva dichiararsi aperta.
VII
La sensazionale novità che i vettori low cost hanno introdotto nel mercato del trasporto
aereo o se vogliamo più generalmente nel settore dei trasporti è la assoluta credibilità e
fattibilità di un progetto che riesce a conseguire la sostenibilità dell’offerta di tariffe
abbondantemente più basse rispetto a quelle standard riferibili alle compagnie
tradizionali, grazie all’imposizione di rigidi criteri operativi improntati al
raggiungimento del massimo livello di produttività di tutte le risorse umane, tecniche e
finanziarie utilizzate. Le ragioni dell’enorme successo sono da ricercare nell’accurata
costruzione di una catena di passaggi che consente di predisporre una base di costi
estremamente bassa, la quale “autorizza” l’adozione di prezzi irraggiungibili
costituendo così un richiamo per una base di utenza sempre più vasta. E’ un fenomeno di
natura prevalentemente sociale, in quanto in grado di attrarre in maniera sempre più
vigorosa una consistente fascia della popolazione, generalmente nuova ad ogni tipo di
esperienza fra i cieli o incline a preferire mezzi di trasporto più economici. L’ingresso
sul mercato di tali vettori è stato accompagnato infatti da una vertiginosa riduzione delle
tariffe tale da rendere il mezzo aereo spesso e volentieri addirittura più economico negli
spostamenti di corta e media distanza rispetto ad altre modalità di trasporto. La misura
del successo é resa ancora più evidente dal maggiore quantitativo di ordini di nuovi
aeromobili emessi rispetto alle aerolinee tradizionali. I vettori low cost si sono
dimostrati anche più forti delle recessioni registratesi negli Stati Uniti ed in Europa,
sfidando anche le tesi per cui la domanda di trasporto aereo si muove in parallelo con
l’andamento generale dell’economia o nello specifico con le variazioni del prodotto
interno lordo di ciascun paese. L’incremento del numero di rotte operate, dei velivoli
acquistati, dei passeggeri trasportati e dell’assunzione di nuovo personale durante
l’ultimo decennio conferma che le compagnie a basso costo hanno definitivamente
trovato un loro posto nel liberalizzato mercato europeo e sembrano poter promettere
ancora migliori risultati. Gli operatori low cost stanno dimostrando di non essere un
fenomeno temporaneo ma un nuovo proficuo segmento all’interno del mercato del
trasporto aereo. Da parte di alcune aerolinee major è già emersa la necessità di offrire,
tramite proprie associate, servizi low fare, nel tentativo di assicurare una risposta più o
meno efficace alle turbolenze provocate dalle low cost. Ma i risultati, oltre a suggerire
una soluzione diversa, mettono in luce una verità indiscutibile.
VIII
Adottare la filosofia low cost presuppone una straordinaria intelligenza. Gestire una
compagnia a basso costo implica predisporre un ingegnoso amalgama tra elementi fra
loro strettamente legati, ognuno dei quali contribuisce alla messa in moto di un
meccanismo vincente. Offrire tariffe molto basse, comporta un minuzioso controllo dei
costi operativi, per i quali si deve puntare costantemente ad un sostanzioso
ridimensionamento. E mantenere bassi i costi significa accettare e fronteggiare di petto
le sfide che il mercato presenta costantemente. Per questo ed altre ragioni diverse sono
anche le perplessità che non pochi sollevano relativamente alla tenuta nel lungo termine
del fenomeno. I punti critici che possono limitare l’espansione delle low cost sembrano
essere anche il possibile deterioramento del contesto competitivo alla luce del
sovraffollamento di cui attualmente si registrano i primi segnali. La caduta prematura di
alcuni vettori a basso costo e l’insignificante peso delle restanti compagnie ad eccezione
di Ryanair ed Easyjet in Europa mostrano che guadagnarsi spazio non è poi così
semplice. Soprattutto se si ha ben poco di low cost. La fedele riproduzione del modello
conta solo pochi veri “seguaci”, il resto dei quali si batte fra una insufficiente visibilità
di mercato ed un soffocamento di cui un po’ tutte risultano soffrire, a causa di una
accentuata dispersione della domanda. Problematico sarà anche per i vettori mantenere
le condizioni favorevoli di cui hanno sempre goduto nell’utilizzo delle infrastrutture
aeroportuali, in scali prima deserti, un domani affollati e pretenziosi in termini
economici. Inoltre interessante è la sfida che ben presto le low cost dovranno affrontare,
quando di fronte a ordini di aeromobili abbondantemente generosi, dovranno mantenere
tassi di crescita difficilmente sostenibili su livelli sempre così alti. Bisogna, altresì,
considerare che volare a basso costo non è sempre conveniente come sembra e non
sempre si paga quanto promesso, le tariffe di andata e ritorno sono molto diverse e
l’offerta di prezzi super scontati avviene nei soli periodi stagionali di caratteristica
flessione della domanda e per una quantità comunque minima. I rimborsi non vengono
contemplati nella politica aziendale e la gestione delle lamentele pare essere abbastanza
rude. Problemi che potrebbero venire a galla se in futuro non si riuscirà a mantenere un
gap a livello tariffario consistente rispetto ai vettori tradizionali. A dispetto dei limiti
comunque presenti, è bene sottolineare come le prospettive del fenomeno possano
ritenersi moderatamente ottimistiche.
IX
La chiave del successo é data dal formidabile compromesso raggiunto nel trade-off fra
economicità delle tariffe e livello del servizio, difficilmente scardinabile in futuro. Il
servizio in effetti risulta decisamente meno “estetico”, ma più tagliato per le reali
esigenze espresse dai passeggeri. L’innovativo approccio nel customer service si basa su
una accurata lettura delle priorità manifestate dai viaggiatori, per i quali in
maggioranza risulta fondamentale pagare il minor prezzo possibile piuttosto che avere
la possibilità di gustare un delizioso pasto a bordo o di poter leggere un quotidiano
gratuito. Da ciò ogni taglio su quegli elementi del servizio in grado di non influenzare
singolarmente in maniera decisiva il processo decisionale d’acquisto da parte del
viaggiatore, comportano una marginale, se non infinitesimale, riduzione del suo livello,
cui fa riscontro un prezzo il più delle volte irraggiungibile. Una trovata destinata a
mostrare il suo valore per lungo tempo.
Il percorso che si cercherà di seguire in tale lavoro intende partire con delle accurate
riflessioni sul background che fa da sfondo al decollo di cui sono state protagoniste tali
compagnie. Si tenterà quindi di costruire un breve quadro sul generale processo di
privatizzazione delle grandi imprese nazionali per tentare di individuare i passi decisivi
mossi in campo normativo per la rimozione dei (troppi) vincoli all’origine dell’eccessiva
staticità ed inefficienza di cui soffriva il settore del trasporto aereo.
Il lavoro consta di cinque differenti capitoli, i primi due dei quali si propongono di far
luce sulle motivazioni di natura strettamente economica e normativa alla base
dell’avvento delle low cost airlines.
Il capitolo primo intende imprimere all’intero lavoro un taglio più storico, portando in
analisi il generale processo di privatizzazione a cui al giorno d’oggi ancora si assiste e
le motivazioni economico-sociali alla base della scelta da parte dei governi di cedere a
privati grosse fette della proprietà economica pubblica. Si partirà da un quadro generale
su quanto accaduto nel nostro paese per giungere alla definizione delle discriminanti
strategiche sottese alla realizzazione di una pura economia di mercato attraverso la
creazione di un clima concorrenziale all’interno del mercato stesso.
Il capitolo secondo invece si propone di sintetizzare nella giusta misura i passi
fondamentali mossi in campo regolamentativo, portando in rassegna in due diverse
sezioni le tappe fondamentali registratesi negli Stati Uniti prima e nel nostro continente
poi.
X
Si mostrerà come la rimozione dei vincoli che per decenni avevano di fatto immobilizzato
l’intero settore nel controllo delle variabili strategiche dei vettori, abbia giocato un
ruolo assolutamente decisivo nella crescita dell’intero settore attraverso la creazione di
uno scenario finalmente competitivo.
Il capitolo terzo apre le porte al fenomeno low cost, proponendosi di fornire un identikit
della filosofia cui fanno riferimento tali vettori. Tale capitolo risulta suddiviso a sua
volta in tre sezioni nel tentativo di fornire un valido panorama e di rintracciare le
fondamentali differenze con il modello di business portato avanti dai traditional carrier.
Nella prima sezione si ripercorre la strada intrapresa dai vettori low cost, dalle origini
fino alle recenti novità registratesi sul mercato, cercando di far luce sul periodo storico
nel quale tali vettori si inseriscono. Nella seconda delle tre sezioni invece vengono
riportati i punti fermi che compongono la filosofia dei vettori a basso costo, dimostrando
quanto importanti siano gli straordinari incrementi nella produttività di tutte le risorse
aziendali ed il raggiungimento di economie di scala nelle operazioni di terra e di volo.
Sarà possibile quantificare quindi attraverso la terza sezione i risparmi ottenuti
attraverso la ridefinizione della struttura di costo ed il modellamento del servizio
secondo le primarie e basilari esigenze espresse dai passeggeri. In tale sezione inoltre si
potrà desumere un confronto diretto con le compagnie full service condotto
essenzialmente sui costi e su quelle voci di bilancio in cui si riscontrano gli scostamenti
più significativi. Da una attenta analisi si potrà notare l’incredibile distanza esistente
per voci di costo particolarmente pesanti per le compagnie aeree quali il personale, i
costi di bordo ed i costi distributivi, andando a determinare un gap in termini numerici
in molti casi ai limiti dell’incredibile.
Dopo aver esposto i capisaldi della filosofia low cost, il capitolo quarto cercherà di
soffermarsi sui principali protagonisti di mercato, ossia quei vettori low cost capaci di
assumere un peso rilevante all’interno dei rispettivi mercati di riferimento. Gran parte
dello spazio sarà dedicato al vettore irlandese Ryanair, leader nel mercato comunitario
dei voli a basso costo e protagonista di una crescita tale da essere considerata il modello
di riferimento nel settore e fra i brand di maggiore successo della new economy più
recente.
XI
Si cercherà di delineare le linee principali riguardanti la strategia operativa della
compagnia, tentando di mettere in luce la straordinaria singolarità di alcune scelte che
testimoniano il costante sforzo con il quale il vettore cerca di raggiungere costi sempre
più competitivi. Sarà dato sufficiente spazio anche alla temibile rivale EasyJet,
anch’essa a pieno titolo da considerare una forza in grado di assorbire buona parte
della domanda per i voli a basso costo sul mercato continentale e capace di realizzare
risultati strabilianti attraverso una singolare reinterpretazione del modello low cost.
Infine il quadro sarà completato da un breve sguardo alla prima vera idea low cost: la
californiana Southwest Airlines, la prima compagnia aerea a basso costo del mondo in
termini di passeggeri trasportati, con una capitalizzazione di borsa persino superiore ai
leader full service del mercato globale oltre che statunitense.
Il lavoro in ultimo tenterà di contestualizzare il discorso intrapreso, proponendo nel
capitolo quinto una breve ma concisa analisi del mercato del trasporto aereo italiano.
Partendo dalla sua storia, si evidenzierà la situazione attuale concernente il traffico
domestico ed intra-comunitario, per giungere a delle considerazioni circa l’insediamento
dei vettori a basso costo sul nostro territorio e la spettacolare crescita di cui si sono resi
protagonisti gli scali regionali, grazie al loro ingresso. Infine si condurrà un confronto
fra la compagnia di bandiera Alitalia e Volareweb, rappresentativa del segmento low
cost in Italia.
La privatizzazione
1
CAPITOLO 1
La privatizzazione
1.1 GENERALITA’
L’inconciliabile binomio fra Stato e mercato ha da sempre suscitato ovunque audaci
discussioni. Per decenni le idee fondate sul liberismo economico profetizzato da Adam
Smith hanno rappresentato un indiscutibile punto di riferimento nel panorama politico
istituzionale mondiale, affermando con decisione come il mercato sia spontaneamente
regolato da una “mano invisibile” che attraverso i suoi meccanismi di formazione dei
prezzi, consente il perseguimento del benessere collettivo poggiando sulla
massimizzazione del benessere individuale.
In tutto ciò lo Stato aveva il compito di garantire la massima libertà d’azione a quella
mano invisibile che e’ il mercato stesso attraverso i consumatori da un lato e le imprese
dall’altro a creare, limitando i suoi interventi suscettibili di vanificare e compromettere i
meccanismi di mercato. Assicurando, però, la sua presenza per il raggiungimento dello
sviluppo collettivo e la realizzazione di opere di utilità sociale, che il settore privato non
aveva motivo di procurare per ragioni di redditività. La piena libertà all’iniziativa
economica privata, così come auspicata, richiedeva un peso sempre meno rilevante della
presenza dello stato nei vari settori economici ed una maggiore leva del settore privato
nei vari settori dell’economia nazionale.
La privatizzazione
2
In Europa però da sempre la proprietà pubblica ha avuto una presenza dominante per le
imprese di pubblica utilità a causa della configurazione di situazioni di monopolio
naturale per cui per determinate produzioni il costo unitario ottenibile da un’unica
impresa era minore di quello conseguibile da due o più imprese in virtù di rendimenti di
scala crescenti nella produzione. Con la creazione spontanea e naturale di mercati in
regime di monopolio naturale, le imprese andavano incontro in maniera sistematica a
delle perdite sussidiate dallo Stato a causa dell’imposizione di un prezzo uguale al costo
marginale che non garantiva la totale copertura dei costi, ma che assicurava la
massimizzazione del benessere collettivo. Inoltre lo Stato nella sua funzione si vedeva
portatore di un dovere morale nel garantire dei servizi primari a tutti i suoi cittadini. La
nazionalizzazione quindi in questo senso di vasti settori di pubblica utilità si presentava
come una formalizzazione di un egualitarismo specifico fra gli utenti: l’accesso a questi
servizi fondamentali infatti doveva prescindere dalla condizione reddituale dell’individuo
e quindi anche dalla sua posizione geografica per puntare alla realizzazione di un
ottimale utilizzo delle risorse a beneficio della collettività. L’ondata di privatizzazioni
avutasi in principio negli Stati Uniti e successivamente con maggior vigore nel vecchio
continente ha assunto una veste politica particolarmente significativa, essendo stata
fondamentalmente promossa da governi di ispirazione conservatrice o neoliberale per cui
storicamente e tradizionalmente prevale l’appoggio al settore privato ed alla creazione di
una libera economia di mercato.
I settori in cui furono mossi i primi passi però, riguardavano tanto beni e servizi di
primaria importanza, quanto produzioni che abbisognavano di un appoggio finanziario
per la consistenza degli investimenti aziendali e per il prolungato tempo di ritorno degli
stessi. Si ricordano così interventi pronunciati nei settori della siderurgia,
dell’aeronautica e dei trasporti oltre al settore bancario, assicurativo, chimico e
dell’energia. La presenza dello stato si concretizzava spesso e volentieri però in un opera
di disperato e ricorrente salvataggio delle imprese in questione a causa di deficit in alcuni
casi di incontenibile dimensione e di inefficienze di grossa proporzione, costringendo i
governi a stanziare periodicamente risorse di ammontare non indifferente e contribuendo
ad acuire l’espansione del debito pubblico.
La privatizzazione
3
La politica assistenzialistica dello stato in sostanza si traduceva in un dispendio di denaro
pubblico molto preoccupante e nella creazione di evidenti e dannose distorsioni nella
allocazione delle risorse a causa anche del basso grado di efficienza gestionale delle
imprese pubbliche. Queste infatti, avendo comunque una minore attitudine al
conseguimento di un profitto ed essendo la loro dirigenza sottoposta a minori pressioni
da parte di azionisti e comunità finanziaria, difficilmente riuscivano a raggiungere
condizioni di efficienza operativa ottimali. A questo va aggiunta anche la considerazione
che interferenze di natura politica e quindi la priorità nel tener conto più delle volontà del
referente politico che dei criteri di razionalità e prudenza con cui doveva venir impiegato
il denaro pubblico da parte degli amministratori , originavano diffusi fenomeni di
corruzione cui conseguivano rovinose perdite di efficienza e deficit insormontabili. Il
malcontento e le ombre provocate da tale situazione erano giustificate oltretutto anche
dalla bassa qualità a dispetto di un alto costo per gli utenti riscontrabile nei servizi
erogati.
In Europa, una forte spinta alle privatizzazioni viene dagli stringenti vincoli del Patto di
Stabilità e dalla crescente necessità di una maggiore robustezza nei bilanci dei vari paesi,
dissestati per lungo tempo da un debito pubblico in alcuni casi imbarazzante. Per molti
era ritenuta una soluzione obbligata, un’opportunità per ridar fiato alle casse statali ed
un’occasione per ricercare una maggiore razionalizzazione del sistema economico nel
suo complesso, confidando di poter restituire ad i consumatori dei servizi più efficienti,
più economici e più validi e di innescare anche un processo di crescita economica in
grado di sostenere la formazione di nuova occupazione.
L’imponente mole di dismissioni avutasi nei recenti decenni e peraltro ancora in atto in
Europa e nel nostro paese, ha portato alla cessione al settore privato di una cospicua fetta
di proprietà che lo Stato vantava nei confronti di imprese operanti in settori di rilevanza
sociale. L’avvio delle privatizzazioni in Italia si e’ avuto a partire dal 1992 a seguito della
crescente necessità di ridimensionare il debito pubblico e di riportare maggiore equilibrio
nella tenuta dei conti pubblici. Grazie al processo di vendita di asset pubblici le casse
dello Stato hanno potuto beneficiare di un incasso lordo complessivo di 129 miliardi di
euro nel periodo dal 1992 al 2003
1
, con una proporzione sul PIL di maggiore entità
rispetto a quanto avvenuto in esperienze analoghe registratesi in altri paesi (Tale rapporto
1
CONFINDUSTRIA – Indagine conoscitiva sul processo di privatizzazione in Italia pg.3
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4
in Italia ha raggiunto il 12,3% contro il 4-5 % di altri paesi). Le ingenti somme ricavate
dallo smobilizzo di asset ritenuti oramai non più strategici, consentivano una gestione più
malleabile della complessa situazione finanziaria, riducendo l’onere a carico dei
contribuenti ma realizzando soprattutto una razionalizzazione del sistema economico e
produttivo. In molti paesi il processo di privatizzazione e’stato rallentato da difficoltà
spesso di ordine politico, dal momento che i cittadini non sembravano disposti ad
accettare che il controllo delle grandi imprese pubbliche poteva venir ceduto
completamente ad investitori stranieri, inoltre spesso si alimentavano feroci dibattiti sulle
modalità tecniche di cessione della proprietà di tali imprese. Controversa e discussa in
particolare risultava la possibilità di accordare una “golden share” a favore dei Ministeri
titolari delle partecipazioni, con la quale lo Stato si riservava di esercitare il diritto di veto
su operazioni finanziarie, vendite e modifiche dello statuto che in qualche modo
potevano arrecare un pregiudizio agli interessi economici nazionali. Tale soluzione ha
trovato poi applicazione in Italia nella cessione di grandi imprese come Telecom , Eni ,
Finmeccanica ed Enel. Attualmente si profila una soluzione simile per Alitalia, la quale
sembra “obbligata” ad essere indirizzata verso una completa dismissione da parte dello
Stato (ad oggi proprietario del 62,3%), nel quadro di un robusto processo di
ristrutturazione sollecitato da una situazione economico-finanziaria gravemente
deficitaria e reso sempre piu’urgente da una gestione “troppo” attenta alle interferenze
politico-clientelari.
I dubbi espressi in tale sede venivano poi confortati anche dal rischio stimato che a
seguito della privatizzazione di tali imprese il monopolio pubblico in cui si trovavano ad
operare si sarebbe trasformato in un monopolio privato con le relative perdite di
benessere. La condizione necessaria era rappresentata da un processo di graduale e
controllata liberalizzazione dei mercati in oggetto, nel tentativo di favorire l’ingresso di
nuovi operatori e la creazione di una concorrenza fra gli stessi, dando così modo alla
“mano invisibile” di regolare automaticamente il mercato e di condurlo a delle soluzioni
efficienti da un punto di vista sociale. Le misure di liberalizzazione però dovevano offrire
a tutti i concorrenti l’opportunità di costruire ed utilizzare le infrastrutture o le reti e
garantire il controllo attraverso le autorità indipendenti di settore ( le Authorities).
La privatizzazione
5
In altre parole, il processo di privatizzazione oltre a rappresentare una opportunità di
risanamento delle finanze dello Stato, doveva fungere da strumento per la ricerca di una
maggiore razionalità nel sistema economico in grado di apportare sensibili vantaggi in
termini di minori prezzi a carico degli utenti e di una migliore qualità complessiva dei
servizi offerti. In definitiva, attraverso una maggiore contendibilità delle imprese,
operanti con una logica orientata ora al raggiungimento di elevati standard in termini di
efficienza e di profitto, queste vengono incentivate ad un utilizzo più efficace delle
risorse ed alla creazione di valore.
Ma vediamo ora di concentrare l’attenzione sulle differenti tipologie di obiettivi nei
processi di privatizzazione, dando particolare spazio alle motivazioni di natura
prettamente economica, alla base dell’intervento dello Stato nell’economia nazionale.
La privatizzazione
6
1.2 LE PREMESSE ECONOMICHE ALLA BASE DELL’INTERVENTO
PUBBLICO
L’intervento diretto dello Stato nelle strutture produttive, accanto a motivazioni di ordine
macroeconomico e sociale-redistributivo, trova in generale il suo fondamento
nell’esigenza di superare situazioni di fallimento dei mercati. Secondo la teoria
economica tradizionale il mercato fallisce quando il sistema dei prezzi conduce a
un’allocazione delle risorse non Pareto-efficiente, date le risorse e le tecnologie
disponibili. Com’è noto, per essere Pareto-efficiente un mercato dovrebbe basarsi su un
sistema dei prezzi capace di tenere conto di ogni possibile fonte di economia e di
diseconomia e rispondere alle caratteristiche di un equilibrio di concorrenza perfetta. In
altri termini, i prezzi di un mercato efficiente dovrebbero riflettere il valore sociale delle
risorse e dovrebbero livellarsi ai costi marginali della produzione, così come avverrebbe
in una situazione di concorrenza perfetta.
In realtà, in casi particolari, le attività svolte da certi soggetti possono far emergere effetti
positivi (o negativi) sul benessere di altri soggetti senza che questi ultimi debbano pagare
(o abbiano il diritto di farsi pagare) un prezzo adeguato : in altri termini, le attività in
questione fanno sorgere “esternalità” positive (o negative). Tipiche esternalità positive
sono ad esempio i benefici che l’attività di ricerca svolta da certe imprese genera a favore
di altre imprese, ove queste siano in grado di imitare le prime senza dover sostenere le
spese relative.
Le principali situazioni di “fallimento dei mercati” emergono dunque in presenza di
ampie esternalità nel sistema produttivo e di forme di mercato non perfettamente
concorrenziali (soprattutto monopolistiche o strettamente oligopolistiche). In queste
situazioni, i prezzi da un lato possono non riflettere interamente il valore sociale delle
risorse, dall’altro possono tendere a superare il livello dei costi marginali generando
extraprofitti non equamente distribuiti. L’argomento delle esternalità giustifica la
produzione pubblica innanzitutto nei casi limite dei beni pubblici, per i quali l’esistenza
stessa di un mercato è impossibile (es.difesa e giustizia).
Le imprese pubbliche vengono inoltre istituite per gestire i monopoli naturali, cioè quelle
produzioni di beni o servizi le cui funzioni di costo sono caratterizzate da illimitate
economie di scala (monopoli monoprodotto) e di varietà (monopoli multiprodotto) .
La privatizzazione
7
Si tratta in buona misura di “servizi di pubblica utilità”, quali l’energia, l’acqua, le
ferrovie, le telecomunicazioni ecc. In questi settori, la concentrazione della produzione e
distribuzione in un’unica impresa consentirebbe il massimo sfruttamento delle economie
di scala e di varietà, e quindi la minimizzazione dei costi. Nello stesso tempo la proprietà
pubblica, inducendo le imprese a adottare una politica di prezzi tendenzialmente
concorrenziali, dovrebbe ridurre le inefficienze allocative tipiche dei monopoli privati
guidati dall’obiettivo della massimizzazione dei profitti.
Considerato quanto illustrato finora, le premesse economiche delle privatizzazioni
devono essere esaminate tenendo presente due diverse problematiche: quella delle attività
che danno luogo ad effetti esterni e che, quindi, giustificano l’intervento pubblico sulla
base di considerazioni di efficienza, e quella delle attività che, pur avendo tutti i requisiti
per poter essere svolte da privati in base alle regole del mercato, per motivi storico-
ambientali sono state attribuite al settore pubblico.
La teoria del fallimento del mercato si fonda sul fatto che in alcune situazioni il mercato
non è in grado di soddisfare la domanda. Questo tipo di situazione si verifica soprattutto
in tre casi. In primo luogo, accade talvolta che la domanda non sia più stabile nel
mercato, come nel caso dei beni pubblici “puri” (tipico il caso del “bene difesa”), i quali
sono per definizione beni che non hanno un prezzo. Quindi l’imprenditore che li fornisse,
non vigendo il principio di esclusione, non troverebbe nessuno disposto a pagare quanto
è necessario per fargli recuperare i costi.
Un secondo caso comprende le situazioni di esternalità, non così intense come nel caso
dei beni pubblici puri, dato che comprendono attività che possono essere svolte da
privati, che però si presume non abbiamo sufficiente interesse per spingere la loro
produzione oltre un certo livello, considerato sub-ottimale dal punto di vista della
collettività. E’ questo il caso dell’ Istruzione, per cui vige il principio di esclusione, ma di
cui si pensa che il privato non sia in grado di valutare l’importanza sociale (qualora si
tratti di attività che danno luogo ad un vantaggio per la collettività: vale il contrario per le
esternalità negative, che sono invece prodotte in eccesso).
Ci troviamo, in questi casi, in presenza di beni misti, tra pubblici e privati, in una
situazione intermedia, cioè tra quella dei beni pubblici puri e quella dei beni privati. In
realtà vi è tutta una elaborazione teorica al riguardo, che sostiene come questi beni