Riti funerari nell'Egitto romano
La mummificazione
La credenza di una vita dopo la morte è una delle caratteristiche più evidenti delle civiltà egiziana. Il defunto doveva sopravvivere alla morte fisica e ciò avveniva attraverso la mummificazione che permetteva all’anima di acquistare, indipendentemente dal suo status sociale , lo stato di sahu, ossia di nobile.
Le prime testimonianze su una buona tecnica di mummificazione risalgono al periodo della IV dinastia. Il collasso del potere centrale nel Primo Periodo Intermedio, si manifestò nel declino delle pratiche funerarie, continuando nel Secondo Periodo Intermedio durante il quale vi fu una semplificazione della mummificazione. Con la XVIII dinastia l’Egitto ritornò unificato e visse un nuovo splendore dando l’avvio al Nuovo Regno.
Durante questo periodo la prosperità riportò al massimo le tecniche di mummificazione che si andarono evolvendo poiché la rimozione del cervello attraverso il naso diventò una pratica standardizzata. All’epoca della XXI dinastia la tecnica della mummificazione raggiunse la perfezione: gli organi interni vennero rimessi nel corpo, vennero creati degli occhi artificiali e messi degli spessori nel corpo per dare volume alle membra.
La tecnica utilizzata per la mummificazione, durante il periodo faraonico la apprendiamo da alcuni papiri (papiro Rhind, papiro 3 di Boulaq e papiro 5158) e dagli autori antichi, tra cui soprattutto Diodoro Siculo e Erodoto. Quest’ultimo ci informa che durante il periodo faraonico esistevano tre metodi che si differenziavano per complessità e costo.
La procedura standard prevedeva l'asportazione degli organi interni attraverso un'incisione sul lato sinistro del corpo o, attraverso la loro dissoluzione, grazie all'azione di oli iniettati tramite l'ano. Veniva asportato anche il cervello attraverso un foro praticato nel cranio, o attraverso il naso, tramite l'utilizzo di un uncino. Dopo di che, il corpo veniva coperto di natron affinché i tessuti si disidratassero, per un periodo che andava dai 40 ai 70 giorni. La fase successiva riguardava il bendaggio del corpo.
Questa grande raffinatezza nella procedura di mummificazione andò rarefacendosi di pari passo con il declino della civiltà faraonica, ed infatti, di norma, durante il periodo romano la qualità dei metodi di conservazione fu mediocre e ridotta al minimo (solo eviscerazione ed essiccazione) fino a comprendere, nei secoli III e IV della nostra era, il solo trattamento con il sale, senza più eviscerazione né ablazione del cervello. La superficialità nel trattamento in questo periodo è confermato dalle analisi a raggi x effettuate su varie mummie, che hanno evidenziato delle manipolazioni da parte dei mummificatori, che alteravano le dimensioni dei cadaveri in base ai sarcofagi che avevano a disposizione.
Alcuni studiosi, tra cui Dunand e Zivie-Coche, non concordando con l’idea di questa “decadenza” della mummificazione e sostengono invece l’idea che per il periodo romano si debba parlare di mummificazione meno costosa.
Una caratteristica del periodo finale tolemaico e dell'inizio del periodo romano fu l'uso abbondante della resina liquida sia nelle cavità del corpo, che sulla sua superficie (tale consuetudine venne abbandonata nel IV sec).
Altra innovazione del tardo periodo tolemaico, diffusasi poi pienamente a partire dal I sec d.C. fu la doratura di alcune parti del corpo (mani, piedi, naso, bocca, dita, genitali, seni, labbra) attraverso la stesura di una sottilissima lamina d'oro, che doveva ricordare la carne degli dei ed averne anche le qualità, ossia l'incorruttibilità e la purezza.
Il bendaggio, in epoca romana, era ben curato: le bende, molto spesso ripiegate longitudinalmente in modo da non far vedere il bordo sfrangiato, formavano dei motivi geometrici: losanghe, quadrati, motivi a spina di pesce, a cassettoni, poi ulteriormente valorizzati attraverso l'uso del colore, di solito bianco, rosso e nero. In effetti avevamo vari tipi di bendaggio, disposto in modo da creare una decorazione a rombi, oppure, dipinto ad imitazione della pelle di pantera, o ancora reso come se fosse un lenzuolo rosso sul quale erano dipinte delle scenette in oro (fine I sec-II sec d.C).
Il culto e la conservazione del corpo del defunto seppur idee estranee al mondo classico furono adottate quindi, dai Greci e dai Romani residenti in Egitto, soprattutto nella chora, come dimostrano i vari ritrovamenti avvenuti in necropoli distanti dalle grandi città ellenistiche.
In epoca romana, la mummificazione avveniva dopo aver chiesto il permesso alle autorità. La famiglia dava il corpo del defunto al paraschista e al taricheuta affinché avvenisse la procedura, frequentemente non effettuata immediatamente come dimostra la presenza di larve nei corpi, segno che era già iniziata la decomposizione.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Riti funerari nell'Egitto romano
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Informazioni tesi
Autore: | Monica Piccoli |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Lecce |
Facoltà: | Beni culturali |
Corso: | Scienze dei beni culturali |
Relatore: | Paola Davoli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 101 |
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