Cervantes tra follia e tragedia: ''El licenciado Vidriera''

Prendiamo ora in considerazione l’uomo: «L’uomo in carne e ossa, quello che nasce, soffre e muore – soprattutto muore –, quello che mangia e beve, gioca edorme, pensa e ama: l’uomo che si vede e che si ascolta». Tralasciamo quindi l’altro tipo di uomo, l’uomo astratto di cui parla la scienza e spesso la filosofia, in definitiva l’uomo-idea. Essere uomo significa, quindi, essere qualcosa di concreto, unitario e sostanziale, dotato di ragione e, soprattutto, di sentimento.
Proprio quest’ultimo, e non la ragione, è per Unamuno ciò che maggiormente contraddistingue l’uomo dagli altri animali: «Più spesso ho visto ragionare un gatto di quanto non lo abbia visto piangere o ridere. Può darsi che pianga o che rida dentro di sé, ma può anche darsi che un granchio dentro di sé risolva equazioni di secondo grado». La sua essenza non è altro che il tentativo e lo sforzo che deve compiere per continuare ad essere uomo, per non morire: la tensione mediante la quale tenta inesorabilmente di perdurare. Tale tensione si identifica con l’istinto di conservazione, necessario per la sopravvivenza dal punto di vista fisiologico, e con l’istinto di perpetuazione, indispensabile per la conservazione della società umana. Ma l’uomo non si accontenta di perdurare per un lasso di tempo finito, vorrebbe non morire mai: questo anelito di immortalità rappresenta la sua essenza più profonda. Essenza che denota un inevitabile lato tragico, dovuto alla consapevolezza che prima o poi la fine è destinata a sopraggiungere. Siamo dinnanzi al “sentimento tragico della vita”, ossia ad un inevitabile desiderio di immortalità, che muove l’agire di ogni uomo, dell’uomo don Chisciotte così come dell’uomo Vidriera: uno sforzo costante nel tentativo di conservarsi attraverso la gloria, la fama o la fede poiché l’uomo non può e non sa assolutamente percepirsi come non esistente.