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Il cinema di Marco Ferreri nell'Italia degli anni Sessanta

Crisi della mascolinità nell’individuo ferreriano

Dopo aver ampiamente esaminato la condizione sociale italiana degli anni Sessanta con le sue contraddizioni e “mostruosità”, Marco Ferreri prosegue la sua analisi concentrando l’attenzione sull’incomunicabilità tra i due sessi, liberandosi sempre più da una costruzione narrativa classica. Già all’interno della ricca filmografia ferreriana degli anni Sessanta, inizia a farsi strada con grande convinzione un diffuso senso di decadenza e disfacimento che accompagnerà il cinema dell’autore fino all’ultimo Nitrato d’argento (1996). In particolar modo è l’individuo maschile a trovarsi in una profonda e irreversibile crisi fisica e morale, che lo porterà ad affrontare le proprie insicurezze più profonde e a confrontarsi con l’indecifrabile universo femminile. Le opere prese in esame in questa terza parte riguardano le ossessioni, le perversioni e il senso di impotenza e inadeguatezza che pervadono totalmente l’individuo ferreriano.
Nel periodo trascorso in Italia il regista meneghino è stato più volte coinvolto in operazioni cinematografiche “a episodi”, mostrando spesso di non essere completamente a proprio agio con le caratteristiche di questo specifico formato; Il professore può essere considerato come la proverbiale eccezione che conferma la regola. Nel maggio del 1963, qualche mese prima di girare La donna scimmia, Ferreri si trova a Spoleto per dirigere il secondo atto di Controsesso (1964), un film a episodi che tratta tematiche sessuali in maniera più o meno azzeccata. I restanti episodi sono Cocaina di domenica e Una donna d’affari, interpretati entrambi da Nino Manfredi e diretti rispettivamente da Franco Rossi e Renato Castellani. In origine Controsesso doveva essere composto da tre episodi diretti interamente da Ferreri, tra cui uno interpretato da Vittorio Gassman intitolato Il fiasco, ma a causa dei timori del produttore Carlo Ponti, rimasto ampiamente scottato dalle peripezie de La donna scimmia, si decise di coinvolgere diversi registi. Il professore è il frutto della grande intesa artistica e personale tra Ferreri e Azcona, i quali hanno cucito su misura di Ugo Tognazzi un personaggio complesso e tragicomico.
Nell’ultimo anno di scuola magistrale di un istituto femminile, un professore scrupoloso e severo ritira i compiti in classe mentre avverte le alunne che prenderà le dovute precauzioni in vista dell’ultimo esame del semestre. Una volta uscite le ragazze, l’insegnante passeggia tra i banchi vuoti raccogliendo gli oggetti smarriti e ispezionando i fogli accartocciati. A casa l’insegnante corregge i compiti mentre viene accudito dalla nonna e la vecchia balia, due anziane zelanti ed estremamente invadenti. Nel pomeriggio si reca nel centro di Spoleto per acquistare una “comoda” da un antiquario e un vaso che si adatti alla stessa, prima di prendere una “coppa del nonno” al bar. Dopo aver testato la comoda e il vaso a casa, il professore decide di posizionare l’orinatoio all’interno dell’armadio della classe, in modo da evitare tentazioni di copiatura da parte delle alunne. Il rumore effettuato dall’alunna Zanetti, coperto da una marcetta e quindi inudibile per lo spettatore, provoca una fragorosa risata da parte della classe. All’uscita dalla scuola, l’alunna Zanetti attende il professore con un gran sorriso, ma l’uomo scappa sconvolto verso la fontana della piazza, dove scoppia in un pianto isterico.
In questo riuscito episodio di soli trenta minuti, Ferreri preannuncia una certa rarefazione narrativa che porterà avanti nelle sue opere successive. Adriano Aprà ha cosi osservato in una sua attenta analisi:

…Ferreri fa qui anche la prova generale di un metodo nuovo, che sarà impiegato, per esempio, in L’uomo dei 5 palloni e in Dillinger è morto: riduzione dell’intreccio e una situazione; conversione del tempo narrativo in durata; analisi del comportamento di un personaggio centrale seguito – quasi una parodia del “pedinamento” zavattiniano – nei minimi dettagli delle sue azioni. Il neorealismo di Ferreri esplode.

Il tempo filmico si tramuta sempre più in durata reale e l’intera dinamica dell’intreccio si risolve semplicemente scrutando il comportamento e il percorso intrapreso dal protagonista, perseguitato dalle sue pulsioni e perversioni che lo condurranno alla rovina fisica o morale. Il professore è figlio e prigioniero della società conservatrice che lo circonda, un ambiente costituito da severe leggi morali dove il desiderio sessuale deve essere represso e biasimato. L’uomo senza nome è una vittima dell’istituzione che rappresenta con il suo ruolo di insegnante, ridotto ad accettare un massaggio ai piedi dalle due anziane a casa perché costretto a reprimere le proprie pulsioni riguardo le giovani alunne. La crisi del protagonista si trova nel suo rapporto impossibile con l’universo femminile che lo circonda e dal quale riesce a malapena a difendersi con efficacia. La donna, definita dallo stesso come «uno strano animale, una vita completamente dominata dal sesso», è indecifrabile, una creatura che lo intimorisce e da cui si protegge con le barriere che si è costruito attorno: l’ampia cattedra, gli occhiali spessi e la sua virtuosa austerità.
Il professore viene tratteggiato da Ferreri per mezzo dei suoi gesti e movimenti, in maniera totalmente “antipsicologica”, utilizzando il tatto come unico modo per comunicare con il mondo esterno alla sua gabbia. Sui titoli di testa l’insegnante si massaggia un piede nascosto dalla cattedra, mentre a fine lezione trasferisce il calore da una sedia al proprio viso. Tramite l’udito sceglie il vaso con il suono più adatto e costruisce lo stratagemma perverso dell’orinatoio in classe, mentre la vista è lo strumento adatto ad esplorare l’universo proibito delle tentazioni che lo circondano. Il professore indossa gli occhiali quando deve leggere o esaminare qualcosa da vicino ma li sfila nel momento in cui l’oggetto si trova più lontano; in questo modo sembra isolarsi e difendersi dalle alunne in classe quando decide di non togliere gli occhiali, mentre vuole scrutare con attenzione la donna che allatta al bar quando sceglie di sfilare gli occhiali e assaporare il suo gelato (come il bimbo assapora il suo latte). Anche in questo caso le musiche composte da Teo Usuelli sono quanto mai azzeccate nella loro funzione narrativa e di caratterizzazione della psicologia del personaggio. Quando la pulsione erotica prevale, come nel caso della perlustrazione dei banchi o del suono a noi precluso dell’alunna Zanetti, la marcetta è circense e ridicola, mentre quando il professore si trova solo e rilassato in casa, con una calza in testa per preservare la pettinatura, la musica diegetica ricorda i canti fascisti. La connotazione fascista del professore serve a creare una veloce ed efficace rappresentazione di un individuo emarginato e devoto ad un’ormai antiquato ideale di ordine e rigore; Ferreri aveva utilizzato un simile espediente, ma con un diverso obiettivo, avvolgendo il Tognazzi de La donna scimmia in una bandiera monarchica a mo’ di camicia da notte.
Il luogo principale nel quale si muove il professore è la scuola, uno spazio mostruoso dove viene preservata una cultura stantia e un insieme di valori completamente antiquati, che ben simboleggiano la squallida vita di provincia al di fuori dall’aula. Il “micro-cosmo” scolastico riassume e riproduce in piccolo esattamente le stesse dinamiche classiste ed autoritarie ereditate dall’Italia del secondo dopoguerra. Questo mondo è costituito dalla netta separazione tra la cattedra e i banchi, tra le giovani in rapida maturazione e la vecchiaia fisica e morale dell’uomo. Il professore è asserragliato dietro la sua cattedra formata da libri e clessidre, con le sue regole morali a fargli da scudo, con l’obiettivo di plasmare, adattare e piegare le giovani menti di fronte a lui; si deve addomesticare la gioventù, bisogna favorire l’esplodere della morte nell’esistenza giovanile e vitale propria dell’adolescenza. Soltanto quando si trova solo e indisturbato decide di abbandonare il proprio rifugio ed esplorare l’altro lato della barricata, i banchi finalmente liberi e disabitati. Il feticismo è il modo più naturale per soddisfare un desiderio innominabile, una pulsione assolutamente deprecabile nella squallida mentalità con cui è cresciuto. È proprio quell’impulso a reprimere le proprie voglie e i propri desideri che ha condotto il nostro protagonista ad essere così infelice e disperato. Ad una domanda a proposito de Il professore, Marco Ferreri ha esposto in maniera estremamente chiara il suo punto di vista riguardo al protagonista:

Non è un pervertito, nemmeno un personaggio romantico, né uno che decide di essere così; è soltanto un uomo che non è capace di reagire a certe situazioni, che se ne vergogna. Ma egli vive in una determinata società che gli permette di essere quello che è. Non considero mai dei personaggi isolati o degli eroi. Non direi che il Professore sia proprio un pervertito, questa tara è sua è della società.

In queste limpide parole, l’autore ha espresso un concetto essenziale per tutto il suo cinema, ovvero non descrivere mai un personaggio come un “caso isolato” o un “emarginato” o semplicemente come un “malato”; ognuno dei suoi personaggi è figlio della società in cui si trova, è giustificato nei suoi comportamenti dall’universo che lo circonda, quindi non bisogna fermarsi ad analizzare e giudicare il singolo ma l’intero contesto che lo contiene.
[…]

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Il cinema di Marco Ferreri nell'Italia degli anni Sessanta

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Informazioni tesi

  Autore: Federico Rizzo
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
  Corso: Cinema, Televisione e Produzione Multimediale
  Relatore: Stefania Parigi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 138

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