Mass media e movimenti sociali: il caso No TAV
Protest Paradigm
Il Protest Paradigm rappresenta l'insieme di routine produttive e strutture narrative ricorrenti, apprese attraverso la socializzazione professionale, influenzate ampiamente dal contesto redazionale (scrivere in una testata o in un'altra cambia radicalmente il testo del giornalista), dai valori notizia e dalle personali convinzioni del giornalista, che intervengono nella costruzione giornalistica della protesta. (Spina 2013) A seconda della percezione della radicalità dei movimenti di protesta da parte dei media, il risultato della comunicazione può produrre delegittimazione e demonizzazione, criminalizzazione o talvolta, quando la condizione del movimento di protesta non viene percepite come troppo radicale, anche il sostegno della protesta e dei manifestanti. Nel caso del movimento No–Tav però la percezione è chiaramente radicale, e il processo di delegittimazione, e successivamente di criminalizzazione, messo in campo dai media avviene attraverso tre processi fondamentali:
1) l'imposizione di un frame principale, che varia da testata a testata; 2) il riferimento pressoché ricorrente e acritico a fonti istituzionali; 3) l'appello all'opinione pubblica.
Tra i numerosi schemi interpretativi della complessità di un conflitto sociale, schemi tra loro in competizione, il processo di produzione delle notizie seleziona più frequentemente e prioritariamente quelli schemi che sono riconducibili alla cronaca nera, alla violenza e alla criminalità. Il racconto giornalistico, così, evidenzia eventuali azioni violente dei manifestanti, solitamente contrapponendole alla paura e alle preoccupazione dei residenti, e in contrasto con la polizia che cerca di 'restaurare un clima di legalità', viene dato ampio spazio e peso agli scontri e ai feriti, al caos e al disagio, rimarcandolo anche là dove in realtà non ce n'è. Altre volte, ma meno frequenti, le manifestazioni di protesta vengono inquadrate con toni ironici e teatrali, con inquadramenti da circo o carnevale, e talvolta inserendo l'aspetto della decadenza morale dei manifestanti. Da qui, tutti quegli eventi che non corrispondono a tali schemi, e ai valori-notizia ad essi sottesi, rischiano di non ottenere alcuna copertura mediatica e quindi di non ricevere alcuna visibilità e risonanza: diventano, appunto, non eventi. Questa rappresentazione stereotipata della protesta sociale, che inquadra i movimenti come rivolte strettamente violente, avviene indifferentemente dalla congruenza di questo schema con lo svolgimento effettivo degli eventi, e soprattutto tralasciando ed oscurando le motivazioni del conflitto, la razionalità democratica e la proposta politica dei contestatori. L'effetto cognitivo che questo schema ha sui contestatori è l'assimilazione di comportamenti devianti, se non proprio criminali, e il suo effetto politico sarà la marginalizzazione e l'isolamento del movimento sociale dal contesto nel quale vuole esprimersi.
Il problema in un inquadramento attraverso frames che riducono la complessità dei movimenti, accumunando tutti i tipi di proteste e comunità, assimilando le ragioni dell'opposizione, eliminando le differenze di contesto, progetto e processo decisionale, è che la forza organizzativa e simbolica del Protest Paradigm fa sì che le ragionevoli critiche degli oppositori, non passando sul piano mediatico nazionale, non compensano gli effetti negativi dei fatti di cronaca che raccontano la loro mobilitazione.
Un'altra caratteristica ricorrente del protest paradigm è il ricorso privilegiato da parte dell'informazione giornalistica a fonti ritenute attendibili e affidabili, rappresentate da istituzioni, politici e forze dell'ordine, ossia tutte quelle fonti che, essendo già note, si dotano di un tono autorevole. È evidente come questo, nel caso dei movimenti di protesta, sia un paradosso, essendo quasi sempre proprio le istituzioni il principale bersaglio della protesta in atto. In questa maniera si crea un evidente cortocircuito del sistema che non lascia spazio e legittimità agli oppositori. Nel suo contesto, l'attendibilità e la notorietà attribuita alle autorità di pubblica sicurezza ha un'ulteriore conseguenza: il 'problema' della protesta viene orientato, quando si instaura questo meccanismo, verso temi di ordine pubblico e criminalità, riconducendoli al più ampio e radicato frame di 'legge e ordine', marginalizzando ulteriormente motivi della protesta, e contestatori stessi.
Nel paradigma della narrazione della protesta, infine, un ruolo di primaria importanza è ricoperto dal ricorso all'opinione pubblica. Attraverso quegli aspetti demoscopici, quali le lettere ai giornali, le interviste ai testimoni, i sondaggi o le telefonate degli ascoltatori, i commenti sui social e sulle pagine internet, le redazioni si autoproclamano portatori fedeli della voce della maggioranza silenziosa dei cittadini. Questo meccanismo messo in atto, oltre alla sua implicita ed equivoca generalizzazione di opinioni pur sempre parziali e non rappresentative, ha come conseguenza una divisione netta e totale tra il cittadino che si esprime e il manifestante che ha agito, quindi della 'società civile' dai rivoltosi. Si evidenzia una bystander perspective (Gamson 2004 ), ossia la prospettiva di chi non prende parte al conflitto, ma contingentemente, preoccupato esclusivamente dai disordini e dai disagi provocati dal protrarsi indefinito della protesta, auspica al più presto una sua risoluzione, indifferentemente dalla risoluzione della contesa politica o meno, non curante della posta in gioco. Per quanto riguarda il movimento No–Tav, il richiamo effettuato all'opinione pubblica si realizza attraverso all'equazione, proposta da decisori pubblici e stakeholders privati, tra la realizzazione della grande opera da un lato e il bene comune, declinato come opportunità economiche, come spinta verso il progresso, sfide della globalizzazione, dall'altro.
Sono chiare in questa dinamica come, richiamando anche l'idea di volontà generale garantita dalla regola della maggioranza e dalla conseguente legittimità delle decisioni politiche, le decisioni dell'opinione pubblica siano ormai prese in base alle tendenze neopopuliste del discorso pubblico.
La copertura mediatica del movimento No-Tav, caratterizzata certo dagli schemi del protest paradigm, presenta però una particolarità. A proposito della copertura mediatica del movimento vi è un graduale passaggio dalla retorica volta alla delegittimazione, che inizialmente passava dalla sindrome NIMBY (not in my back yard) ad un vero e proprio processo di criminalizzazione e costruzione del nemico, che passa dalla costruzione della figura del black bloc, quanto di quella del terrorista, come evidente anche dalla recente denuncia ai danni del movimento di associazione a delinquere.
Questo salto di qualità dei frames strumentali al controllo sociale sembra accompagnarsi di pari passo ad una progressiva torsione esistenziale vissuta dagli attivisti e un conseguente divenire comunitario del movimento. Elementi divenuti predominanti grazie alla costanza e alla quotidianità con cui il movimento, dentro e fuori da esso, pone in essere le sue strategie di resistenza. Il processo di criminalizzazione messo in atto ai danni del movimento è infatti messo in crisi dal movimento stesso, soprattutto sul territorio valsusino: quando la criminalizzazione è centrale, gli attivisti mostrano di opporre tutt'un insieme di contro- condotte, la loro "arte di non essere governati in questo modo e a questo prezzo" (Foucault 1990, pp 35). Dei tre nodi centrali del movimento, il sapere, il progresso e la democrazia, come già sopracitati, in particolare è importante evidenziare la capacità strumentale di produrre e diffondere un sapere collettivo tecnico-scientifico sull'opera in grado di opporsi al sapere dominante. Non solo sapere tecnico-scientifico e politico ma, a seguito dell'imputazione grave e infamante di terrorismo del 2011, il movimento si è dotato anche di un sapere giuridico collettivo. Ma la partita del sapere non si gioca solo sul piano materiale della lotta, piuttosto è un sintomo di un conflitto reale tra diverse concezioni del sapere stesso. Di fronte al potere dei media nel costruire consenso sociale attraverso la formazione dell'opinione pubblica, e alla creazione e proclamazione di un sapere dominante, il movimento ha creato un nuovo modo di pensare, creare e diffondere sapere, a causa dell'impellenza di un sapere non meramente conoscitivo, ma necessario per prendere posizione. (Chiaromonte 2019)
Questo brano è tratto dalla tesi:
Mass media e movimenti sociali: il caso No TAV
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Informazioni tesi
Autore: | Filippo Mellara |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università degli Studi di Ferrara |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Alfredo Alietti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 65 |
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