Il meme: un linguaggio postmediale
Il meme
“Non si può non comunicare” è il primo assioma della comunicazione della Scuola di Palo Alto, corrente psicologica statunitense che elaborò i cinque principi della comunicazione e che rappresentano una certezza nel continuo cambiamento della comunicazione. Comunicare è sempre più facile (almeno apparentemente nelle forme, ma non necessariamente nei contenuti) grazie all’interattività, alla replicabilità e alle piattaforme social che hanno creato nuove sfere di socialità, nuovi modi per interagire, nuove opportunità per socializzare.
L’assetto mediale contemporaneo rappresenta una condizione importante per la nascita e lo sviluppo di un nuovo linguaggio multimediale e transmediale, la memetica appunto, poiché esso è sincretico e come tale si basa sull’uso simultaneo di codici comunicativi differenti, e in più i propri prodotti circolano in un ecosistema mediale complesso. Le caratteristiche del linguaggio memetico, secondo Dawkins, sono longevità, fecondità e fedeltà di copiatura: questi tre cardini della memetica vengono amplificati da Internet. Oggi conosciamo il meme come una ‘burla’ digitale che accorda una parte visiva con una narrazione, ironizzando sulla routine quotidiana.
Come afferma Shifman:
“i meme sono oggetti digitali che condividono caratteristiche comuni di contenuti, forma e posizione […] elementi che sono stati creati con consapevolezza l’uno dall’altro, concetti che sono stati messi in circolo, imitati, e trasformati tramite molti utenti”.
Nella parte dedicata alle FAQ di KnowYour MEME.com, il più grande archivio dei meme, viene recuperato il pensiero di Richard Dawkins:
“il meme è come un’idea espressa attraverso un mezzo di qualsiasi genere, capace di essere imitata consciamente, ovvero condivisa volontariamente”.
La volontarietà è ciò che caratterizza la condivisione del meme e che lo distingue dal semplice contenuto virale che propaga passivamente copie identiche a sé stesso. Il meme sente l’esigenza della spinta virale ma quando si diffonde, crea copie diverse di sé. Come dichiara efficacemente Lolli:
“I meme sono tra noi e tutti li conosciamo, li condividiamo, talvolta li creiamo. Il dominio dei meme cresce di giorno in giorno e si sono diffusi a tutti i livelli della comunicazione”.
Il linguaggio dei meme è figlio della Remix Culture e il suo sviluppo avviene nel contesto collettivo che non ha un ideatore definito ed evidente. Nella complessità narrativa del Web, tutti possono diventare autori di un meme per poi diffonderlo nell’ecosistema mondiale.
“Chi produce un meme non intende creare qualcosa di unico o dar vita a una creazione spettacolare quanto raggiungere il maggior numero di persone possibile tramite il senso di appartenenza e la condivisione di affinità affettive e la sua comprensione richiede la mobilitazione di una serie di conoscenze classificatorie”.
Un meraviglioso ciclo e riciclo di immagini, video, estratti di film o di testo, brani, foto, che rapidamente si memificano. Chi naviga il Web ha la possibilità e l’altissima probabilità di incontrare un meme che può modificare e reiventare egli stesso entro una sfera linguistica e culturale definita, affinché ne vengano compresi il significato e lo spirito. La prospettiva ironica del linguaggio memetico riesce a rubare un sorriso perché con il meme è concesso dire quasi tutto, su qualsiasi argomento: una delle caratteristiche fondamentali, incarnata dalla sua fluidità, permette ai meme di ricontestualizzarsi in ambiti diversi. Ciascuna immagine memificata riflette, per gli antropologi, un particolare di un processo culturale: “L’umanità che non si prende sul serio, la capacità di ridere del mondo che ci circonda e quindi ridere di noi stessi”. Il “nonsense” e l’ironia, l’immediatezza comunicativa sono caratteristiche tipiche del linguaggio memificato: il meme si presenta come un “inside joke globale”. La risata è una componente basilare per l’umanità: il sociologo Peter Berger nel suo Homo Ridens evidenziava che la forza di un comico sta non tanto nel resistere agli ostacoli ma nel trarre forza e insegnamento da essi. Anche Michele Knobel e Colin Lankshear hanno affermato che l’umorismo ironico è un elemento vincente per la realizzazione di un meme di successo.
Secondo Ryan Milner, scrittore e professore nel dipartimento di comunicazione del College of Charleston in South Carolina, con il meme, vengono remixati elementi che la sociolinguista Deborah Tannen chiama “elementi fissi ed elementi nuovi, cioè familiari ed estranei; questo genera un bilanciamento tra il “collettivo e l’individuo, tra l’universale e il particolare”125. Deborah Tannen, nella sua analisi sull'intertestualità e sulla ripetizione nel dialogo, afferma che è "il gioco tra fissità e novità […] rende possibile la creazione di senso”. “Attraverso la continua ri-elaborazione, i meme si configurano come “lingua franca” per la compartecipazione culturale, una vulgata fatta di sottointesi comprensibili su scala planetaria.” Sono una forma di “creatività vernacolare” in cui gli individui possono esprimere se stessi in una forma di comunicazione volgare, aderendo a pratiche estetiche ampiamente accettate dalla comunità e quindi per questo intese. Si crea un dialogo multimodale tra creatore individuale e immaginazione popolare. Il fenomeno memetico diventa così una forma di mediazione culturale.
Sono stati individuati diversi generi di meme: tali generi hanno un ruolo decisivo nella modalità di costruzione dell’identità di una community e nel disegnarne i limiti. Ryan Milner evidenzia che è necessaria avere una determinata competenza per comprendere la battuta memetica.
Limor Shifman, docente presso il Dipartimento di Comunicazione e Giornalismo dell'Università Ebraica di Gerusalemme, condivide il pensiero di Milner e sostiene che la diversità dei generi del linguaggio memetico è lo specchio del diverso livello di conoscenza delle persone: ci sono meme che possono essere generati da tutti e altri no, proprio perché esigono un grado di alfabetizzazione maggiore.
I meme possono sembrare artefatti, apparentemente banali, in realtà riflettono profonde strutture sociali e culturali: potrebbe quasi apparire come un tratto postmoderno del folklore popolare che condivide norme e valori attraverso manufatti culturali che passa anche attraverso le immagini photoshoppate. Software di editing e applicazioni nate sull’onda della ‘rivoluzione’ portata nei computer di tutti con Photoshop - programma di grafica ed editing visivo ormai diventato prestito e verbo in italiano - hanno dato una potente spinta alla nascita dell’umorismo digitale. Un esempio è “Reaction Photoshop”, un vero e proprio genere secondo la Shifman, caratterizzato dal fatto di produrre ‘reaction’ a un qualche contenuto virale partendo dalla modifica e dal remix di foto note e diventate a propria volta virali. Ne è un esempio “Il turista della morte”: il giovane ungherese Peter Guzli, dopo aver inoltrato ai suoi amici una foto ‘bufala’ che lo ritraeva sul tetto di una delle Torri Gemelle l’11 settembre 2001, si è ritrovato ben presto protagonista di tutti i meme catastrofici e tragici.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il meme: un linguaggio postmediale
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Informazioni tesi
Autore: | Maria Donata Ricciardi |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università Telematica Internazionale Uninettuno |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Giorgia Iovane |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 96 |
FAQ
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