Moralità e religione nei cosiddetti "Scritti teologici giovanili" di Hegel
Una cristologia “morale”: la vita di Gesù
Il complesso che va sotto il nome di Scritti teologici giovanili, pubblicati da Hermann Nohl nel 1907, comprende un saggio intitolato La vita di Gesù (in tedesco Das Leben Jesu), risalente nella sua redazione alla primavera del 1795, dove il filosofo di Stoccarda rivisita la figura di Gesù di Nazareth alla luce del presupposto razionalistico di una separazione del Gesù della storia dal Cristo della fede.
I risultati della ricerca sul Gesù storico, ai quali pervengono le indagini di Hermann Samuel Reimarus e di altri intellettuali, secondo il criterio di restituire il personaggio, nella sua piena umanità, al di là dei rivestimenti soprannaturali o “mitologici” operati dalle Chiese istituzionali, lasciano insoddisfatto il giovane Hegel. Per quest'ultimo Gesù di Nazareth non fu per niente un agitatore politico messo a morte dai romani (in connivenza con il sinedrio ebraico di Gerusalemme) per velleità sediziose, del quale i discepoli, dopo averne trafugato la salma e spacciandolo per “risorto”, attribuirono al suo messaggio un senso solo religioso e spirituale. Gli obiettivi del Leben Jesu sorvolano su quelli della ricerca storico - critica, ed Hegel non intende elaborare una biografia a partire da una ricostruzione scientifica delle fonti del Nuovo Testamento. Per lui Cristo rimane un personaggio effettivamente esistito, per cui occorre solo espungere dai Vangeli canonici il soprannaturalismo e il riferimento al miracolo. Gesù deve apparirgli allora come l'autentico scopritore della vera moralità e della legge morale insite in ognuno di noi, rivelandosi ai suoi occhi come un maestro di sapienza, di dottrina e di buoni costumi, tutto proteso alla restaurazione della vera religione di Israele, della quale critica solo gli aspetti formalistici e giuridici più oppressivi, custoditi e difesi dai grandi sacerdoti, in collaborazione con i farisei, i sadducei e i dottori della legge di Mosé.
Leggendo questo saggio del giovane Hegel possiamo constatare come il maestro galileo si qualifichi quale intellettuale riformatore alla stessa stregua dei philosophes del secolo dei Lumi, con la missione di “risvegliare” rigenerando l'umanità attraverso la lotta contro il pregiudizio, ricollegandosi idealmente al movimento dell'Aufklärung e all'indirizzo razionalistico fiorente nel resto d'Euro pa nel corso del XVIII secolo.
È innegabile il diritto di discernere ne La vita di Gesù una lettura dei Vangeli canonici fatta alla luce della filosofia kantiana, riscontrando in questo saggio gli echi della Critica della Ragion Pratica del 1788 e de La religione entro i limiti della semplice ragione del 1793. Quasi tutti gli interpreti di Hegel concordano su questa constatazione, ferma restando la presenza, nel suddetto scritto, di tratti originali che inducono a sostenere come questa dipendenza del filosofo di Stoccarda dal professore di Königsberg non sia puramente passiva, tenendo conto anche della recettività che il filosofo di Stoccarda prova nei confronti dei più diversi stimoli culturali provenienti da Lessing, Herder, Schiller, Hölderlin, Schleiermacher, Fichte.
Diverse interpretazioni sono state date del Leben Jesu, anche se possono sembrarci piuttosto valide oggi, ma fortemente riduttive se prese ognuna per sé stante, nel ricostruire il contesto storico ed esistenziale nel quale ha avuto origine questo saggio. Il giovane Hegel non nasconde la sua insofferenza nei confronti della Chiesa istituzionale luterana (alla quale pur appartiene ufficialmente) che si fa sostegno del regime politico prussiano allora avvertito da lui come dispotico, in modo analogo all'atteggiamento critico che Gesù di Nazareth, ai suoi tempi, ebbe nei confronti delle convenzioni assunte dalla gerarchia sacerdotale del suo popolo e verso il legalismo farisaico e rabbinico che rendeva monolitica, asfittica ed oppressiva la stessa religione di Israele, comportando discriminazioni che colpivano intere categorie di uomini. Questa del Leben Jesu appare come una riflessione “in chiave retrospettiva” sulla vita di Gesù di Nazareth con intenti di critica politica.
Cristo si fece sostenitore di una critica innovativa, addirittura rivoluzionaria, simile a quella dei razionalisti del XVIII secolo. Negli anni della Rivoluzione francese Hegel e Schelling, e in modo ancor più incisivo Hölderlin, incarnano la figura dell'intellettuale impegnato nei territori di lingua tedesca. Il giovane Hegel, pur discostandosi dalle conseguenze di un Illuminismo radicale e distruttivo, del quale trovano alimento il dottrinarismo di Robespierre, il massimalismo di anticlericali come Jacques - René Hebért, quindi la politica del Terrore giacobino, si convince che è possibile delegittimare la dimensione istituzionale della Chiesa (di quella luterana, in primo luogo, che è anche una Chiesa di Sta to) e dei suoi apparati di potere, richiamandosi a quello che deve essere il vero fondamento della sua esistenza: vale a dire recuperando l'autentico messaggio di Gesù di Nazareth. Un tale messaggio si può riscoprire o mediante una biografia “scientificamente” curata del vero o presunto messia, oppure attraverso una interpretazione degli episodi evangelici fatta alla luce della filosofia kantiana esposta nella Critica della Ragion Pratica e ne La religione entro i limiti della semplice ragione.
Il giovane Hegel segue questo secondo itinerario di indagine, con in mano la Bibbia di Lutero, con una decisa insistenza nel delineare parafrasi di versetti evangelici, senza dare alcuna importanza ed alcun peso tanto ad un esame filologico di termini semitici e greci ricorrenti nei quattro Vangeli canonici, quanto ad una seria attività di ricostruzione delle frasi nel contesto storico - geografico e in relazione ai temi di teologia che Gesù esponeva, per cui, per un principio di onestà intellettuale, si può con buone ragioni dubitare che il Leben Jesu contenga il genuino pensiero di Cristo.
Lo scritto in questione nasce da una giustapposizione della filosofia kantiana alle fonti neotestamentarie. Ma qual è il principio regolativo di una tale indagine ? L'autonomia morale del soggetto connessa al rifiuto del principio di autorità (soprattutto se quest'ultima si pone come esterna allo stesso soggetto raziocinante).
Per il giovane Hegel, al riguardo, non ci sono dubbi: Gesù Cristo lottò per il principio della morale autonoma fino all'ultimo, fino a subire una morte atroce per crocifissione, alla pari di tanti altri grandi ingegni dell'umanità, incompresi ed osteggiati dal potere di turno dei despoti e dai pregiudizi di un popolino ignorante — sui quali tale potere si fondava — che resisteva alle novità e al progresso.
Secondo questo scritto hegeliano, Cristo intese fondare una nuova religione ? In nessun passo de La vita di Gesù ricorre in modo esplicito questa domanda che può apparire retorica, ma in realtà non lo è, in quanto la risposta che se ne potrà dare rimarrà ambivalente: sì per un verso e no per un altro. Gesù fu un ebreo vissuto in Palestina al tempo degli imperatori Augusto e Tiberio. Si tratta di un dato ineccepibile, ma rimane controversa, ancor oggi, l'ipotesi che il maestro di Nazareth abbia voluto riformare il Giudaismo al proprio interno, senza alcun proposito di fondare una nuova religione. Come pure rimane controversa la supposizione che sia stato Paolo di Tarso il vero fondatore del cristianesimo.
Nel Leben Jesu si dà un intreccio profondo, anzi una coincidenza tra la moralità e la religione, in quanto un uomo che segue la via della “virtù”, la “dedizione al bene assoluto” in forza della sola ragione, è la stessa persona che rende il dovuto ed autentico “culto a Dio supremo legislatore”. Senza però dimenticare che l'esistenza di Dio, anche se non teoricamente dimostrabile secondo le delucidazioni kantiane, è pur sempre un fatto dello spirito umano, un postulato, come ci insegna la Critica della Ragion Pratica che l'assume come principio architettonico della nostra condotta morale, richiesto quale garante supremo nella remunerazione nei confronti del bene e del male compiuti dagli uomini.
Secondo il giovane Hegel, Gesù di Nazareth volle più che fondare, rifondare e restaurare la vera religione che è quella secondo la ragione, risolvendosi in poche necessarie credenze: l'esistenza di Dio, la creazione dell'universo e dell'uomo libero, l'anima dell'uomo spirituale ed immortale che dovrà andare incontro all'eternità secondo il premio o il castigo.
Esaminando quest'altro saggio di contenuto teologico, possiamo constatare come, secondo il Leben Jesu, Gesù abbia alluso a queste credenze universali perché ricorrenti nelle altre religioni come in quella ebraica, riproponendole nella loro purezza ed integrità, allontanandole da fuorvianti incrostazioni “mitologiche” e/o dogmatiche, caratterizzandosi quale testimone più puro e più autorevole di come la ragione possa essere capace da sola di fondare la legge morale. Sempre per il giovane Hegel, Gesù non intese fondare una nuova religione dogmatica basata su una rivelazione divina “ad extra”, di cui era depositaria la chiesa primitiva e alla quale si ricollegano oggi tutte le confessioni cristiane. Solo espungendo il soprannaturalismo dalle fonti del Nuovo Testamento, può apparire verosimile la teoria di chi nega o mostra incertezza nell'indicare in Gesù di Nazareth il vero fondatore del cristianesimo.
Un dilemma che non può porre in imbarazzo il filosofo Hegel, pensando ai suoi successivi tentativi di riproporre in termini speculativi la Rivelazione cristiana, svuotando (nel concetto) gli stessi eventi storico - salvifici, narrati nella Sacra Scrittura, del loro vero, o presunto tale, carattere oggettivo.
La vita di Gesù non fa allusione, neanche in modo implicito, alla prospettiva teologica di una ‘incarnazione divina' e della sua “unicità”, oggetto di analisi negli scritti successivi di Hegel e che daranno di questa un'interpretazione in senso “mitico”. E non fa riferimento neanche al principio soteriologico del ‘sacrificio espiatorio' per le colpe di un'estesa moltitudine (si cfr. Mt. 20,28; Mc. 10,45) o, meglio, per i peccati di tutti gli uomini. Pur narrando l'episodio della crocifissione, il filosofo di Stoccarda sembra non offrire indicazioni nel delineare una ‘staurolo gia' ruotante attorno alla valenza ontologica di questo evento, essendo quest'ultimo uno dei temi principali di tutto il Nuovo Testamento, sviluppato soprattutto nella letteratura paolina e strettamente caro allo stesso Lutero. Nessuna allusione alla ‘Resurrezione': infatti il Leben Jesu conclude la vicenda terrena del maestro di Nazareth con la sua affrettata sepoltura. Insomma, manca lo “specifico teologico cristiano” in questo saggio hegeliano. Gesù diventa un personaggio non dissimile da Socrate o da qualche altro celebre sapiente dell'antichità.
Il mio lavoro evidenzierà che certe categorie, che ricorreranno nella matura speculazione di Hegel, sono già presenti « in nuce » nei suoi scritti giovanili. Tanto per citarne alcune: le nozioni di scissione, di alienazione, di coscienza infelice, di autocoscienza, che permettono di stabilire anche una certa linea di continuità tra i primi scritti del filosofo di Stoccarda e le opere successive, in primo luogo la Fenomenologia dello Spirito del 1807.
Essendo figlio del proprio tempo, Hegel non può non fare i conti con il Romanticismo, nonostante che la sua filosofia, imperniata sulla ragione dialettica e non certo sul tema del sentimento, difficilmente può essere inquadrata nel contesto di questo indirizzo culturale che si diffonde nei territori europei tra gli ultimi decenni del secolo XVIII e la metà di quello successivo.
Basti pensare solo all'amicizia con Friedrich Hölderlin e all'ammirazione di entrambi per la civiltà ellenica, nel porre l'attenzione sull'ideale di un'armonia originaria tra l'uomo e la società e tra l'uomo e la natura. Un tale convincimento si riflette nell'idea che sta anche alla base del primo scritto di Hegel, Religione popolare e Cristianesimo: egli evidenzia come la religione greca sia una perfetta religione popolare (Volksreligion), adeguata a una piccola città - stato quale è la polis, avente i caratteri della soggettività e della istituzionalità, impegnando la fantasia e il cuore di ogni singolo individuo e, nel contempo, identificandosi con i costumi e le tradizioni di una civiltà.
La speculazione di Hegel è stata suscettibile di sviluppo nel tempo, ma un'idea gli è rimasta sempre fissa nella mente: quella di una comunità organica che persiste sia in un atteggiamento inizialmente favorevole alla Rivoluzione francese, sia in quello di sostegno convinto e intransigente dei regimi della Restaurazione post - napoleonica. Un organicismo che non trae le sue radici né dal contrattualismo rousseauiano, avente il suo punto di forza nel concetto di una volontà generale, né tantomeno dalle astrazioni dell'individualismo liberale: in esso si può rivendicare sì la “libertà” da apparati oppressivi di una comunità che produrrebbero gli effetti del conformismo e dell'omologazione, ma una “libertà” intesa come capacità di tradurre il proprio volere nella realtà politica, sociale e religiosa, alla quale si appartiene.
Invece di risultare fattore di unione tra i popoli, tra i membri di una sola nazione, tra l'interiorità e l'esteriorità, tra la morale e il diritto, tra lo spirito e la natura, tra Dio e l'uomo, la “religione rivelata” permette, paradossalmente secondo questo saggio del giovane Hegel, la “scissione di entrambi i termini” e il prodotto di una tale scissione che è la coscienza infelice. Per comprendere il Leben Jesu è opportuno relazionarsi al primo scritto hegeliano, Religione popolare e Cristianesimo. Il popolo ebraico è stato quello che ha incarnato più di ogni altro questa figura della coscienza infelice, con la sua credenza in un Dio soprannaturale ed inaccessibile all'uomo e con la concezione dell'eteronomia della Torah, l'una e l'altra poggianti sull'Antico Testamento e sul sacerdozio levitico, con la conseguenza di aver prodotto disuguaglianze e discriminazioni. E il ‘cristianesimo positivo', nonostante il riconoscimento del principio della libertà di coscienza individuale, ha perpetuato queste forme alienanti di servitù. Gli Scritti teologici giovanili rispecchiano un antisemitismo di fondo che non assume, tuttavia, i caratteri estremi e deleteri di un razzismo biologico che persevera ancora in tempi a noi recenti.
Hölderlin si propone di contrastare lo spirito lacerato della modernità, aspirando ad un ideale di armonia perduta attraverso un sentimento di nostalgia e di malinconia per un mondo ormai arcaico e stilizzato. Del resto, l'Illuminismo ha contribuito ad alimentare il divario tra l'essere e il dover essere, e il giovane Hegel, constatando la mediocrità di un contesto civile e sociale che caratterizza la Germania di fine Settecento, non cerca di guardare certo all'indietro, come il suo amico e collega di studi, ma tende a seguire il corso del mondo, attento a recepire quelle che possano essere indovinate come le prospettive di superamento di questa scissione in senso socio - politico - culturale - religioso, dove la ragione diventa vitale e la vita diventa razionale.
Leggendo quindi con attenzione La vita di Gesù, secondo l'ottica della disalienazione, si può constatare come l'obiettivo dell'autore non sia quello di comporre una semplice biografia del presunto o reale Messia, tanto meno curata dal punto di vista scientifico, quanto quello di mostrarci, al di là di un ebreo vissuto in Palestina all'epoca di Augusto e Tiberio, un Gesù Cristo estemporaneo che si erge al di sopra delle religioni rivelate, anche nei confronti dello stesso cristianesimo dogmatico, facendosi promotore di perenni e genuini valori e cantore di una nuova bellezza divina e umana.
Che l'armonia tra l'uomo e i suoi simili, tra l'uomo e l'intero universo, tra la parte e il tutto, secondo una felice formula greca ricorrente nel libro Hyperion o l'eremi ta in Grecia di Holderlin, “hen kai pan” (“uno e tutto”), per il giovane Hegel sia un'astrazione se intesa come unità immediata, è una constatazione plausibile; ma una tale armonia, soprattutto, va vista come una possibilità da tradursi nella realtà concreta attraverso la mediazione. Come asserisce Jean Wahl al riguardo:
"Se l'universo deve essere totalità bella, sostanza piena, e altresì spirito, riflessione incessantemente rinnovata, si comprende come il problema della beatificazione del particolare, della beatificazione della sofferenza e della coscienza infelice sia al centro di questa filosofia, come debbano essere unite le idee d'un dolore infinito e d'una felice totalità. Hegel sa che questa totalità non può essere raggiunta che attraverso la lotta e la sofferenza. (...) Non c'è per lui riconciliazione perfetta se non si é passati per gli stati della più completa lacerazione e del dolore infinito” (1).
Il filosofo di Stoccarda non può guardare alla lacerazione dello spirito moderno se non in modo speranzoso e tutt'altro che negativo. Ci si sarebbe pervenuti prima o poi ad una “totalità piena” attraverso la lotta e la sofferenza. Cristo ha insegnato ed anticipato, già con i suoi insegnamenti e la sua vicenda terrena, questa presa di consapevolezza fatta propria da Hegel.
Ora procedo ad una analisi delle categorie della legge morale, del Regno di Dio, della vera religione, dell' amore, principali tematiche del ministero pubblico di Gesù di Nazareth in terra di Palestina, come vengono affrontate nel Leben Jesu.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Moralità e religione nei cosiddetti "Scritti teologici giovanili" di Hegel
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Informazioni tesi
Autore: | Francesco Cuccaro |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Marco Ivaldo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 199 |
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