Polisensualismo: il coinvolgimento dei sensi nella persuasione del consumatore
Il marketing ama i colori
Negli ultimi anni, sulla scia del grande interesse sviluppatosi intorno alla capacità di influenzare l’uomo che viene ormai unanimemente riconosciuta al colore, esso è entrato come protagonista assoluto all’interno del dibattito sul marketing emozionale ed esperienziale. In un mercato maturo, sempre più sofisticato e annoiato, la marketing experience, come abbiamo visto, punta sul recupero emozionale del consumatore, attraverso vere e proprie aggressioni polisensoriali.
I sensi non sono indipendenti l’uno dall’altro e quindi ciò che vediamo può avere delle ripercussioni su altre sensazioni e viceversa. Il visual marketing può essere quindi considerato una nuova retorica dell’immagine finalizzata alla persuasione del potenziale consumatore. Il colore è il belletto di prodotti e marchi, come e più del packaging e dello stesso logo, non avendo altre funzioni primarie apparenti oltre l'ornare, rendendoli così più piacevoli e accattivanti. Ma non si tratta solo di una questione estetica. I colori, o meglio il sistema dei colori, serve a marche e prodotti posizionamento.
Le chance di essere intercettati e riconosciuti dall'occhio sempre più distratto del consumatore crescono nella misura in cui, ad esempio, si assume un colore inedito per il proprio settore di vendita. Gli svizzeri Jean-Paul Favre e André November, specialisti del colore applicato ai contenitori, nelle loro ricerche dimostrano che, come già detto, i colori hanno caratteristiche fisionomiche che trasmettono significati emotivi. Questa peculiarità può essere sfruttata per suggerire al consumatore determinate impressioni, per trasmettergli un messaggio senza l’uso delle parole. Così, ad esempio, l’etichetta con una combinazione di giallo e verdolino fa pensare a un alimento acido e l’effetto suggestivo pare aumentare se l’etichetta e i caratteri della dicitura sono spigolosi, mentre l’etichetta con una combinazione di rosa intenso e lilla tenue fa pensare a un alimento dolce o sciropposo e anche in questo caso, l’effetto sembra aumentare se l’etichetta è rotondeggiante e i caratteri sono curvilinei, leggeri e ricchi di ornamenti;
Altro aspetto fondamentale da tenere d’occhio per chi si occupa di visul marketing è l’impatto del colore nella pubblicità, che sebbene poco studiato è stato registrato da numerose ricerche. Tra le prime, quelle Di Sparkman e Austin (1980) che condussero uno studio sulle pubblicità a colori e su quelle in bianco e nero diffuse sui giornali del Texas. A seconda dei i casi la medesima pubblicità inserzionisti, il variare dell’affluenza e delle vendite dei prodotti pubblicizzati. Si scoprì che in generale la presenza del colore nelle inserzioni permetteva di aumentare le vendite medie del 41%, con punte massime di oltre il 50%. In uno studio successivo, anche Morrison e Vogel (1998) confermarono la maggiore incisività del colore. Dimostrarono che gli argomenti presentati su una diapositiva a colori avevano, rispetto a quelli presentati in bianco e nero, una maggiore forza persuasiva. Inoltre la superiorità del colore era manifesta anche sulla migliore memorizzazione delle informazioni.
A conferma dei risultati dimostrati da Morrison e Vogel sulla memoria, Percy e Rossiter (1983) dimostrarono che un manifesto pubblicitario, a prescindere da quale sia la sua dimensione, è valutato migliore e il suo contenuto e meglio memorizzato quando è a colori. È, dunque, la natura psicografica del colore e il suo legarsi a doppio filo alla percezione emozionale del soggetto che affascina in primo luogo il marketing. Nel condurre un’analisi completa del vasto universo del marketing visivo, sarebbe però chiaramente riduttivo limitarsi ad analizzare solo gli effetti, se pur evidenti, del colore. Il visual marketing, come detto, infatti, analizza, al fine di ottimizzarlo, il rapporto completo esistente tra oggetto, contesto e comunicative che riescono a caricare il prodotto di emozioni, grazie a un’immagine suadente, attraente, studiata nei minimi particolari.
Considerare la natura interattiva della visione permette dunque di allargare l’area d’intervento del marketing visivo, includendo nello studio le caratteristiche degli oggetti esposti alla radiazione e il tipo di radiazione stessa, così come il tipo di illuminazione ricevuta, le angolazioni visive, i contesti di fruizione umana ed in generale le caratteristiche del fruitore. I prodotti e le loro seguenti commercializzazioni andranno, quindi, progettati in funzione delle tipologie d’illuminazione che sono destinate a ricevere e delle modalità fruitive reali: un arredamento per interni, per esempio, dovrebbe essere pensato non solo in funzione dell’utilizzo, ma anche valutando il tipo e le modalità di illuminazione cui sarà sottoposto e le posizioni spaziali dalle quali sarà osservato. Non è, in sostanza, la merce che deve essere esposta in funzione delle strutture a disposizione, bensì sono le stesse strutture che devono essere pensate e modellate in funzione della merce. Luci sbagliate e il cattivo funzionamento delle stesse, dunque, rischiano di creare stanchezza e perfino disturbi visivi.
L’illuminazione errata si riverbera sull’immagine dell’ambiente, che viene percepito triste, spento e smorto con una influenza duplice: fisiologica e psicologica. Le sensazioni nemmeno, producendo, inevitabilmente, le condizioni per la riduzione del fatturato o comunque una sostanziale insoddisfazione e insofferenza da parte del compratore rispetto al clima di acquisto. La scenografia dell’illuminazione è una variabile di marketing estremamente importante nei punti vendita.
In un centro commerciale, Demarco (2004) ha osservato e filmato, a loro insaputa, più 13000 mila persone nel momento in cui queste arrivavano in prossimità dei negozi di prodotti per la salute e la nutrizione, dimostrando l’innegabile importanza di una buona illuminazione. Quando la vetrina era illuminata il 4,6% dei passanti, guardava, infatti, dentro i negozi contro il 2,6% di quelli che passavano con la vetrina non illuminata. Inoltre fra chi osservava in condizione di luce, il 33% portava a termine acquisti contro un misero 14,3% nella condizione opposta. In una precedente serie di esperimenti gli antropologi Kim e Areni (1994) avevano testato i comportamenti di clienti, uomini e donne, nell’area dei vini di un ristorante americano. In questa zona, veniva manipolata l’illuminazione così che la luce fosse viva o soffusa. I risultati mostrarono risultati che possono sembrare paradossali. Una luce viva, pur favorendo la ricerca delle informazioni, fa abbassare le vendite. Di contro in condizione di luce soffusa l’ammontare medio di spesa è maggiore. In buona sostanza, in un ambiente caratterizzato dalla penombra tipica delle cantine, la luce soffusa sembrerebbe indurre acquisti meno numerosi ma di prezzo più elevato.
L’ambiente esterno viene dunque ancora una volta associato al prodotto. I dati riportati non devono però portare dei facili entusiasmi, bisogna, infatti, tenere sempre a mente che la realtà comportamentale non è mai semplice da comprendere. Se si desidera realmente influenzare i comportamenti dei consumatori occorre, dunque, spingersi molto avanti nell’indagine scientifica, perché se è pur vero che una luce più o meno forte o la scelta di questo o quel colore può avere degli effetti positivi sui consumi, in fatto di sensi le cose sono lungi dall’essere semplici e le ricette facili non sempre esistono. È necessario dunque valutare attentamente e profondamente tutti i possibili fattori per evitare di cadere in facili errori.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Polisensualismo: il coinvolgimento dei sensi nella persuasione del consumatore
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Informazioni tesi
Autore: | Nicola Puliafico |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Messina |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Mario Graziano |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 102 |
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