Etica e finanza a confronto. Una riflessione psicosociale sul consumo critico.
Il commercio equo e solidale: un prodotto dell'economia del terzo tipo
Il commercio equo e solidale, il CEES, «è una modalità di relazione commerciale tra i produttori del Sud del mondo e i consumatori finali del Nord, alternativa a quella tradizionale. I prodotti del commercio equo e solidale si differenziano da quelli del commercio tradizionale non per la qualità, ma per la natura e le caratteristiche del processo produttivo» (Becchetti, Paganetto, 2005, pag. 116). In particolar modo tali prodotti vengono realizzati in gran parte nei paesi in via di sviluppo e venduti in quelli industrializzati nel rispetto di alcuni criteri, definiti dalle organizzazioni internazionali di commercio equo e solidale e sintetizzati in:
- definizione di un prezzo equo, tale da garantire ai lavoratori di soddisfare i bisogni fondamentali e condurre uno stile di vita dignitoso. Questo prezzo è concordato dal produttore e dall’importatore e non imposto dal potere di mercato degli importatori tradizionali;
- garantire la piena dignità del lavoro. Questo criterio richiede la sostenibilità sociale del processo produttivo e si riferisce in particolar modo alla presenza di un luogo di lavoro salubre e alla non discriminazione de alcuni gruppi di lavoratori, come le donne o i disabili;
- presenza di democrazia nell’ambiente di lavoro. I prodotti del CEES provengono da comunità particolarmente attente alla partecipazione di tutti i membri in modo da favorirne la responsabilizzazione ed un maggior coinvolgimento nella produzione;
- garantire un prefinanziamento dei partner commerciali del Sud del mondo. Al momento in cui viene effettuato l’ordine, l’importatore anticipa fino al 50% del pagamento complessivo in modo da ridurre al minimo il rischio del blocco dell’attività produttiva a causa di vincoli finanziari e problemi di accesso al credito;
- realizzare procedure sostenibili dal punto di vista ambientale, evitando di ricorrere all’importazione di materie prime scarse difficilmente riproducibili e ricorrendo all’agricoltura biologica;
- investire in beni pubblici locali, in modo da dare «priorità a progetti nei quali il surplus ricavato dai produttori locali, grazie ai maggiori introiti derivanti dallo scambio equo e solidale, deve essere destinato a investimenti che incrementino la produzione di beni pubblici locali di rilevante impatto sociale» (Gesualdi, 2007, pag. 123);
- garantire la trasparenza nelle relazioni commerciali. Tale criterio implica che il consumatore sia consapevole e pienamente informato riguardo la destinazione di ogni componente del prezzo pagato per il prodotto.
[…]
Si è riscontrato che la nascita del commercio equo e solidale, come anche del risparmio etico, abbia generato un effetto di “domanda rivelata” capace di rendere le imprese tradizionali coscienti del fatto che un loro maggiore e costante impegno nei riguardi dei problemi di responsabilità sociale potrebbe essere premiato dal mercato. Infatti, se ad una prima impressione i criteri del CEES sopra descritti possono apparire in contrasto con i principi dell’economia di mercato, è stato riscontrato come questi siano addirittura in grado di correggere alcuni dei fallimenti del mercato del primo e del secondo tipo.
Uno dei punti maggiormente controversi e dibattuti riguarda la definizione di un prezzo equo, in netta contraddizione con il sistema di formazione dei prezzi nel libero mercato. È necessario sottolineare come nei mercati mondiali dei prodotti agricoli e artigianali venduti da paesi del Sud del mondo esistono due tipi di transazioni: relazione diretta con il compratore o vendita a prezzi stabiliti dalle borse merci mondiali. In entrambi i casi si generano tre tipi di problemi: la presenza di una forte variabilità dei prezzi, l’effetto del progresso tecnologico che genera l’aumento dell’offerta e di concorrenza in assenza di aumenti della domanda generando un drastico ribasso dei prezzi, la scarsa considerazione del ruolo dei produttori delle materie prime, considerati poco specializzati e quindi esposti a forme di contratto instabili e spesso illegali. In questo scenario la presenza di un prezzo minimo riduce il rischio dei venditori, rappresenta un limite alla tendenza al ribasso dei prezzi, evitando che questi scendano al di sotto del livello in grado di assicurare un livello dignitoso di benessere ed incorpora il salario pagato ai produttori sottovalutati, totalmente assente in un mercato monopsonistico (ovvero quella forma di mercato caratterizzata da un numero indefinito di venditori e da un unico compratore).
L’effetto di aumento del benessere dei consumatori rappresenta un secondo esempio utile a capire come il CEES non rappresenti una distorsione del mercato, ma offra la possibilità di un mercato di beni contingenti: se infatti si abbandona una prospettiva prettamente riduzionista e si considerano elementi quali la tutela dell’ambiente o la solidarietà come fattori in grado di aumentare il benessere, appare chiaro come quest’ultimo risulti inferiore in un mercato di stampo tradizionale. Uno studio di Adriani e Becchetti (2000) chiarisce questa teoria evidenziando come in assenza di prodotti equosolidali sul mercato, l’aumento del grado di solidarietà dei consumatori genera un peggioramento della soddisfazione generale. Insoddisfatti risultano infatti i consumatori, che non trovano i prodotti sugli scaffali, insoddisfatta l’impresa che offre prodotti tradizionali la cui domanda diminuisce drasticamente, insoddisfatti infine i consumatori tradizionali, che risentono dell’aumento dei prezzi del prodotti dovuto al calo della domanda. Questo quadro “apocalittico” dimostra come il CEES, lungi dall’essere una distorsione, rappresenti invece una possibilità di ridurre il fenomeno dell’incompletezza, ovvero dell’assenza di alcune tipologie di mercati che non consente, di conseguenza, la piena soddisfazione di tutti i consumatori.
Un terzo elemento da non sottovalutare è l’effetto indiretto sulle imprese tradizionali. La creazione di un mercato solidale mostra alle imprese tradizionali la presenza di un numero elevato di consumatori etici; questa consapevolezza spinge l’impresa ad adottare processi produttivi socialmente responsabili al fine di attirare a sé una fetta di consumatori, via via sempre maggiore. È sempre più ampio il numero di imprese, in particolar modo del settore alimentare, che adottano criteri equi e solidali per la loro gestione.
Oltre a questi fattori, comunque legati all’interesse imprenditoriale della massimizzazione del profitto, ve ne sono altri di natura prettamente sociale, come ad esempio la riduzione del lavoro minorile: l’interesse verso questo tema così diffuso e delicato si era limitato, nel corso degli anni, a politiche e normative che bandissero dal mercato i prodotti derivati da questa forma di lavoro, offrendo una risoluzione semplicistica e superficiale del problema. Per scardinarlo alla radice, il commercio equo e solidale mira a far raggiungere alle famiglie del Sud del mondo un’indipendenza economica (includendo ad esempio nelle caratteristiche del prodotto un trasferimento di reddito verso i produttori del Sud) che consenta il mantenimento dei propri figli.
L’errata convinzione che il commercio equo e solidale possa rappresentare una distorsione del mercato tradizionale deriva da un’errata concezione del CEES e dei suoi criteri: questo non nasce in un’ottica di antiglobalizzazione o di “boicottaggio” dell’economia di primo tipo, ma ne rappresenta un’estensione, quasi il naturale evolversi dovuto ad una maggiore consapevolezza etica dei consumatori e conseguentemente delle aziende, restando comunque rispondente ai loro interessi.
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Etica e finanza a confronto. Una riflessione psicosociale sul consumo critico.
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Informazioni tesi
Autore: | Pamela Pedone |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Bari |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia dell'Organizzazione e della Comunicazione |
Relatore: | Michela Cortini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 119 |
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