I Mondiali di calcio. Un evento oltre lo sport
Neotelevisione e spettacolarizzazione
Abbiamo già accennato al fatto che la televisione italiana degli ultimi venticinque anni è profondamente diversa da quella delle origini, essendosi indissolubilmente legata ai concetti di intrattenimento e spettacolarizzazione. Vediamo ora quali sono state le cause che hanno portato a questa trasformazione.
Nel nostro Paese il servizio televisivo cominciò il 3 gennaio 1954, sotto il monopolio della Rai, emittente pubblica. I suoi intenti, di stampo pedagogico e paternalistico, erano chiari: alfabetizzare e acculturare il popolo italiano, puntando molto sulla qualità del servizio. Gli spettatori si dovevano abbonare pagando un canone ed era quindi fondamentale la loro soddisfazione.
A metà degli anni settanta cominciarono a sorgere, prima illegalmente, poi legalizzate, le prime televisioni private, piccole realtà di ambito locale. Intanto la Rai ampliava la propria offerta, aggiungendo un terzo canale.
Nel 1984 il gruppo Fininvest raggiunse le stesso numero di reti della tv di stato, dando inizio all’era del “duopolio”. Da questo momento in poi la televisione non sarebbe stata più la stessa. Le emittenti private si finanziano grazie alla pubblicità: gli inserzionisti pagano per ottenere uno spazio all’interno della programmazione, nel quale reclamizzano i loro prodotti o servizi, e ciò che li spinge a pagare di più è il numero maggiore di telespettatori. Gli ascolti sono quindi il principio dominante su cui questo tipo di emittenza si regge.
Per fare audience non era più indispensabile produrre trasmissioni di alta qualità e retaggio culturale, ma era essenziale proporre qualcosa che “incollasse” le persone al televisore. Ci si rese così conto della necessità di intrattenere il pubblico e si diede inizio ad un nuovo modo di fare tv, quello che Umberto Eco definì “neotelevisione”.
Anche la Rai, per non perdere il contatto con le grandi masse, si dovette adeguare a questa nuova tendenza, che inglobava i generi tradizionali e proponeva come tessuto connettivo della programmazione l’intrattenimento e la spettacolarizzazione. Ci si avvicinava in questo modo al modello americano e si riconosceva il potere dello spettatore, con cui bisognava sempre più scendere a patti.
Anche lo sport doveva sottostare a queste logiche, trasformandosi in “sportainment” e andando così ad assomigliare agli altri format d’intrattenimento. In particolare il calcio divenne un vero e proprio tema di narrazione televisiva, un genere altamente spettacolarizzato, con campioni che assumevano il ruolo di personaggi completi, di cui veniva messa in scena anche la vita privata. Un simbolo di questo fenomeno è il calciatore inglese David Beckham, più noto per le sue pubblicità e per le cronache rosa di cui è protagonista che per le sue imprese sul campo di gioco.
Prima il mezzo televisivo aveva un ruolo documentaristico rispetto all’evento, con la neotelevisione invece ha contribuito alla creazione del successo del calcio, che è passato così da programma per appassionati a spettacolo di stampo generalista, adatto a tutti. Trasmissioni come “Goleada”, “Mai dire Goal” e “Quelli che il calcio…” hanno avvicinato il mondo del pallone al grande pubblico, anche a quello femminile, generalmente poco interessato alle competizioni sportive. Più importanti dell’evento sono oggi i talk show, che dovrebbero fargli da corollario.
Questo brano è tratto dalla tesi:
I Mondiali di calcio. Un evento oltre lo sport
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Informazioni tesi
Autore: | Marco Turri |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi dell'Insubria |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Francesco Pierantozzi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 59 |
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