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Economia e Società nelle Marche del secondo dopoguerra

La società tra tradizione e modernità

Con gli anni Ottanta del „900 si entra in un periodo che Ugo Ascoli definisce come la “«fase due del modello adriatico: dopo la crescita industriale massiccia, spontanea, disordinata, basata sulla polverizzazione e la dispersione delle unità produttive, saremmo entrati, con gli anni ‘80, nella fase della “razionalizzazione”.” (Ascoli, 1983, p. 63).
In questo decennio l'industrializzazione delle Marche superò il livello medio dell'Italia, con un tasso di attivi nel settore industriale molto elevato. Va tenuto in considerazione che, questi ultimi comprendevano anche i disoccupati, i quali aumentarono in quel periodo e che i Censimenti dell'industria fecero registrare tra il 1981 e il 1991 una flessione degli addetti pari all'1,73%. Da questi dati si può ragionevolmente concludere che il tasso di industrializzazione della regione rimase stabile, ma, rispetto alle altre regioni, costituì comunque un buon risultato.
Gli anni Ottanta, dopo la fase espansiva dei due decenni precedenti rappresentano un momento riflessivo per i distretti marchigiani, anche a causa del venir meno di alcuni vantaggi competitivi – abbondanza e basso costo della manodopera – per l'accresciuta selettività, sul piano qualitativo, dei mercati di sbocco. In questi anni la produttività industriale della regione e dei suoi settori tradizionali cresce, anche se in modo più lento che nel resto d'Italia a causa delle difficoltà ad adattarsi alle nuove condizioni

che si stavano creando in quegli anni (Cfr. Alessandrini e Canullo, 1997).
Questo è un periodo di transizione e di razionalizzazione delle risorse accumulate precedentemente, in cui si delineano i caratteri del nuovo modello industriale, il quale non è ancora una struttura realmente differente dal passato, ma “ciò che risulta nuovo [...] è un certo piccolo numero di gruppi informali, abbozzi delle future forme di imprese a rete pluri-localizzata (R-P)” (Balloni e Iacobucci, 1997, p. 39).
Questo nuovo modello sarà la base industriale negli anni Novanta con un'elevata apertura organizzativa verso l'esterno, un'ottima e rapida abilità nel far fronte agli imprevisti o eventi inattesi e una buona visione del futuro, che garantirà la possibilità di prevedere e anticipare i cambiamenti ambientali. Inoltre tale visione svilupperà un capacità di apprendere e progredire sulla base di nuove conoscenze e, infine, migliorerà l'interazione e i rapporti con le altre imprese (Cfr. Balloni e Iacobucci, 1997).
[...]
Gli anni Ottanta non sono solo il momento in cui l'industria va razionalizzandosi con l'adozione di un modello più competitivo, ma sono anche il periodo in cui la regione inizia il processo di terziarizzazione.
Questo settore, seppur lentamente, nel 1982 raggiunse e superò l'industria come addetti (cosa avvenuta in Italia già nel 1976), mentre si assistette ad un calo dell'occupazione industriale e ad una ripresa del lavoro indipendente (Cfr. Carboni, 1987).
[...]
Si può quindi affermare che la struttura sociale della regione era costituita da una rilevante presenza della piccola borghesia imprenditiva e già nella prima metà degli anni '80 ci fu un aumento del lavoro in proprio, testimoniando quindi la vitalità del modello marchigiano, ma anche i suoi limiti.
Questa tabella pone in risalto anche un'altra caratteristica della struttura di classe marchigiana: la scarsa composizione, in termini quantitativi, di impiegati tecnici e dirigenti, cioè quel ceto intermedio che nel resto della penisola si è fatto carico del rinnovamento culturale a partire dagli anni Settanta.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Economia e Società nelle Marche del secondo dopoguerra

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Informazioni tesi

  Autore: Nicola Fabrizi
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze della politica
  Relatore: Roberto Segatori
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 197

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