Nella città, il futuro. Tre modelli di immaginario urbano nel cinema di fantascienza
Esistono affinità di percorso che legano due fenomeni peculiari dell’era contemporanea: da un lato, l’evoluzione del concetto e dell’immagine della metropoli intesa come forma e destino della contemporaneità, sia da un punto di vista strettamente fisico-estetico, sia da un punto di vista metafisico, sociologico, antropologico e culturale; dall’altro, la nascita ed il parallelo sviluppo dello strumento cinematografico come supremo mezzo di rappresentazione della contemporaneità stessa e, di conseguenza, della civiltà metropolitana del XX secolo.
Il cinema di fantascienza occupa una posizione del tutto particolare, poiché gode del privilegio di non doversi limitare alla riproduzione fedele di una metropoli esistente, ma al contrario può sbizzarrirsi nell’elaborazione di immaginari urbani non ancora esistiti, più o meno futuribili, traducendo sullo schermo in termini visuali credibili le diverse ipotesi di interpretazione estetico-filosofica dei potenziali sviluppi della civiltà umana.
Ho così individuato, all’interno del panorama del cinema di science-fiction (e più specificamente di quel filone che fa esplicito riferimento all’elemento urbano) tre esempi particolarmente significativi di tre differenti tipologie di rappresentazione della metropoli futura, che corrispondono di fatto ad altrettanti differenti modi di concepire il futuro e che hanno lasciato un’impronta netta nell’evoluzione del genere, imponendosi come modelli di ben precise ipotesi di interpretazione, prefigurazione e visualizzazione dell’immaginario metropolitano del futuro: Metropolis di Lang (1927), THX 1138 di Lucas (1970) e Blade Runner di Scott (1982).
Trattandosi di tre film che si collocano cronologicamente in tre momenti storici molto distanti tra loro, ho strutturato la mia analisi in tre capitoli monografici, tracciando per ciascuno di essi una breve sintesi introduttiva che ne inquadrasse il contesto storico ed il panorama cinematografico, fattori questi che hanno influito in modo decisivo sulle scelte rappresentative e che hanno condizionato il modo di rapportarsi al futuro e di immaginarlo, concretizzandolo nella creazione di scenari urbani futuristici.
L’immaginario proposto in Metropolis rivela come caratteristica peculiare una forte connotazione simbolica degli spazi urbani, a partire dalla stessa strutturazione della città per stratificazioni sovrapposte: cinque livelli metropolitani disposti lungo l’asse verticale a mo’ di piramide, in parte emersa, in parte sommersa come un iceberg: sopra il piano del suolo, lo spazio “aereo” della torre dei comandi, sede del potere, e quello “intermedio” della superficie metropolitana, luogo di flusso e di transito, che diventa nel finale luogo d’incontro, scontro e mediazione tra opposti; sotto il piano terrestre, nei meandri del sottosuolo, lo spazio del lavoro (la fabbrica), lo spazio della schiavitù (la città-bunker degli operai) e, per finire, lo spazio contraddittorio della resistenza, costruttiva finchè guidata dal fascino mistico e spirituale di Maria, distruttiva quando fomentata dalla malia perversa del suo doppio artificiale. A questa connotazione simbolica della stratificazione urbana si affianca una altrettanto profonda simbolizzazione dei personaggi e degli elementi scenografici che caratterizzano i singoli spazi rappresentati.
La metropoli proposta da Lucas in THX, proiettata in un remotissimo futuro, è figlia della filosofia distopica della società perfetta (un esempio su tutti: il Mondo nuovo di Huxley) e si pone come seguito ideale dell’incubo post-atomico de Il Dottor Stranamore di Kubrick (1964): una labirintica città sotterranea sviluppata esclusivamente in senso orizzontale, priva di coordinate spaziali tridimensionali e totalmente isolata da qualsiasi contatto con la naturalità esterna della superficie terrestre, devastata dalla contaminazione radioattiva di una deflagrazione nucleare planetaria. L’abitante di questa metropoli asettica e fastidiosamente pervasa da un’abbagliante luminosità artificiale, è una specie di automa, privato della sua natura di essere biologico e spogliato del suo diritto all’autonomia e alla libertà di pensiero. Viceversa, la metropoli sembra vivere di vita propria e la sua struttura somiglia a quella di un organismo vivente: occhi che spiano (le telecamere a circuito chiuso), una voce autoritaria che impartisce ordini (il sistema di filodiffusione), un cervello che coordina e sincronizza ogni azione (il potere occulto dell’informatizzazione), un cuore pulsante (il lavoro automatico degli operai) ed una linfa che scorre incessante lungo le arterie dei corridoi (la folla uniforme e standardizzata dei suoi abitanti).
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Informazioni tesi
Autore: | Maria Teresa Ferrari |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1999-00 |
Università: | Università degli Studi di Pavia |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Alberto Farassino |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 352 |
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