Irene Brin: Giornalista e scrittrice italiana (1914 – 1969).
La finalità di questo lavoro è stata quello di approfondire da vicino la figura di Irene Brin. Questa donna fu una scrittrice, viaggiatrice, mercante d’arte, signora di grandissima cultura e stile, ma soprattutto la prima giornalista di costume in Italia.
Attraverso i suoi scritti è possibile individuare l’evoluzione della società italiana tra le due guerre mondiali, in quanto lei è veramente una testimone del tempo.
A causa del complesso momento che attraversò l’Italia durante il conflitto è stato veramente complicato recuperare delle fonti che abbiano potuto riguardarla per ricostruire la sua vita in quanto una parte di materiale potrebbero essere stato perso e quello che è stato ritrovato è lacunoso.
Spesso l’attribuzione degli articoli alla Brin è stata fatta attraverso il confronto con lo stile e le argomentazioni da lei usate nelle sue opere firmate; in questo modo si è riuscito a delineare il tipo di persona che fu, l’ambiente che frequentò e i rapporti che intrattenne.
Irene Brin rappresenta uno spaccato interessante dell’evoluzione femminile, una donna molto diversa dal modello fascista; una donna che ha partecipato alla Resistenza e con la fine della guerra e la caduta del fascismo ha acquisito una maggiore consapevolezza della propria autonomia e del proprio valore.
Irene Brin aggiunge a questi caratteri di ‘modernità’ un suo apporto personale attraverso la moda. Come intellettuale comprende l’importanza della moda e del giornalismo di costume come strumento utile per l’emancipazione femminile e come mezzo per unificare l’Italia dopo la guerra, nel senso che il paese può trovarsi unito nell’elaborazione di un gusto comune.
Grazie allo straordinario mondo che frequenta (intellettuale e artistico sia italiano che americano) è una donna di mentalità aperta sebbene non rinunci mai a uno snobbismo sociale e culturale di fondo, tipico dell’alta borghesia di una grande città come Roma. A volte, infatti, il suo modo di approcciarsi alla gente comune può apparire abbastanza stucchevole e superficiale.
Fondamentale è inoltre il suo rapporto con l’America ed è proprio dal suo forte legame con quella nazione che introduce molte novità nel campo della moda e della cultura intorno al mondo della moda, anche se detestata il consumismo perché elimina la creatività.
Si chiamava Maria Vittoria Rossi ma nessuno ha saputo portare bene come lei lo pseudonimo Irene Brin. Fra i suoi tanti pseudonimi (Marlene, Mariù, Oriane, Geraldine Tron, Maria del Corso, Contessa Clara, Madame d’O), questo - trovatole da Leo Longanesi quando l’invitò a scrivere per Omnibus nel 1937 - divenne tutt’uno con lei perché più di tutti rispecchia la persona e il particolare tipo di giornalismo che lei incarnò: colto, brillante, leggero, talvolta caustico, mai superficiale, mai nemmeno sfiorato da un’ombra di volgarità.
Quando - in uno dei tanti consigli di saper vivere e di buona educazione che elargiva dalle colonne di Omnibus e poi da quelle della Settimana Incom di Luigi Barzini jr - si accorgeva di avere citato troppe celebrità, subito abbassava elegantemente il tono: “Perché non mi si accusi di citare solo i Grandi della Terra, aggiungerò che, durante una sosta nell’albergo principale di V., cittadina piemontese, seguii lo svolgersi di una festa danzante...”. Eppure era forse una delle donne più cosmopolite di quell’epoca euforica e contraddittoria che fu il secondo dopoguerra, perfettamente introdotta nella superstite grande nobiltà europea come nell’alta società americana e negli ambienti artistici e intellettuali, romani e non romani.
Solo a una come Irene Brin poteva capitare di passeggiare un pomeriggio del 1950 a New York per Park Avenue indossando un tailleur di Fabiani e di sentirsi interpellare da una scheletrica, ma elegantissima dama: «Ma dove l’ha preso quel tailleur? Di chi è?». Veramente indiscreta la signora, almeno secondo i canoni ferrei di riservatezza seguiti da Irene Brin e da lei suggeriti alle sue lettrici e ai suoi lettori, ma era pur sempre un’americana e andava scusata, anche perché rivelò chiamarsi Diana Vreeland, mitica e tremenda direttrice di Harper’s Bazaar, la più sofisticata delle riviste newyorchesi. Un ambiente elitario, questo, che mescolava moda e avanguardia culturale, dettando legge nel costume, nel comportamento, nelle scelte. La nuova collaboratrice Irene Brin non era da meno: a quell’epoca aveva già viaggiato il mondo in lungo e in largo e parlava cinque lingue.
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Informazioni tesi
Autore: | Silvia Marotta |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Facoltà: | Scienze della Formazione |
Corso: | Educazione ed Orientamento degli Adulti e Sviluppo dei Sistemi Formativi |
Relatore: | Elena Riva |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 151 |
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