Usi e abusi del crocifisso come simbolo etnoidentitario. Analisi semiotica del discorso giuridico, politico e giornalistico sul ''caso Lautsi''
Questa tesi ruota attorno a un processo giuridico. È il 22 aprile del 2002 e siamo ad Abano Terme (Pd), quando Soile Lautsi, cittadina italiana di origine finlandese durante un’assemblea di classe chiede la rimozione del crocifisso dalle aule della scuola pubblica frequentata dai due figli. A nulla vale il suo appellarsi al supremo principio di laicità e al diritto di educare i bambini secondo le proprie convinzioni filosofiche e religiose: perché la richiesta viene respinta. Soile Lautsi, però, non si perde d’animo e affronta nell’ordine il Tar del Veneto, la Corte Costituzionale e il Consiglio di Stato, ma da tutte queste sfide ne esce sempre sconfitta. Fino a che la questione non giunge di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che dà ragione alla signora Lautsi, affermando che l’esposizione del simbolo di una specifica confessione religiosa è lesivo della libertà religiosa degli indivdui, e condannando l’Italia a un risarcimento di 5000€ per pregiudizio morale.
A essere interessante non è stata la sentenza in sé ma il terremoto culturale a cui ha dato vita nella nostra semiosfera. Dal giorno successivo alla sentenza si sono moltiplicati i crocifissi grazie a specifiche ordinanze comunali o a stertegie ancora meno ortodosse: i blitz nelle scuole; nelle edicole, grazie a una raccolta di crocifissi artistici della Hobby&Work; nelle piazze, grazie alle distribuzioni pubbliche a opera del Pdl e della Lega Nord. E soprattutto tra i politici, i giornalisti ma anche tra la gente comune si sono moltiplicati i sedicenti cattolici o comunque i difensori della croce. Mi è parso che il crocifisso a cui ha fatto e fa riferimento il discorso politico e giornalistico non sia quel simbolo cattolico di redenzione, passione, sofferenza, resurrezione che tutti noi conosciamo, quanto un simbolo etnoidentario di una cultura italiana-europea-occidentale non meglio definita, e che dunque difesa del crocifisso sia un atto politico, e solo strumentalmente religioso. Ed è proprio questo movimento di difesa culturale, questa arroccamento confessionale che ho voluto indagare. Quindi, le domande che mi sono posto sono state: “Che cosa difende realmente chi a seguito della sentenza della Cedu ha detto di difendere il crocifisso?”. “Come mai a raggrupparsi attorno a questo simbolo è stata l’intera società italiana e non la comunità cattolica?”.
Approfondendo lo studio dell’argomento però mi sono fatto l’idea che per rispondere a queste domande non potevo limitarmi ad analizzare ciò che è stato detto e fatto dopo la sentenza Cedu, perché le recenti operazioni politiche in realtà non fanno altro che portare a compimento una civilizzazione del crocifisso cominciata con il fascismo e consolidata grazie al discorso giuridico italiano.
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Informazioni tesi
Autore: | Daniele Dodaro |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della Comunicazione |
Relatore: | Patrizia Violi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 334 |
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