Tutela obbligatoria contro il licenziamento nelle organizzazioni di tendenza e natura non imprenditoriale dell'attività esercitata
La questione affrontata è quella dei licenziamenti nelle c.d. organizzazioni di tendenza, che possiamo definire in via generica come quegli enti o quelle associazioni che perseguono finalità ideologicamente orientate.
Si tratta di una problematica che, precedentemente all’entrata in vigore della legge 108 del 1990, è stata profondamente dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza poiché, nel silenzio del legislatore, l’applicabilità o meno dello Statuto dei lavoratori a questa categoria di datori di lavoro suscitava notevoli margini di incertezza.
Adesso, secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 1° della legge 108, per le ipotesi di illegittimità del licenziamento, trova applicazione la tutela obbligatoria, in deroga al regime reale della stabilità del posto di lavoro, allorchè si tratti di “datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto”.
La formula della norma, tuttavia, ha suscitato diversi interrogativi, soprattutto laddove richiede, tra i presupposti della sua applicazione, un requisito di tipo negativo: il datore non deve poter essere qualificato imprenditore; e le difficoltà più evidenti sono state incontrate allorchè si trattava di chiarire il significato di “assenza di uno scopo di lucro”.
A ben vedere, sembrano esservi due diverse modalità di accertamento della natura non imprenditoriale dell’organizzazione di tendenza.
Secondo l’impostazione tradizionale, perché un’attività abbia natura imprenditoriale è sufficiente la sua idoneità, anche potenziale, a ricavare quanto necessario per consentire il pareggio del bilancio. In sostanza, ciò che rileverebbe è l’obiettiva economicità dell’attività esercitata in quanto ispirata al criterio della copertura dei costi con le entrate poiché è imprenditore chi oggettivamente produce ricchezza, indipendentemente dalla destinazione finale degli utili.
Secondo una diversa impostazione, invece, l’esercizio di un’attività in forme e modalità imprenditoriali non escluderebbe l’applicabilità della tutela obbligatoria, quando l’attività rimanga circoscritta alla sfera interna dell’organizzazione e sia, pertanto, puramente funzionale all’assistenza degli associati, senza essere rivolta a soggetti esterni. In tal caso, il fatto che essa produca ricchezza non assumerebbe alcun rilievo perché anche le organizzazioni di tendenza, per porsi in condizione di soddisfare gli scopi statutari, devono reperire le risorse indispensabili per operare con personale e mezzi.
Sotto il profilo testuale, non vi è dubbio che l’esenzione di cui all’art. 4, 1°comma della legge n. 108, non riguarda quei datori di lavoro che, sia pur svolgendo attività di carattere ideologico, lo facciano in qualità di imprenditori ed ispirandosi a criteri di economicità.
Per tale ragione verrebbero ad essere ricompresi nell’ambito di applicazione della tutela reale anche quegli enti o quelle associazioni il cui fine sia quello di sostenere o diffondere una particolare ideologia, ma che tale fine perseguono offrendo sul mercato i beni o i servizi da essi prodotti ad un prezzo che non sia meramente simbolico. Molti autori hanno considerato questa disciplina inadeguata poichè l’esigenza di garantire l’adesione dei lavoratori all’ideologia dell’organizzazione di tendenza, si presenta del tutto identica anche per quei datori di lavoro che svolgono un’attività economica, soprattutto ove questa risulti strettamente strumentale e funzionale all’ideologia perseguita.
In realtà l’equivoco nascerebbe dal fatto che autorevole dottrina non ha esitato ad identificare nell’art. 4 tutto il genus organizzazione di tendenza, considerando la norma in esame come il primo riconoscimento formale “generale” di questa realtà; e così si è espressa anche gran parte della giurisprudenza.
Ma, se oggetto della norma del 1990 fosse la tutela dell’indirizzo ideologico dell’organizzazione, non si comprenderebbe, ad esempio l’esclusione di attività finalizzate alla cura di persone e alla creazione di legami di socialità (come avviene per il vasto mondo del volontariato); né si comprenderebbe l’estensione della tutela obbligatoria anche alle organizzazioni culturali o di istruzione, le quali possono spesso non essere caratterizzate ideologicamente. Non sarebbe, infine, ragionevole lasciare privi di protezione i datori di lavoro imprenditori che svolgono palesemente un’attività ideale.
In realtà, secondo l’opinione di alcuni interpreti, la difesa dell’ideologia dell’organizzazione non dovrebbe essere considerata né lo scopo del precetto, né il suo criterio di interpretazione. L’articolo, invece, dovrebbe essere interpretato come protezione economica di un insieme di datori di lavoro che vengono ritenuti economicamente deboli: e ciò poiché essi svolgono, non in forma di impresa né a fini di lucro, le attività tassativamente enumerate nella norma.
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandra De Pascale |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Maria Rosaria Vigo Majello |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 47 |
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