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Felicità e società nel pensiero di C.-A. Helvétius

L’opera Felicità e società nel pensiero di C.-A. Helvétius si inserisce nella già ampia produzione bibliografica relativa al pensiero etico-politico di Helvétius. Essa intende approfondire quegli aspetti che sono stati trattati solo marginalmente o sono stati addirittura tralasciati dalla letteratura secondaria sinora prodotta. In particolar modo, la realizzazione di quest’opera è da intendersi come un tentativo di integrazione dell’ottimo lavoro di R. Mauzi, L’idée du bonheur dans la littérature et la pensée française au XVIIIe siècle (1960). Mauzi si limitava, infatti, a trattare il concetto di felicità nel pensiero di Helvétius quasi esclusivamente nella sua applicazione privata o individuale. Egli, in altri termini, trascurava quegli aspetti pubblici o sociali della felicità helveziana che qui, invece, ci si propone di evidenziare e analizzare più dettagliatamente. L’opera è suddivisa in tre parti. Nella prima vengono esaminate le linee fondamentali della gnoseologia e dell’antropologia di Helvétius, cioè le modalità e le possibilità conoscitive dello spirito umano, in relazione alla problematica dell’organisation. Nella seconda parte è esaminato il concetto di felicità da un punto di vista individuale (privato), in relazione alla dinamica bisogno-desiderio-piacere. Nella terza parte, infine, è esaminato il concetto di felicità da un punto di vista generale (pubblico), in relazione alle leggi e all’educazione come strumenti per la sua realizzazione.

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Mauro Bassetto, Felicità e società nel pensiero di C.-A. Helvétius, Università degli Studi di Torino, A.A. 1996/1997 III Introduzione L’opera Felicità e società nel pensiero di C.-A. Helvétius si inserisce nella già ampia produ- zione bibliografica relativa al pensiero etico-politico di Helvétius. Essa intende approfondire quegli aspetti che sono stati trattati solo marginalmente o sono stati addirittura tralasciati dalla letteratura secondaria sinora prodotta. In particolar modo, la realizzazione di quest’opera è da in- tendersi come un tentativo di integrazione dell’ottimo lavoro di R. Mauzi, L’idée du bonheur dans la littérature et la pensée française au XVIII e siècle (1960). Mauzi si limitava, infatti, a trat- tare il concetto di felicità nel pensiero di Helvétius quasi esclusivamente nella sua applicazione privata o individuale. Egli, in altri termini, trascurava quegli aspetti pubblici o sociali della feli- cità helveziana che qui, invece, ci si propone di evidenziare e analizzare più dettagliatamente. L’opera è suddivisa in tre parti. Nella prima vengono esaminate le linee fondamentali della gno- seologia e dell’antropologia di Helvétius, cioè le modalità e le possibilità conoscitive dello spiri- to umano, in relazione alla problematica dell’organisation. Nella seconda parte è esaminato il concetto di felicità da un punto di vista individuale (privato), in relazione alla dinamica bisogno- desiderio-piacere. Nella terza parte, infine, è esaminato il concetto di felicità da un punto di vista generale (pubblico), in relazione alle leggi e all’educazione come strumenti per la sua realizza- zione. Helvétius sostiene una gnoseologia rigorosamente sensistica di ispirazione condillachiana. Il tentativo intrapreso da Condillac di dimostrare come ogni realtà psichica sia una mera trasforma- zione della sensazione è ripreso da Helvétius, che lo sviluppa in funzione etico-politica. Helvé- tius assume la sensibilità fisica come origine del processo conoscitivo e morale. Il principio pro- duttivo di spirito, inteso come l’insieme dei pensieri dell’uomo, è la sensibilità fisica con cui si percepiscono le sensazioni, le quali vengono conservate dalla memoria sotto forma di idee. La memoria è ridotta a una forma di sensibilità modificata, ma mentre l’organo della sensibilità è l’anima, l’organo della memoria è lo spirito. Le stesse idee si riducono poi a sensazioni fisiche: esse derivano dai sensi, per cui non esistono idee innate e tutto è nell’uomo un’acquisizione. L’attività intellettuale propriamente detta (il giudizio) consiste nella percezione della differenza di rapporto (comparazione) tra due o più sensazioni o idee. Lo stesso giudicare consiste dunque in una forma di “sentire”. Secondo Helvétius, la differenza di spirito tra gli uomini non dipende da fattori fisici. Nel so- stenere questo, egli si pone in antitesi principalmente con La Mettrie, il quale aveva affermato la determinazione dello spirito da parte dell’organizzazione fisica. Alla base delle due teorie vi è, tuttavia, una concezione differente dell’organisation che ne spiega la divergenza: mentre per La Mettrie l’organizzazione è assolutamente individuale e quindi diversa in ognuno, per Helvétius l’organizzazione è l’espressione di una normalità fisiologica che, identica in tutti gli uomini, spiega la loro originaria uguaglianza intellettuale. Questa consiste nell’uguale (seppur solo vir- tuale) “giustezza di spirito”, ovvero nella corretta osservazione dei rapporti degli oggetti tra di loro, che garantisce ad ognuno le stesse potenzialità di elevarsi ai più alti livelli di spirito. La dif- ferenza fattuale degli spiriti non dipende dalle eventuali differenze di sensazione, riconosciute da Helvétius del tutto irrilevanti (al contrario di La Mettrie); essa dipende piuttosto dall’alterazione della percezione (virtualmente giusta) dei rapporti tra le cose. Questa alterazione, così come non

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filosofia
helvétius
la mettrie
materialismo
organisation
piacere
sensibilità
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