Riassunto della prima parte del libro "Scritture della catastrofe" di Muzzioli. Il testo analizza i filoni tematici della distopia nella narrativa, la cui diffusione coincide per autore con l'affermarsi della globalizzazione su scala mondiale.
"Scritture della catastrofe" di Muzzioli
di Domenico Valenza
Riassunto della prima parte del libro "Scritture della catastrofe" di Muzzioli. Il
testo analizza i filoni tematici della distopia nella narrativa, la cui diffusione
coincide per autore con l'affermarsi della globalizzazione su scala mondiale.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Corso: Lettere
Esame: Letterature comparate
Titolo del libro: Scritture della catastrofe
Autore del libro: Francesco Muzzioli
Editore: Meltemi, Roma
Anno pubblicazione: 20071. La distopia come rappresentazione del quotidiano
Se, come l'utopia fu immaginata su un'isola, anche la distopia fosse collocabile in un luogo preciso,
certamente sarebbe un luogo inospitale e dissestato. Tuttavia, oggi Distopia è una località molto visitata
dalla fiction, dal cinema e anche dalla narrativa. D'altra parte, quel mondo dove si rischia la morte a ogni
passo non è mica cosÏ lontano: non è altro che il nostro mondo d'oggi.
Il diffondersi della distopia coincide, non a caso, con l'affermarsi della globalizzazione su scala planetaria.
Dal momento in cui finisce la divisione in due blocchi e cade l'alternativa tra capitalismo e comunismo, il
capitalismo, rimasto solo, teme l'incubo, già affacciatosi, del proprio crollo.
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"Scritture della catastrofe" di Muzzioli 2. L'assenza del lieto fine
Nella distopia, il piacere del negativo è in primo luogo esorcistico: evochiamo ciò che ci atterrisce allo
scopo di ridurlo alla nostra misura e superabile. La distopia ha però qualcosa di diverso: mentre il modello
esorcistico si basa sulla vittoria del Bene, le distopie suonano come un atto di smascheramento.
In tal senso, l'assenza di lieto fine non è una perdita di energia, ma un acquisto, come ha spiegato Leopardi
in una nota contro il lieto fine. Il lieto fine illude che la giustizia sia fatta; senza lieto fine, invece, il nostro
rincrescimento per il cattivo esito non viene sanato, le tensioni rimangono attive e dunque l'effetto è pi
profondo. L'assenza di un lieto fine implica l'avvertimento di un esito che però può essere ancora impedito.
Avremo, dunque, una sorta di catarsi nella prassi.
La distopia, dunque rifiuta la panacea benefica e punta a far coincidere con la fine del libro con la la fine del
mondo. Possiamo vedere allora nella distopia la forma contemporanea della tragedia: in essa l'uomo fallisce
al pi alto grado; l'eroe è un osservatore inutilmente consapevole e travolto.
D'altra parte, Muzzioli riconosce un brivido ironico nella distopia. Ciò perchè l'unica forma di reazione
adatta alla catastrofe è l'umorismo. Solo esso è capace di decostruire la catastrofe e rappresentarla
dialetticamente. Esemplare il Brecht dei Dialoghi di Profughi che stigmatizza il nazismo a suon di arguzie e
paradossi. Il nostro stesso mondo, che si autodistrugge per eccesso di accumulazione, non è altro che un
enorme paradosso di dimensione planetaria.
Tale analisi suggerirebbe un intrinseco carattere polemico della distopia. In realtà, per Umberto Eco,
apocalittici e integrati sarebbero in realtà come due parti in commedia, complementari e coincidenti.
L'apocalittico, alla fine, è anche lui un integrato, sia perchè continua a giovarsi dei meccanismi sociali che
condanna, sia perchè consola il lettore, lasciandogli intravedere, sullo sfondo della catastrofe, l'esistenza di
una comunità di superuomini al di sopra della media.
Se d'altra parte adottiamo i principi freudiani del contrasto tra principio del piacere e principio di realtà, la
distopia sarebbe da mettere in conto al secondo. Il suo esito è talmente spiacevole che si potrebbe parlare di
un realismo impressionante. La distopia tratta del non-esistente, ma ci riguarda da vicino. Come Solmi dice
per la fantascienza, non è una profezia, una proiezione appassionata dell'oggi. Da questo punto di vista, la
distopia è una forma radicalmente storica.
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"Scritture della catastrofe" di Muzzioli 3. Una definizione per utopia e distopia
L'etimo di utopia, non-luogo, vale anche per la distopia, che si svolge in uno spazio inesistente: in tal modo
le due non sarebbe distinguibili. Se però chiariamo che l'utopia indica una eu-topia (luo-go felice), in tal
caso la distopia è il suo contrario, un luogo pessimo che dovrebbe invero chiamarsi cacotopia. Il prefisso
dis- indica non solo sottrazione ma anche alterazione e spostamento.
Al fine di una migliore terminologia, Muzzioli ricorre al quadrato semiotico di Greimas (la machi-nette).
Data l'opposizione tra utopia e distopia, i due contraddittori sarebbero la non-utopia e la non-distopia. La
prima è l'utopia fallimentare; la seconda è la distopia che possiede, malgrado tutto, un finale positivo.
Foucault distingue utopia ed eterotopia: se la prima consola, la seconda inquieta e mina segretamente il
linguaggio perchè devasta la sintassi che tiene insieme le cose.
In uno spazio letterario dominato dalla fiction, l'approccio tipico è quello della fantasmatizzazione. Leggere
un testo significa seguire dei personaggi e ricrearli in noi, come fossero storie vere. Addi-rittura, nei reality
show, i confini tra verità e finzione si assottigliano, e le persone vere pensano di esistere solo da personaggi.
Tale atteggiamento distrugge l'attitudine all'ermeneutica del sospetto.
La narratività della distopia ha bisogno, di solito, di una figura di outsider (ribelle o sopravvissuto che sia)
che entra in contraddizione con il mondo distopico e ne porta alla luce l'aspetto aberrante. Egli è in fondo un
visitatore ma nelle vesti scomode del perseguitato.
Domenico Valenza Sezione Appunti
"Scritture della catastrofe" di Muzzioli 4. Spazio e tempo nella distopia
E' della distopia il racconto al presente (mentre il raccontare in sè dovrebbe far rivivere il passa-to) con
predilezione per la scrittura diaristica, che non prevede altro lettore di chi scrive. La scrittu-ra del narratore
distopico è complicata, magari perchè, sotto il totalitarismo, è un'attività proibita.
In relazione all'ambientazione, la distopia può attuarsi nello spazio (dove costeggia l'utopia) o nel tempo
(dove assomiglia all'acronia). Nel secondo caso, il pi frequente, possiamo calcolare diverse distanze
temporali. Non è un caso che un buon numero di distopie propenda per l'inizio del Terzo Millennio: il
Duemila ha assunto il ruolo di cifra che simboleggia un bilancio definitivo.
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"Scritture della catastrofe" di Muzzioli 5. I filoni tematici della distopia e le sue variazioni
Le distopie hanno sviluppato soprattutto due filoni tematici, totalitario e catastrofico. Il passaggio dal primo
al secondo gruppo si ha con l'avvento del credo liberista quando i governi reazionari diventano anti-statalisti
(l'epoca di Reagan e della Thatcher). Possiamo distinguere in entrambi i rami due sottospecie: le distopie
totalitarie possono presentare un potere esibito o nascosto; le distopie catastrofiche si biforcano in fantasie
dall'esito finale e in scenari di imbarbarimento.
Vi sono comunque altri livelli di interrogazioni per i testi distopici. Ci si chiede anzitutto quando un'utopia
sia rigorosa: in tal senso i contributi recenti degli Stati Uniti privilegiano una forma mista di utopia e
distopia, chiamata distopia critica. La distopia può anche essere rivolta all'indietro, a rimpiangere il passato
(o un recupero della vita naturale) e assumere una valenza conservatrice. In proposito, Muzzioli parla anche
di distopia ambigua e distopia allegorica.
Un altro utile confronto è quello tra la distopia seria, basta sull'opposizione a un sistema deleterio e la
distopia umoristica, che legge la fine del genere umano in chiave antiantropocentrica, come liberazione del
cosmo dal suo inquilino più invadente e distruttivo.
Domenico Valenza Sezione Appunti
"Scritture della catastrofe" di Muzzioli 6. Lo scenario distopico da More a de Sade
La distopia inizia con l'utopia: ne è in qualche modo il parassita, il compagno ineliminabile. Se la mente
umana immagina la vita sociale come dovrebbe essere, è proprio perchè le cose vanno male. Lo scenario
distopico è proprio il fondale su cui si staglia l'utopia, cioè la situazione reale.
Utopia di Thomas More, la madre di tutte le utopie nasce in un mondo in cui l'accumulazione capitalista sta
lasciando i suoi segni. L'Utopia, allora, dovrebbe rimettere le cose a posto: ma il suo nome stesso ci dice che
non esiste. "Io vorrei, ma non ci spero" conclude More.
Due secoli dopo, il capitano Lemuel Gulliver, creato da Swift, scopre un nuovo altrove dove governa la
ragione, ma con un risvolto imbarazzante. E' soprattutto sull'isola dei cavalli sapienti che Swift manda
l'utopia a gambe all'aria. Il mondo di vita razionale esiste, solo che non riguarda gli essere umani, che hanno
per di più l'orgoglio di essere al centro dell'universo.
L'antiutopia diviene più crudele con il Marchese de Sade, illuminista dal pensiero distopico e incentrato su
un puro materialismo dei rapporti di forza e del godimento. Con Sade non dovrebbe esserci questione di
utopia o distopia, perchè la credulta è ritenuta lo stato naturale dell'uomo.
Eppure anche qui vi sono degli elementi, come nel suo racconto Aline e Valcour (1795). Durante le
peregrazioni per il mondo ci si imbatte nel regno peggiore (il regno di Butua in Africa) e migliore (l'isola di
Tamoè in Polinesia). Nell'isola, il legislatore Zamè ha compreso che i delitti nascono dagli squilibri e dai
divieti: in tal modo sono venuti meno i motivi delle cattive azioni e l'utopia è possibile. Ma che Sade ne
dubitasse lo dice il nome Zamè, in francese è simile a jamais.
Domenico Valenza Sezione Appunti
"Scritture della catastrofe" di Muzzioli