Appunti di lezioni del Prof. Carlo Berti, ricerche sul libro AA.VV. "Diritto industriale - Proprietà intellettuale e concorrenza", Giappichelli, 2009 e sentenze.
La disciplina dettata dal decreto legislativo n. 145/2007 in materia
di pubblicità ingannevole
di Alessia Podeschi
Appunti di lezioni del Prof. Carlo Berti, ricerche sul libro AA.VV. "Diritto
industriale - Proprietà intellettuale e concorrenza", Giappichelli, 2009 e
sentenze.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Diritto della comunicazione
Docente: Carlo Berti1. La disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa
La pubblicità è uno degli elementi che caratterizzano le società industrializzate, e può essere definita come
la forma di comunicazione con cui un imprenditore si rivolge al pubblico, principalmente attraverso i mezzi
di comunicazione di massa (stampa, radio e televisione) al fine di promuovere i suoi prodotti e servizi.
Al giorno d’oggi diviene però necessario garantire che essa non induca i suoi destinatari in inganno,
proteggendo in questo modo i concorrenti e, in maniera ancora più ampia, i consumatori.
Infatti, condizione per il buon funzionamento della concorrenza e del mercato è la libertà di scelta dei
consumatori, cioè la messa a disposizione di informazioni che permettano loro di scegliere
consapevolmente fra i prodotti e i servizi offerti sul mercato. Dato che tali informazioni vengono fornite
principalmente attraverso la pubblicità, occorre che essa non tragga in inganno i destinatari durante le loro
scelte, spingendo i consumatori ad acquistare un prodotto che altrimenti non avrebbero acquistato, e
pregiudicando la possibilità, per i concorrenti, di far conoscere i propri prodotti e servizi.
La pubblicità è, infatti, oggetto di una disciplina complessa posta a tutela di consumatori e di concorrenti,
con lo scopo di assicurare il buon funzionamento del mercato e della concorrenza.
Prima del 1992, però, mancava una disciplina che vietasse la pubblicità ingannevole. L’unico strumento di
tutela contro questa forma di pubblicità illecita era infatti fornito dalla disciplina sulla concorrenza sleale
(artt. 2598 e seguenti cc).
La disciplina della concorrenza sleale è invece oggi affiancata da una specifica normativa contro la
pubblicità ingannevole e la pubblicità comparativa: si è infatti deciso di colmare il vuoto legislativo
prima esistente emanando il d.lgs. 74/1992, il quale ha attuato in Italia la direttiva comunitaria 84/450/CEE,
che stabiliva i principi generali in materia di pubblicità ingannevole ai quali le legislazioni degli stati
membri dovevano uniformarsi.
Negli anni ’60, inoltre, si è dato vita al codice di autodisciplina pubblicitaria, che stabilisce le regole sulla
pubblicità che devono essere rispettate dalle imprese, assicurandone l’osservanza attraverso il Comitato di
Controllo e il Giurì.
La disciplina della pubblicità ingannevole e quella della pubblicità comparativa sono poi state inserite
all’interno del decreto legislativo 206/2005 (Codice del consumo) agli articoli da 18 a 27, abrogando in
questo modo i precedenti testi di legge, che si applicheranno ancora soltanto ai comportamenti tenuti dalle
imprese prima del 2007.
Tali discipline sono poi state portate fuori dal Codice del consumo e sono oggi contenute nel d.lgs.
145/2007.
Tale decreto tutela esclusivamente i professionisti (cioè gli operatori economici professionali) dalla
pubblicità ingannevole o comparativa illecita posta in essere da altri professionisti e dalle sue conseguenze
sleali.
Il Codice di consumo, modificato dal d.lgs. 146/2007, tutela invece appositamente i consumatori, in quanto
contiene oggi la disciplina relativa alle pratiche commerciali scorrette tra professionista e consumatori.
Il d.lgs. 145/2007, che ha sostituito il d.lgs. 74/1992, non introduce, rispetto a tale testo legislativo, elementi
di novità per quanto riguarda la disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa, della quale
ridefinisce semplicemente il campo di applicazione.
Precisamente, il d.lgs. del 1992 tutelava tanto i professionisti quanto i consumatori dalla pubblicità
Alessia Podeschi Sezione Appunti
La disciplina dettata dal decreto legislativo n. 145/2007 in materia ingannevole, invece quello del 2007 tutela appositamente il professionista.
Il consumatore, oggi, è invece tutelato dal d.lgs. 206/2005, cioè il codice del consumo, nel quale per
“consumatore” si intende, ai sensi dell’art. 3, lett. a), “la persona fisica che agisce per scopi estranei
all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
Infatti, se la pubblicità ingannevole danneggia il concorrente, essa danneggia però anche, e soprattutto, i
consumatori, influenzati scorrettamente nella scelta tra i vari prodotti e servizi presenti sul mercato.
Il d.lgs. 145/2007 si prefigge, dunque, lo scopo di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e
dalle sue conseguenze sleali, oltre a stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa (art. 1
d.lgs.145/2007).
In base all’art. 2 di tale decreto, i professionisti sono intesi come, “qualsiasi persona fisica o giuridica che
agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale; e chiunque agisce
in nome o per conto di un professionista”: tutelati saranno, pertanto, anche i liberi professionisti e i privati
che svolgano individualmente un’attività commerciale.
Con il termine “pubblicità” si intende in generale quella comunicazione diffusa su iniziativa di operatori
economici, attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, ma anche gli SMS, Internet e le email,
la quale tende ad influenzare le scelte dei destinatari riguardo ai beni e ai servizi offerti sul mercato.
La nozione di “pubblicità” che fornisce il decreto è molto ampia, comprendendo “qualsiasi forma di
messaggio che è diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale
o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere
o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi” (art. 2, lettera a) e
comprende persino la confezione dei prodotti (il c.d. “packaging”) (art. 8, comma 10) ed anche le azioni di
c.d. merchandising, cioè le azioni promozionali effettuate nei punti vendita.
E’ quindi pubblicità qualsiasi comunicazione rivolta ad un numero indeterminato di persone per
promuovere la vendita di prodotti o servizi, indipendentemente dal contenuto e dal mezzo di diffusione.
Sono escluse dalla definizione le pubblicità che non si riferiscono ad attività economiche, quali la pubblicità
politica (propaganda) e la pubblicità sociale.
E’ “ingannevole”, ai sensi dell’art. 2, lettera b, del d.lgs. 145/2007, “qualsiasi pubblicità che in
qualunque modo, compresa la sua presentazione” (cioè il modo in cui il messaggio pubblicitario viene
inserito nel giornale o nel programma televisivo, ecc.), “e' idonea ad indurre in errore le persone fisiche
o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa
pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un
concorrente”.
Da questa definizione si desume innanzitutto che, al fine di ottenere la tutela fornita dalla norma, non è
necessario che la pubblicità ritenuta ingannevole abbia concretamente prodotto un danno; è sufficiente,
infatti, l’idoneità della messaggio pubblicitario ad ingannare. Basta, cioè, che le informazioni siano idonee a
trarre in inganno il pubblico potendone pregiudicare il suo comportamento, oppure a ledere le imprese
concorrenti.
Inoltre, dal fatto che l’inganno può derivare anche dalla presentazione della pubblicità si desume che è
ingannevole ogni tipo di pubblicità, in qualsiasi forma venga comunicata; l’importante è, appunto, che essa
sia idonea ad ingannare i destinatari, dando loro informazioni che possono condizionare le loro scelte,
inducendoli, magari, a preferire un certo prodotto anziché un altro, in quanto convinti che tale prodotto
presenti delle caratteristiche che invece non possiede.
Un messaggio può essere considerato ingannevole non solo se contiene informazioni false, ma anche se si
Alessia Podeschi Sezione Appunti
La disciplina dettata dal decreto legislativo n. 145/2007 in materia esprime in modo ambiguo o se omette di fornire informazioni necessarie ai fini della valutazione
dell’offerta.
Non è neppure necessario dichiarare qualcosa di palesemente falso per ingannare: può accadere, infatti, e
spesso accade, che le singole affermazioni contenute nella pubblicità siano vere, ma falso sia il modo in cui
è costruito il messaggio, in maniera che l’interpretazione dei destinatari sia errata.
Un esempio è fornito da quelle pubblicità che pongono eccessivamente l’accento sulla convenienza di
un’offerta, ma poi inseriscono delle frasi scritte in caratteri molto piccoli, posizionate molto spesso alla fine
del messaggio, che specificano le limitazioni dell’offerta, in maniera tale da rendere poi inesistenti i
vantaggi in precedenza enunciati.
Per determinare se la pubblicità sia ingannevole si tiene conto delle caratteristiche dei beni o dei servizi, del
prezzo, delle condizioni di fornitura del bene o della prestazione del servizio, della natura, delle qualifiche e
dei diritti dell’operatore pubblicitario, cioè del soggetto da cui la pubblicità proviene (art. 3).
Sono, questi, tutti elementi a cui il pubblico attribuisce rilevanza nel momento in cui sceglie i prodotti o i
servizi, e sui quali è quindi facile cadere in errore.
Inoltre, per quanto riguarda le ipotesi speciali di ingannevolezza, il d.lgs. 145/2007 contiene le regole sulla
pubblicità dei prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori (art. 6) e sulla pubblicità che
possa raggiungere i minori (art. 7), regole che non erano presenti nella direttiva 84/450/CEE.
L’ingannevolezza delle modalità di presentazione. La pubblicità non trasparente
L’art. 5 del d.lgs. 145/2007 fa riferimento alla “trasparenza” della pubblicità che “deve essere chiaramente
riconoscibile come tale”, quindi non occulta, falsa o menzognera.
Aggiunge il decreto che “la pubblicità a mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di
comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione”.
La pubblicità di un prodotto deve essere percepibile come tale agli occhi di chiunque, in modo che il
pubblico riservi la dovuta attenzione al messaggio.
Tutto ciò in quanto un messaggio pubblicitario non immediatamente riconoscibile, ponendosi agli occhi del
pubblico come qualcosa di diverso dalla pubblicità, finisce per approfittarsi dei destinatari, esercitando su
di loro una più intensa azione persuasiva.
Infatti, un soggetto che ritenga che ciò a cui sta assistendo sia informazione o spettacolo, quindi una
comunicazione che non abbia come scopo quello di invitare all’acquisto, tenderà in maniera maggiore a
ritenere che ciò che viene comunicato sia vero.
Per questo motivo gli stacchi pubblicitari al cinema, alla radio o in televisione sono introdotti da un’apposita
sigla musicale, oppure riportano l’indicazione “pubblicità”, “messaggio promozionale”, in modo da
sottolineare in maniera, appunto, trasparente, quando una comunicazione ha come scopo quello di
pubblicizzare un prodotto o un servizio e non un mero fine informativo.
Tra i principali tipi di pubblicità così vietati, sono quindi compresi la pubblicità redazionale (articoli di
giornale che, in realtà, mirano a promuovere l’acquisito di beni o servizi), le telepromozioni non
evidenziate come tali e il c.d product placement, cioè la pubblicità nascosta negli spettacoli
cinematografici, che consiste nel posizionare, all’interno di film, prodotti dai marchi riconoscibili.
Una forma di pubblicità non trasparente, quindi vietata dall’art. 4, è quella subliminale, cioè quella
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La disciplina dettata dal decreto legislativo n. 145/2007 in materia