Specie Esotiche
Le speicie esotiche appartengnon ad uno dei gruppi corologici. Sono specie che sono state portate fuori dal loro areale originario ad opera dell’uomo.
Tutte
le piante tendono a disperdersi per colonizzare nuovi territori ad
opera del vento, dell’acqua. Già Willdenow (1810) aveva riconosciuto
nell’uomo un agente di dispersione: è infatti il più efficiente,
soprattutto grazie al superamento delle barriere geografiche (oceani,
catene montuose, ecc. Le specie si espandono anche spontaneamente, ma
l’espansione guidata dall’uomo richiede tempi molto più brevi.
L’uomo,
infatti, si è rivelato l’agente di dispersione di organismi più
efficace nel tempo e nello spazio: con il superamento delle barriere
geografiche attraverso la progressiva intensificazione ed estensione
delle comunicazioni, ha determinato per molti organismi l’espansione del
loro areale di distribuzione naturale (areale primario) e la creazione
di nuovi areali disgiunti (areale secondario). Le prime attestazioni di
culture neolitiche sono presenti nel Medio Oriente, intorno alla metà
del X millennio a.C. (circa 9500 a.C.), derivato da culture mesolitiche,
che nelle stesse regioni avevano ampiamente utilizzato i cereali
selvatici a partire dalla metà del XIII millennio a.C. (12500 a.C.
circa), sviluppando uno stile di vita sedentario. La domesticazione di
cereali (soprattutto il farro) e leguminose avvenne dove erano presenti
le specie selvatiche, intorno alla metà dell'VIII millennio a.C., in una
vasta area compresa tra l'Anatolia orientale, l'Iraq settentrionale, la
Palestina e l'Iran occidentale. Dunque, il fenomeno esiste da milioni
di anni, ma le istituzioni governative e il mondo scientifico se ne
occupano da poco: si è creata la branca dell’ecologia delle invasioni
che studia i processi legati all’introduzione antropica di specie al di
fuori del loro areale, studiando modalità di introduzione, capacità di
diffondersi e di insediarsi stabilmente, interazione con le specie
autoctone, valutazione dell’impatto ecologico-sanitario-economico
(possibile allergie, costi di contenimento, eradicazione e quelli dovuti
ai danni alle colture).
Il padre di questa disciplina è Charles
Elton (1958) che pubblicò un volume sull’ecologia dell’invansione
trattando di piante e animali. Egli ha evidenziato i rischi delle
invasioni biologiche soprattutto dal punto di vista della biodiversità: i
6 regni floristici, se le invasioni sono portate all’estremo, vengono omogeneizzati ad un singolo regno con un notevole impoverimento floristico.
Dreissena
polymorpha: (cozza zebra) tra le 100 peggiori specie invasive; si
addensa su qualsiasi sostegno, riveste le pareti interne delle
condutture, nelle prese d’acqua per raffreddare i motori delle barche.
Le larve sono planctoniche e si diffondono facilmente; l’adulto è un
filtratore e, dove presente, ha alterato la densità del plancton
(diatomee ridotte dell’80 %).
Lates niloticus (persico del Nilo):
Specie largamente diffusa in tutta la regione etiopica dell'Africa,
autoctona od introdotta in tutti i bacini fluviali importanti compresi
il Nilo, il Ciad, il Senegal, il Volta ed il Congo. Presente in acque
salmastre nel lago Mariout, vicino a Alessandria. autoctona nei laghi
Alberto, Rodolfo e Tana. Introdotta nel lago Vittoria e negli altri
grandi laghi della Rift Walley, dove ha causato gravi danni ecologici.
La specie appare in espansione, grazie alle numerose immissioni
effettuate a scopi alieutici e per la pesca industriale e di
sussistenza. In molti casi l'introduzione di questa specie ha portato
seri problemi a popolazioni autoctone endemiche e molto rare.
L'immissione del persico del Nilo nel lago Vittoria ha causato serissimi
problemi ecologici. Le popolazioni endemiche di ciclidi hanno subito un
rapido declino. Più di 300 specie native sono state condotte
all'estinzione da parte di questi predatori (Schofield, 1999). Sebbene
il veloce incremento di L. niloticus sembrasse avere un impatto
favorevole per lo sviluppo dell'industria della pesca, la conseguenza
finale si è rivelata essere un calo della biomassa ittica del lago
(Goudswaard and Witte, 1984). L'incremento numerico della specie ha
accelerato il declino della biodiversità, compromettendo le catene
alimentari consolidate, inoltre l'aumento di popolazione umana dovuto
allo sviluppo della pesca ha causato cambiamenti ecologici che hanno
prodotto turbamenti socioeconomici (Kitchell and Schindler, 1997). Il
continuo degrado della funzionalità ecologica del lago Vittoria ha avuto
serie conseguenze a lungo termine sulla salute delle popolazioni
rivierasche, incidendo pesantemente sul social welfare degli stati
limitrofi alle sue sponde (Verschuren and Johnson, 2002). Di fronte a
tali conseguenze, la ricaduta economica della pesca del persico del
Nilo, ha avuto effetti positivi insignificanti.
Caulerpa taxifolia:
la prima colonia sfuggi probabilmente dagli acquari di Montecarlo nel
1984 ed ebbe poi un’espansione esplosiva perché si moltiplica
vegetativamente. Crea problemi alla fauna perché è tossica. Le praterie
di Caulerpa sono molto più povere di quelle di Poseidonia. Originaria
dei mari e oceani tropicali (Australia, Brasile, Indonesia, Filippine,
Tanzania e Vietnam) è stata osservata per la prima volta nel
Mediterraneo nel 1984. Il genere Caulerpa comporta circa un centinaio di
specie e varietà, diffuse nei mari temperati e soprattutto nei mari
caldi. Nel Mediterraneo è comune un’unica specie di Caulerpa, con
un’ampia suddivisione: Caulerpa prolifera. Risale al 1984 la scoperta in
mare di una colonia di alghe tropicali del genere Caulerpa,
inopinatamente acclimatatasi nel Mediterraneo. Utilizzata negli acquari
come elemento decorativo perché mette in evidenza i colori dei pesci
tropicali con il suo verde acceso, questa specie si è rivelata ben
presto pericolosamente infestante.
Le invasioni biologiche sono
considerate una delle principali minacce alla conservazione della
biodiversità su scala globale, seconda solo alla perdita di habitat
naturali per distruzione/frammentazione.
Si avviarono numerose
iniziative internazionali per ampliare le conoscenze, sensibilizzare
delle istituzioni e individuare delle strategie. Durante la conferenza
di Rio (1992) si parlò del tema: l’art. 8 parla infatti di prevenzione,
controllo ed eradicazione delle specie alloctone che minacciano gli
ecosistemi.
Un’efficace politica in materia di specie alloctone, come
sottolineato dai principi guida adottati in ambito
Prevenzione nel caso in cui la specie non sia ancora entrata
Valutazione e gestione di quelle specie che si sono già ampiamente diffuse e stabilizzate (controllo e contenimento)
Sorveglianza
per trovare e rimuovere al più presto le specie che stanno appena
cominciando a diffondersi (monitoraggio ed eradicazione)
Il GISP ha
sviluppato uno sito web dove viene fatta una revisione esaustiva dei
vari metodi per affrontare il problema delle specie invasive.
Necessità di cooperazione internazionale e di condivisione delle conoscenze sull’ecologia, sugli
impatti
e sui tentativi di controllo è importante per la veloce individuazione
delle specie potenzialmente pericolose. L’eradicazione è più efficace se
l’invasione si trova ancora nelle fasi iniziali.Prevenzione
La
soluzione piu’ efficace e’ sicuramente quella di prevenire l’entrata
delle specie aliene in primo luogo, perché, una volta entrate nel paese,
cercare di gestirle e’ molto piu’ difficile e costoso . Il sito web del
GISP indica vie attraverso le quali le specie aliene possono essere
introdotte e come queste possono essere fermate alla frontiera
introducendo l’uso di liste ‘bianche’ e liste ‘nere’. Mentre le liste
nere proibiscono l’introduzione di specie che si sa gia’ che sono
invasive, le liste bianche lavorano sul principio di precauzione,
secondo il quale se le conseguenze di un’azione sono potenzialmente
severe o irreversibili, l’assenza di certezza scientifica riguardo agli
effetti negativi di quell’azione non dovrebbe essere usata come scusa
per portare avanti l’azione.Sorveglianza
Le invasioni
biologiche sono spesso caratterizzate da un periodo di colonizzazione
relativamente lento seguito da un periodo di forte espansione . Quindi i
tentativi di eradicare le specie invasive hanno maggiori probabilità di
successo se vengono eseguiti prima che la specie si sia diffusa, cioe’
negli stadi iniziali di colonizzazione. Per questo motivo e’ molto
importante sorvegliare attentamente per rilevare i segni di presenza
delle specie invasive per poter agire il prima possibile. In questo,
anche le persone non esperte possono dare una mano.
Un esempio delle
conseguenze negative nel rimandare una campagna di eradicazione e’
sicuramente quello dello scoiattolo grigio in Piemonte, dove il ritardo
dovuto alle denunce di alcune associazioni contrarie all’eradicazione ha
pregiudicato interamente ogni possibilità di eradicazione.Valutazione e Gestione
Quando
la specie ha colonizzato vaste aree sono possibili quattro tipi diversi
di azione: eradicazione, contenimento, controllo e mitigazione. Spesso
e’ molto difficile portare avanti dei progetti di eradicazione per
specie invasive ad ampia distribuzione perché i progetti sono di
difficile realizzazione e molto costosi , ci si deve quindi accontentare
di misure che contengano, controllino e mitighino gli effetti negativi.
Purtroppo quando la specie e’ diffusa sul territorio e’ spesso troppo
tardi per riuscire ad agire efficacemente e si tratta quindi di agire al
meglio possibile tenendo conto di tutti i fattori tra cui ad esempio
gli effetti che la specie invasiva ha sull’economia e sulla
biodiversità, l’efficacia delle tecniche disponibili a contenere,
controllare e mitigare questi effetti, i costi, la disponibilità di
manodopera specializzata, etc. Nel caso delle specie invasive, sono
decisamente più efficaci le strategie di prevenzione e sorveglianza,
quando la specie e’ ampiamente diffusa e’ di solito troppo tardi per
fare qualcosa di utile.GISP (Global Invasive Species Programme)
La GISP
(Global Invasive Species Programme) è un gruppo molto attivo fondato
nel 1996, che propone soluzioni pratiche alle invasioni. Ci sono schede
di tutte le specie esotiche che costituiscono un pericolo per la
biodiversità: è stato sviluppato un database di libera consultazione
aggiornato in continuazione da un gruppo di specialisti.
In Europa sono stati finanziati diversi progetti di ricerca; il migliore è quello del gruppo DAISIE (Delivering Alien Invasive Species Inventories for Europe), che ha istituito un inventario aggiornato alle specie alloctone introdotte in Europa.
Diabrotica
virgifera virgifera (Diabrotica del mais): insetto di origine
americana. Può arrecare gravi danni al mais se la coltura viene ripetuta
per due o più anni di seguito sullo stesso appezzamento. In Europa è
stata rinvenuta nel 1992 in Serbia presso l'aeroporto di Belgrado; nella
Comunità Europea la Diabrotica è stata segnalata per la prima volta nel
1998 vicino all'aeroporto Marco Polo di Venezia in un campo di mais. In
seguito è stata rinvenuta in Lombardia nei pressi dell'aeroporto di
Malpensa e in Piemonte in provincia di Novara. Attualmente è diffusa in
particolare al Nord Italia nelle principali zone maidicole. È presente
in numerosi stati europei (in particolare Serbia, Croazia, Ungheria,
Romania, Bulgaria, Bosnia e Svizzera); in America è diffusa in Canada e
negli Stati Uniti. L'insetto vive a spese del mais sul quale può
provocare danni molto gravi ed ingenti perdite economiche; le larve sono
però in grado di svilupparsi su altre Poaceae. Occasionalmente gli
adulti vengono ritrovati su specie appartenenti alle famiglie delle
Asteraceae, Fabaceae, Cucurbitaceae e Convolvulaceae.
Ondatra
zibethicus (topo muschiato): animale semiacquatico di medie dimensioni
originario del Nordamerica. Allevamenti in Europa, Asia e Sud America:
crisi industria conciaria animali rilasciati in natura, fuggiti
accidentalmente rilasciati in seguito a raid delle associazioni
animaliste.
Comunità riproduttive che non trovano predatori né
concorrenti per il cibo si diffondono velocemente in gran parte dei
nuovi areali: attualmente, il topo muschiato vive in gran parte
dell'Europa Centrale, spingendosi ad est attraverso la Siberia, fino
alla Manciuria, totalmente eradicata dall'Inghilterra, dove era stata
introdotta negli anni trenta, e dal Giappone, dove venne introdotta nel
1945. In America Meridionale, si trovano grossi nuclei di questi animali
in Cile ed Argentina Italia: per lungo tempo risparmiata dall'avanzata
inarrestabile dei topi muschiati grazie allo scudo naturale costituito
dall'Arco Alpino: tuttavia, recente espansione delle popolazioni slovene
che hanno formato colonie riproduttive nei bacini irrigui del
Triveneto.
Myocastor coypus: la nutria detta anche comunemente
castorino originaria del Sud America, unica specie del genere Myocastor e
della famiglia Myocastoridae L'areale originario della specie va da
Brasile, Bolivia e Paraguay fino ad Argentina e Cile. A seguito della
introduzione per lo sfruttamento commerciale della sua pelliccia (detta
appunto pelliccia di castorino) la nutria si è naturalizzata in diversi
paesi del Nord America, Asia, Africa ed Europa. Individui liberati
intenzionalmente per evitare i costi di abbattimento e smaltimento delle
carcasse dopo crisi allevamenti numerosa popolazione di nutrie ben
adattata agli ambienti umidi europei, compresi quelli più inquinati. Nel
2000 si è stimato che, viste la riproduzione continua e l'assenza di
predatori, 250 milioni di nutrie popolino l'Europa. Danni economici alle
coltivazioni agricole di cui si nutre (mais, Barbabietola). Predilige
gli argini fluviali per la costruzione della tana, divenuta una delle
cause principali di instabilità degli argini. In Italia notevole
incremento di diffusione negli
ultimi anni, espansione nella pianura
padana, lungo la costa adriatica sino all'Abruzzo e sul versante
tirrenico sino al Lazio. Presenze puntiformi si hanno anche nell'Italia
meridionale e in Sicilia e Sardegna.
Bufo marinus (rospo delle
canne): lungo in media da 10 a 15 cm, può raggiungere anche dimensioni
più considerevoli: il più grande esemplare descritto pesava 2.65 kg e
misurava 38 cm. Le ghiandole paratiroidi del B. marinus secernono una
tossina (bufotossina) che può avere effetti letali su molte altre specie
di animali. È nativo del Nuovo Mondo, diffuso in un'area che va dal
Texas meridionale sino all'Amazzonia e al Perù sud-orientale. È stato
introdotto, con intenti di lotta biologica, in vari paesi del mondo, con
risultati non sempre brillanti. In particolare la sua introduzione in
Australia, dove si pensava di utilizzarlo nella lotta contro alcune
specie di insetti infestanti, ha avuto un impatto fortemente negativo
sulla biodiversità. La sua rapida moltiplicazione ha portato infatti ad
una drammatica riduzione del numero di diverse specie di roditori, anuri
e rettili, con cui compete per il cibo e che spesso preda, ed ha avuto
ricadute sulla intera catena alimentare, riducendo anche il
numero di predatori a causa dell'effetto letale della bufotossina per molti di essi.
Silurus
glanis: originario dell’Europa CE, bacino del Danubio, e dalla Penisola
Scandinava meridionale alla Grecia settentrionale. Il siluro è presente
anche in Asia occidentale ed è stato introdotto in Italia (1957), in
Olanda, in Belgio, in Francia, Spagna ed in Gran Bretagna. La dieta del
siluro è molto varia, comprende sia elementi vegetali, sia animali e
detrito organico.
Nell’alimentazione dei giovani prevalgono gli
invertebrati alghe e macrofite acquatiche. Negli adulti si la componente
vegetale scompare al crescere della taglia, si nutrono di pesci di ogni
genere e dimensione, anfibi, uccelli acquatici, mammiferi roditori,
crostacei decapodi, anellidi e larve di insetti. Nei grandi fiumi come
il Danubio sono documentati attacchi a cani e nutrie. La specie è molto
prolifica, la femmina emette diverse migliaia di uova per ogni chilo di
peso. Nel Ticino in un anno sono stati catturati siluri per un totale di
2 tonnellate, nell'ambito di un progetto Life finanziato da Ue, Regione
Lombardia e Parco del Ticino. L' obiettivo è di salvaguardare due
specie ittiche in declino: la trota marmorata e il pigo, specie endemica
del bacino padano e fermare l'avanzata di specie invasive, in primis il
siluro ma anche il rodeo amaro e la pseudorasbora. Secondo gli esperti
dal momento della sua comparsa, il siluro (che nei paesi d'origine può
raggiungere i tre quintali) è andato sempre allargando il proprio areale
e allo stato attuale vive una vera e propria esplosione demografica: è
stata infatti segnalata la cattura di esemplari nell'Arno, nel Tevere e
persino nel fiume Pescara, in Abruzzo.
Uno dei maggiori ostacoli
allo sviluppo di un modello generale per le invasioni biologiche è stato
la mancanza di una terminologia chiara e diffusamente accettata per
classificare le specie esotiche.
Osservare specie che si trovano in
stati di invasione diversi ha permesso di definire una terminologia per
descrivere i processi e gli stadi. Sono stati attribuiti dei nomi
univoci, a livello internazionale, alle specie alloctone a seconda
dell’aspetto che si vuole mettere in evidenza.
Possiamo, quindi, classificare le specie esotiche da 3 punti di vista:
Per origine (Nativa o Esotica)
Per epoca di introduzione (Archeofita o Neofita), il limite è il 1500.
Per stato di invasione (Casuale, Naturalizzata e Invasiva)
Una
specie per naturalizzarsi e diventare invasiva deve superare delle
barriere. La barriera geografica (A) viene fatta superare dall’uomo
volontariamente (coltivata) o accidentalmente (avventizia). Le
introduzioni avventizie sono il 37,2 % contro il 62,8 % delle
volontarie. L’importazione a scopo ornamentale viene riconosciuta come
la principale modalità di introduzione di specie alloctone. La
produzione di leggi che, limitando le importazioni, favoriscano nei
vivai e nei giardini le specie indigene, possono costituire un valido
aiuto alla gestione della problematica legata alle invasioni. Una volta
superate le barriere geografiche, la specie deve adattarsi all’ambiente
e, se ci riesce, si possono verificare 2 casi: pur sopravvivendo nel
nuovo ambiente (B) non riescono a costituire delle popolazioni stabili
nel tempo, riproducendosi spontaneamente solo con individui a vita
effimera (annuali) perché non riescono a mantenersi senza l’aiuto
dell’uomo oppure non riescono ad arrivare a maturità sessuale (casuali);
si parla di specie naturalizzate per quelle che riescono a superare la
barriera riproduttiva (C), quindi con possibilità di diffondere la
specie instaurando delle popolazioni stabili nel tempo. Tra le specie
naturalizzate alcune hanno avuto la possibilità di diffondersi in tempi
brevi: queste prendono il nome di invasive e riescono a superare la
barriera di dispersione (D). Alcune di queste invasive restano limitate
agli ambienti antropizzati, altre invece, riescono a penetrare anche in
ambienti naturali e seminaturali (barriere E e F).
Con il termine
“invasiva” molti fanno riferimento all’impatto che una specie ha
sull’economia, la biodiversità e la salute umana.
Una volta che una
specie viene introdotta e riesce ad adattarsi all’ambiente (oppure
riesce a spontaneizzarsi), si è visto che, nel passaggio da
naturalizzata a invasiva, spesso intercorrono intervalli di tempo molto
prolungati detti Time Lags. Questi vengono interpretati come il tempo
necessario per adattarsi alle nuove condizioni ambientali. Inoltre si è
visto che, a interrompere questo periodo di latenza, compaiono dei
cambiamenti di carattere genetico o ambientale, grazie ai quali le
piante passano da uno stadio all’altro del processo di invasione.
In realtà, solo una minima parte di specie introdotte diventa invasiva.
“Tens Rule” (Regola del 10:10:10):
-Solo il ~10% delle specie introdotte diventa casuale (es. sfugge a coltura);
-Solo il ~ 10% delle specie divenute casuali riesce a costituire popolamenti stabili (naturalizzate);
-Solo il ~ 10% delle naturalizzate diventa invasiva.Classificazione da Richardson et al., 2000:
-
Casuali: specie che riescono a riprodursi vegetativamente o
sessualmente ma non riescono a mantenere le loro popolazioni per lunghi
periodi (la loro presenza dipende da ripetute introduzioni).
-
Naturalizzate: specie introdotte che riescono a riprodursi in modo
sistematico e consistente senza intervento dell’uomo. L’emergenza di
nuovi individui spesso rimane limitata nello spazio e non
necessariamente invadono habitat naturali, semi-naturali o antropogeni.
Tutin
et al., 1964: una specie è effettivamente naturalizzata se mantiene una
popolazione da almeno 25 anni oppure è segnalata come spontaneizzata in
un certo numero di stazioni ben distanziate.
- Invasive: specie
naturalizzate che riescono a riprodursi dando vita a popolazioni anche a
distanze considerevoli dalla pianta madre (>100 m) in meno di 50
anni.
- Trasformatrici: specie invasive che alterano in modo
consistente le caratteristiche dell’ecosistema in cui si sono diffuse
(forte competizione nell’utilizzo delle risorse, arricchimento in
nitrati, promotori di erosione).Capacità invasiva delle specie
Capire
quali sono i caratteri biologici ed ecologici che ricorrono più
frequentemente in quelle specie che hanno dimostrato grande capacità
invasiva.
I caratteri delle piante invasive non sono sempre gli
stessi, ma possiamo mettere in evidenza alcuni aspetti che ricorrono più
frequentemente:
Climate match → coincidenze climatiche dell’areale secondario con l’areale primario;
Ampiezza dell’areale originario;
Plasticità ecologica (fenotipica);
Microevoluzione;
Ibridazione
→ spesso avviene ibridazione tra 2 esotiche, o tra una esotica e una
nativa; le generazioni figlie, che sono fertili, presentano spesso
vigore maggiore rispetto ai genitori;
Crescita rapida → favorisce la competizione;
Elevata
produzione e capacità di dispersione dei propaguli → produzione elevata
di semi con elevata capacità di dispersione (semi piccoli e leggeri con
dispersione anemocora);
Moltiplicazione vegetativa (dense colonie,
no impollinatori, trasporto con movimenti della terra) → formano
popolamenti densi e fitti, che danno un vantaggio competitivo togliendo
spazio e nutrienti alle specie autoctone;
Allelopatia → capacità di produrre sostanze chimiche tossiche per le altre piante, che inibiscono germinazione e crescita;
Enemy
release hypothesis (Darwin, Elton: assenza nelle aree di introduzione
di erbivori e parassiti che limitano la loro crescita demografica nelle
aree di origine);
Evolution of Increased Competitive Ability
(pressione predatoria ridotta, quindi favorite le specie che assegnano
meno energie alla difesa e più alla crescita e alla riproduzione;
Propagule
pressure (frequenza di introduzione e numero di propaguli introdotti
nell’areale secondario, misurabile indirettamente con densità di
popolazione, turismo, scambi commerciali…).
Le specie esotiche
hanno una fioritura più tardiva rispetto alle indigene (nicchia
fenologica spostata più avanti nella stagione), che comporta più
disponibilità degli insetti impollinatori, senza competere con le specie
autoctone.
Senecio inaequidens: è stato inserito nella lista nera
della Val d’Aosta; è tossica e sta entrando sempre di più nei pascoli
dove può andare ad intossicare gli animali che non lo conoscono.Invasibilità degli habitat
Per far si che si verifichi il processo d’invasione, è necessario anche che l’ambiente sia vulnerabile, ci sono 2 ipotesi:
1. Diversity Resistance Hypothesis (Elton):
Le comunità con maggiore diversità sono le più resistenti all’invasione
perché tutte le nicchie e le risorse sono occupate e non c’è posto per
gli invasori.
2. “The rich get richer”: un’elevata
ricchezza di specie native può convivere con un’elevata ricchezza di
specie alloctone, se le risorse non sono limitanti.
È necessario
però che si verifichino delle condizioni. Quella principale, senza la
quale difficilmente avviene l’invasione di queste comunità ricche di
specie, è il disturbo (fattori abiotici più determinanti di quelli
biotici). Di solito sono gli ambienti ripariali (seminaturali) ad
ospitare tante specie autoctone, nei quali troviamo anche tante specie
esotiche perché in questi ambienti il disturbo è frequente e continuo.
Il disturbo ricorrente porta ad una distribuzione parziale delle specie
autoctone (che lasciano spazi liberi), l’apporto di nuovi sedimenti, il
rimescolamento del substrato, che comporta la messa in circolo dei
nutrienti (l’acqua non è un fattore limitante). Quindi in un ambiente di
questo tipo, la presenza di un disturbo ricorrente che determina
fluttuazioni di risorse, fa si che questi ambienti siano in grado di
ospitare specie alloctone.
Una conseguenza del disturbo è la
frammentazione degli habitat originari: per esempio, le foreste ridotte a
piccoli frammenti sono più soggette a invasione; quindi anche habitat,
che al loro interno non presentano disturbo, ma sono frammentati e
immersi in un contesto antropico, sono più facilmente invasibili.Esotiche in Piemonte
Rispetto al totale (autoctone + alloctone), che costituiscono la flora spontanea del Piemonte
(3521 specie), le alloctone sono circa il 10,5 % (371). Di queste un
po’ più della metà sono allo stato di casuale (54,7 %) e la metà di
queste sono state segnalate precedentemente al 1950 e la loro presenza
sul territorio non è più stata accertata in tempi recenti (NR); l’altra
metà sono naturalizzate (45,3 %), quindi incluse nella flora spontanea, e
il 37 % delle naturalizzare sono invasive (Robinia) o potenzialmente
invasive (cioè in altre parti del mondo lo sono, ma da noi non ancora).
Residence Status: delle 371 entità esotiche, 17,3 % sono archeofite e 82,7 % neofite.
Ci sono solo 3 archeofite invasive in Piemonte:
Sorghum halepense;
Abutilon theophrasti:
specie considerata infestante delle coture a ciclo primaverile- estivo.
Questa specie deve la sua espansione all‘enorme quantità di semi
prodotti ed alla capacità di questi di propagarsi tramite i mezzi
meccanici, quali mietitrebbie,usati per la raccolta nei coltivi; in ogni
capsula possono essere presenti 200 semi.
Veronica persica:
introdotta dalla Persia in Europa come pianta segetale (che cresce tra
le messi) e adesso divenuta Subcosmopolita.
Neofite invasive in
Piemonte → Sette specie esotiche arboree sono considerate invasive in
Piemonte: Ailanthus altissima, Robinia pseudoacacia, Quercus rubra,
Prunus serotina, Acer negundo (Nord America), Brussonetia papyrifera
(Asia), Trachycarpus fortunei (Asia).
Robinia pseudoacacia:
portata in Europa dall'America del Nord nel 1601 da Jean Robin,
curatore dell'orto botanico di Parigi, per la bellezza delle sue
infiorescenze. A partire dal XVIII secolo si diffuse per molte buone
ragioni: legno di buona qualità e ottimo combustibile; cresce
rapidamente; si adatta a qualsiasi tipo di suolo; apicoltura; consolida
terreni instabili e come parecchie piante della stessa famiglia, lo
arricchisce di azoto grazie alla simbiosi con batteri azoto-fissatori.
pianta pioniera. Eliofila. Una volta insediatasi ha la meglio su tutte
le specie arboree autoctone e presto l'ambiente in cui compare si
impoverisce. Il suolo presto si eutrofizza e scompaiono anche molte
specie erbacee e arbustive. In pochissimi anni si forma un "robinieto"
di valore naturalistico nullo. La situazione torna alla normalità dopo
molti anni a patto di lasciare invecchiare le piante (vivono in media
60-70 anni anche se la prima portata in Europa è ancora viva!) la cui
ombra impedisce a nuove piante di sostituirle. Se viene tagliata a raso
ben presto si formano dei vigorosi polloni che peggiorano la situazione.
Quercus rubra:
la quercia rossa è originaria delle regioni orientali dei Nord America.
Introdotta alla fine dei secolo XVII in Europa, si è diffusa come
ornamentale per l'aspetto decorativo della chioma (rossa in autunno) e
del portamento. Si dimostra meno esigente delle querce europee;
utilizzata spesso per alberatura di viali dato il rapido accrescimento è
stata, in tempi recenti, impiegata anche in selvicoltura, dando
soddisfacenti risultati per il rendimento in legname e la resistenza nei
confronti del parassita oidio.
Ailanthus altissima:
l'ailanto, originario della Cina, si è diffuso e naturalizzato in tutta
l'Europa centromeridionale dal '700; è una pianta molto aggressiva,
produce tantissimi semi, cresce rapidamente, produce tossine che
impediscono l’instaurarsi di altre specie e l’apparato radicale è
aggressivo ed è in grado di causare danno alle fondamenta e alle
fognature.
Prunus serotina: (Nord america); introdotto
presumibilmente nel 1922 in alcuni terreni privati presso Crenna di
Gallarate (VA), la specie ha allargato il proprio areale. Di origine
nordamericana, appartiene alla sottofamiglia delle Prunoideae delle
Rosaceae. È un albero che nel suo areale può raggiungere altezze di
18-25 m e spesso anche 30; il diametro del tronco si aggira sui 45-60
cm. I frutti del Prunus serotina maturano solo dopo la metà del mese di
agosto e per questo è anche detto prugnolo tardivo. È una pianta
chiaramente mesofila, ma dotata di notevole plasticità. Ha la capacità
di riprodursi sia per seme che agamicamente tramite polloni. La specie
si è espansa con rapidità soprattutto nei boschi cedui formando
popolamenti di pessima struttura ed impoverendo notevolmente la
composizione specifica. Ha capacità inibente a causa della produzione di
sostanze allelopatiche. Il Prunus serotina è diffuso prevalentemente
nell’area del pianalto e nelle zone del Ticino, dove si rileva
un’estrema rigogliosità e facilità di dispersione tale da competere con
tutte le altre specie presenti, robinia compresa, che tende a
sostituire.Specie arbustive
Buddleja davidii:
invasiva in tutto il Nord Italia, grazie alla sua elevata tolleranza
nei confronti di diverse situazioni di stress e alla capacità di
produrre semi in grandissima quantità (più di un milione per pianta), in
Piemonte è fra le prime colonizzatrici di ambienti industriali
dismessi, siti con suoli fortemente contaminati da metalli pesanti ed
idrocarburi, fessure di muri e rupi, greti di torrenti e bordi di strada
fino a quote superiori ai 1000 m, arrivando a caratterizzare la
vegetazione di questi ambienti.
Amorpha fruticosa: Origine: N-America. Portata nel secolo XIX in Italia. Possiede elevata capacità pollonifera.
Solidago gigantea (America),
Ambrosia artemisifolia (N-America), Amaranthus retroflexus (N-America),
Erigeron annuus (N-America), Conyza canadensis (N-America).Ricerca floristica
Esistono 3 tipi di indagine:
1. Rilievi Floristici: delimitare area di studio, che deve essere ben definita → delinea la flora del territorio;
2. Studio specie rare:
si prende una determinata specie o tutte le stazioni dove essa è
presente (località della specie) → delinea la carta corologica
(distribuzione della specie);
3. Segnalazioni floristiche: sono segnalazioni di nuove specie (di solito rare o esotiche) → migliora la conoscenza del territorio.
La
conoscenza delle specie, della loro distribuzione, della loro ecologia è
importante ai fini della conservazione naturalistica. Le finalità sono
di interesse scientifico, interesse conservazionistico e il lavoro
professionale.
La maggior parte dei lavori presentano solo dati
bibliografici: questo è un limite perché i dati che si hanno a
disposizione possono non essere recenti o non essere localizzati bene,
quindi bisogna andare in campo per effettuare valutazioni più accurate.Rilievi Floristici
Elenco
delle specie presenti in un dato territorio. Richiede la delimitazione
di un’area territoriale e di censire tutte le specie presenti, anche più
volte durante l’anno (le esotiche, ad esempio, fruttificano sempre dopo
le altre).
Accorgimenti: i dati devono essere
raccolti in modo completo e con metodologie confrontabili (nel 1998 è
nato il progetto “Banca dati” insieme al database IPLA per pervenire ad
un’unica scheda di rilevamento). Successivamente è stato realizzato
INTERFLOR, uno strumento utilizzato da tutti i botanici. Nella scheda di
rilevamento c’è un settore dove vanno inseriti i dati geografici
(distribuzione delle specie in settori alpini, prealpini, appenninici e
di pianura) → Montalicini-Forreis, 1976.
Nel 1990 c’è stata la
proposta di dividere il Piemonte in settori ecogeografici, che hanno il
significato di sintesi ecologica (De Biaggi), con lo scopo di dare
informazioni sul clima, substrato e copertura vegetale.
In alcune
schede viene anche chiesta la vulnerabilità del sito, che indica se ci
sono o se ci sono state minacce per cause naturali o antropiche; il tipo
di ambiente, la morfologia, il substrato, il pH, HCl e il suolo
presente.
Dopo la prima fase, posso poi elencare le specie che rilevo.
Nel
2007 è nato il “Progetto Esotiche”: distribuzione delle specie esotiche
in Piemonte (non è stato ancora completato), che ha diviso il
territorio in quadrati di 5*5 Km; si serve del GIS, in quanto serve
sapere anche la fenologia delle varie specie. Tutti i dati possono poi
essere riportati in Excel, GIS, per ottenere la carta.
Flora:
metto l’elenco delle specie in ordine sistematico (mi posso aiutare con
il Pignatti – “Flora d’Italia”, che è riportato sul database).
Florule: flore semplici, elenco di specie di un territorio senza la distribuzione.
Studio di specie rare
a) Ricerca su una specie o un gruppo di specie in tutte le stazione in cui è presente;
b)
Studio su popolazione (insieme di individui che vivono in un certo
sito), lo si fa su specie esotiche o rare. Si possono individuare delle
carte corologiche, sulle quali rappresentare gli areali di distribuzione
primari e/o secondari, Italiani o Europei.Segnalazioni floristiche
Bibliografia, riviste, cataloghi multimediali e cartacei.
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Dettagli appunto:
-
Autore:
Marco Cavagnero
[Visita la sua tesi: "Utilizzo operativo di modelli numerici per la valutazione dell'inquinamento atmosferico e l'elaborazione di un indice di qualità dell'aria"]
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
- Esame: Ecologia vegetale
- Docente: Elena Barni
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