La giustificazione dell'aborto
Realizzazione di leggi che hanno condotto alla depenalizzazie dell'aborto;
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Legalizzazione dell'aborto come tentativo di fare di questa pratica un diritto;
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Ricerca di una legittimazione morale dell'aborto.
Ciascuno di questi momenti dà impulso all'altro.
1.a) La protesta per la legalizzazione dell'aborto
Rispetto al momento storico della depenalizzazione dell'aborto nel decennio 1965- 1975 sorgono due interrogativi: - perché tale aggiornamento non si sia verificato prima > il compito implicito della legge che penalizzava l'aborto era quello di far sparire gli aborti (o almeno limitarne il numero) oppure impedire che le esperienze morali ad esso legate facessero il loro ingresso nella sfera pubblica?
- come è stato possibile che sia bastato un numero consistente di persone (medici "irreprensibili", donne note) che dichiaravano pubblicamente di praticare o di aver praticato l'aborto per far crollare l'edificio eretto con lo scopo di confinarlo nell'illegalità e di bandire i problemi che esso poneva. Che l'aborto fosse praticato massicciamente, nessuno lo ignorava. La forza di questa operazione stava tutta nel suo carattere pubblico, cioè nel fatto di introdurre nello spazio pubblico, con l'intenzione di sottoporla a un dibattito collettivo, una cosa che ciascuno sapeva per proprio conto e, quindi, di trasgredire alla separazione fra dimensioni ufficiali ed ufficiose degli arrangiamenti che presiedevano alla generazione degli esseri umani. Il timore di veder crollare questo ordine generativo, che in assenza di alternative si presentava come necessario, spiega la sua accettazione anche da parte delle donne che contribuivano a mantenerlo difendendolo con il loro stesso corpo. La violazione della separazione fra le dimensioni ufficiali ed ufficiose degli arrangiamenti che governano la generazione poteva essere operato solo dal Femminismo in quanto movimento destinato a migliorare la condizione femminile, lottare contro le disuguaglianze fra i generi e destinato, soprattutto, a far emergere nella sfera politica il femminile. Questo cambiamento ha coinciso con una messa in discussione degli arrangiamenti, in particolare quello con la parentela e quello con lo Stato perché l'arrangiamento con il Creatore aveva già perso forza per l'indebolimento dell'influenza del Cattolicesimo e per la separazione tra sfere politiche e confessionali.
Alla fine degli anni '60 e soprattutto degli anni '70 le critiche all'ordine domestico (dove le donne sono in genere subordinate agli uomini e lavorano nei retroscena per mantenere la grandezza maschile), che prolungano e realizzano il movimento di rivolta contro la potenza politica della parentela e in generale contro tutte le forme di dipendenza personale (già delineatosi nel '700), contribuiscono a smascherare la dominazione maschile, considerata il culmine del potere gerarchico nelle sue forme patriarcali tipiche di un ordine sociale superato. Questa critica dell'arrangiamento con la parentela non dà nuovo impulso all'arrangiamento con lo Stato perché le richieste di legalizzazione dell'aborto rimettono in discussione la pretesa di quest'ultimo di esercitare il suo potere nell'ambito della generazione e di controllare quantità e qualità della popolazione nazionale.
1.b) L'aborto e lo Stato
Lo Stato rinuncia al progetto di intervenire per controllare quantità e qualità della popolazione per vari motivi: - squalifica delle biopolitiche statali nei paesi democratici occidentali, dovuta alla loro realizzazione da parte di Stati autoritari e soprattutto alle conseguenze mostruose dello scientismo eugenetico e razzista su cui si fondava l'ideologia nazista; - affievolirsi delle preoccupazioni per la popolazione per le innovazioni introdotte nel mondo del lavoro (robotizzazione, delocalizzazione,…) e nell'esercito (tecnicizzazione delle armi); - aumento dei timori per l'aumento della popolazione nei paesi del Sud del mondo (legame fra sviluppo economico e contenimento della popolazione). Tuttavia lo Stato deve mantenere sempre la propria autorità, quindi non può lasciare interamente libera la pratica dell'aborto perché significherebbe abbandonare una delle sue principali prerogative: il monopolio della violenza legittima → stabilisce i limiti di tempo e le condizioni in cui deve avvenire l'aborto: l'atto è depenalizzato solo se medicalizzato, può essere effettuato solo nei primi due mesi e mezzo di gravidanza,…
2) La legge di depenalizzazione dell'aborto
La legge Veil del 1975 non fa dell'aborto un bene, nemmeno ne garantisce la legittimazione, semplicemente lo depenalizza: ammette che l'aborto, un male, possa essere praticato in alcune circostanze solo se impedisce un male ancora più grande (principio del minor male). Il riferimento al minor male presuppone un essere, individuale (un giudice) o collettivo (una "commissione"), che ha l'autorità di giudicare caso per caso, individuando una gerarchia di mali a seconda delle situazioni. Le clausole della legge Veil subordinano l'accesso all'aborto a delle regole fisse però la decisione finale non spetta al medico, né ad una commissione generale ma solo alla donna che vuole abortire, la quale, affinchè la sua volontà si realizzi, deve farne richiesta, benchè questa richiesta non possa essere respinta. Questa struttura paradossale è caratterizzata dalla combinazione di una rinuncia dello Stato, che abbandona le sue pretese di controllo della generazione, con l'esigenza di mantenere comunque una tutela statale sulla pratica dell'aborto, pur lasciandovi libero accesso in funzione delle scelte individuali.
La legge americana, a prima vista, appare meno restrittiva di quella francese: viene richiesto comunque un colloquio con un'autorità medica ma l'intervento può avere luogo nel primo trimestre di gravidanza (contro le 10 settimane della Francia) previo un semplice accordo fra medico e donna incinta e, soprattutto, l'aborto è legalizzato come un diritto costituzionale e non solo depenalizzato; comunque non viene legittimato. La decisione della Corte suprema si basa sull'idea di privacy e non di proprietà del sé (Locke), che presenterebbe degli inconvenienti: - aprire alla strada alla possibilità di costituire come diritti delle pratiche fino allora proibite e particolarmente controverse, la cui legalizzazione comporterebbe nuove discussioni (eutanasia, vendita di organi, consumo di droghe,…); - (il rischio maggiore) dare l'appiglio ad una contestazione riguardante il fatto che l'aborto non coinvolge solo il corpo della donna ma anche un altro corpo racchiuso dentro di lei, rendendo necessaria una qualificazione di questo corpo: il feto. Mettendo l'accento sull'idea di sfera privata (privacy), la Corte suprema sposta il dibattito dalla questione della proprietà a quella della libertà: il "diritto all'aborto" può essere così collegato alla serie di libertà fondamentali relative al matrimonio, alla procreazione, alla contraccezione, alle relazioni familiari o all'educazione dei figli.
Riassumendo:
- la legge francese non legalizza l'aborto e non abolisce in linea di principio la sua penalizzazione, accontentandosi di fare riferimento, senza specificarle, alle condizioni di necessità che autorizzano a sospendere la gravidanza;
- la legge americana fa dell'aborto un diritto ma sancendo la rinuncia dello Stato a prendere partito sulla questione in nome del rispetto della vita privata.
In entrambi i casi il feto non viene nominato o viene trattato in maniera ambigua.
3) La legittimazione dell'aborto
Il desiderio di consolidare la legge porta alla ricerca di argomenti capaci di legittimarla, soprattutto all'interno della filosofia morale. L'argomento della privacy non sembra sufficiente perché parte dal presupposto che esista un confine ben definito fra: - spazio pubblico (decisioni riguardanti lo Stato); - spazio privato (lo Stato non deve intervenire). Questa divisione relega nella sfera privata domestici, bambini e donne poiché non hanno accesso all'autonomia, quindi non possono formulare giudizi razionali. L'introduzione del femminile nell'ordine politico presuppone che questa contrapposizione pubblico/privato venga superata: la teoria della giustizia, infatti, deve penetrare all'interno della casa, principale luogo di dominazione e disuguaglianza per le donne. L'estensione della legge e del potere giudiziario oltre le frontiere dell'intimità rischia di minare la base su cui poggia la legge che legalizza l'aborto: l'importanza del confine fra pubblico/spazio politico e privato/casa. Vi è inoltre la questione del feto: possiede dei diritti? Tali diritti si possono contrapporre a quelli della donna incinta? Il problema principale diventa allora quello di determinare se il feto è o no una persona. Ha finito per imporsi l'accezione liberale (orientata verso l'idea di autonomia) adottata da coloro che intendono dimostrare che il feto non è una persona, in contrapposizione a coloro che si appoggiano alla dottrina cristiana.
4) Il dilemma del tutto o niente
Nei dibattiti sull'aborto la questione di quale sia l'essere del feto si presenta in termini di tutto o niente. Si sono sviluppate due posizioni radicalmente opposte: - essenzialista: sotto aspetti che si modificano nel corso del tempo,una stessa essenza si mantiene e si sviluppa man mano che si afferma la sua presenza nel mondo > il feto e l'adulto che infine è diventato sono uno stesso essere, ciò che è dovuto a uno (il diritto alla vita), è dovuto all'altro; - il feto non ha sostanza propria, è diluito nella sostanza della madre > il feto appartiene al corpo della madre come un semplice organo. Il momento della nascita è un evento da cui deriva un cambiamento ontologico fondamentale.
5) "Essere umano" o "persona"?
Per sfuggire al dilemma del tutto o niente, bisogna stabilire in quale momento del suo sviluppo il feto potrà superare con successo l'esame che gli consente di accedere alla classe superiore.
M. Tooley: il feto è un essere vivente ed un essere umano ma bisogna contrapporre esseri umani (il cui diritto alla vita non è garantito) e persone (che non necessariamente appartengono alla specie umana e per le quali è legittimo rivendicare il diritto alla vita) > un essere umano, per poter essere qualificato come persona, deve avere la capacità di provare piacere o dolore e, soprattutto, di mantenere il riferimento a sé come essere persistente nel tempo (capacità di fare progetti o di essere soggetto di interessi non momentanei, che si manifestano attraverso desideri). Né il feto né i neonati (fino a 10- 12 settimane) sono in grado di soddisfare questo criterio, pertanto né l'aborto né l'infanticidio nel corso dei primi 2- 3 mesi di vita pongono un problema morale. Questi argomenti possono essere ricollegati: - al positivismo logico del quale viene ripresa la preoccupazione di sbarazzarsi del riferimento a quelli che considerano "esseri metafisici", cioè entità che non possono essere sottoposte ad una prova sperimentale (esseri sovrannaturali, come divinità ed angeli, e collettivi come popoli,…); - all'utilitarismo che si rifiuta di conferire uno statuto particolare alla vita umana in quanto tale, di considerarla di per sé sacra e calcola gli obblighi morali che abbiamo nei confronti dei vari esseri in base alla loro utilità sociale (punto di vista olistico / massimizzazione della felicità globale + p. di v. individualistico / vita che valga veramente la pena di essere vissuta).
6) Il valore del feto in una totalità ecologica
M. A. Warren propone strumenti di calcolo per stabilire lo "statuto morale" di qualsiasi essere appartenente ad una totalità ecologica. Godono di un pieno statuto morale le persone che non possono essere identificate con gli esseri umani, sono piuttosto una sottoclasse di esseri che sperimentano la sofferenza, caratterizzati da capacità mentali sofisticate come la razionalità e la coscienza di sé → non vanno fatti soffrire e la loro vita va rispettata. Le proprietà intrinseche del feto, invece, non comportano che gli si possa attribuire uno statuto morale elevato.
7) Il feto come intruso: l'ospitalità è un obbligo morale?
J. J. Thomson: il feto è un intruso nel corpo della madre ed è esigente, nonostante provochi molti disagi quindi l'aborto è legittimo per la libertà della donna (storiella del "celebre violinista", p.214).
8) Il riconoscimento come condizione del diritto alla vita
R. Solomon: cerca di operare una sintesi fra la posizione che pone l'accento sul tema del riconoscimento da parte degli altri (in particolare da parte della madre) come operazione costitutiva della differenza fra gli esseri che dispongono di un diritto alla vita e quelli che non ne dispongono ed alcuni postulati utilitaristici. Ne deduce che anche il valore intrinseco della vita umana è una convenzione sociale e ritiene che si possa dire che un essere ha valore solo in funzione del riconoscimento conferitogli da qualcuno (o dalla società) → il valore di un feto è il valore che ha in funzione delle persone che sono in relazione con lui e che lo saranno dopo la nascita. Dal momento che i diritti non sono qualcosa che si possiede bensì attributi di cui si viene investiti da altri, il feto non può rivendicare un diritto se non viene investito da un altro del diritto di vivere. Il valore del feto per la società in generale dipende da considerazioni economiche e biologiche ma anche da fattori individuali → l'opportunità di sopravvivere dipende dalla comunità nella quale si è stati gettati dalla sorte. Egli, infine, auspica che l'aborto non venga regolato dalla legge ma solo da vincoli morali interiorizzati.
9) Critica decostruzionista La decostruzione si propone di mostrare che credenze e pratiche sulle quali si fondano la dominazione maschile ed il patriarcato non sono naturali, bensì dipendono da arrangiamenti sociali che variano a seconda di epoche e culture e servono gli interessi degli uomini a svantaggio delle donne.
M. Boyle: la maternità viene valorizzata e l'aborto svalorizzato per effetto di una costruzione sociale, infatti la prima è più rischiosa e ha più conseguenza rispetto al secondo > è un riflesso dell'ideologia maschile. Anche la categoria di "persona" è occidentale e non universale, pertanto la vita umana non ha carattere sacro.
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La riproduzione umana naturale fa parte di un ordine riproduttivo fondato sullo sfruttamento.
Con le nuove tecniche il peso della gestazione sarà meglio distribuito e l'aborto sparirà da sé.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Viola Donarini
[Visita la sua tesi: "Domitia Longina, imperatrice alla corte dei Flavi"]
- Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
- Facoltà: Scienze della Formazione
- Corso: Antropologia
- Esame: Antropologia della parentela e di genere
- Docente: Claudia Mattalucci
- Titolo del libro: La condizione fetale (una sociologia della generazione e dell'aborto)
- Autore del libro: Luc Boltanski
- Editore: Feltrinelli
- Anno pubblicazione: 2004
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