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UNA SCIENZA SENZA OGGETTO


Il tentativo di dare solide basi biologiche alla psichiatra è frutto di interessi economici ma anche di una certa interpretazione delle scienze sociali. La malattia organica non comprende quasi mai una deviazione delle norme sociali, le eccezioni sono costituite dalle patologie organiche che compromettono la funzionalità dell’encefalo.
Il concetto di malattia mentale è una metafora mutuata dal concetto di medico di “malattia del cervello”, l’essenza sta nel comprendere e vivere alcuni comportamenti diagnosticati malattie della mente come malattie del cervello. Però la prima fase di ogni indagine scientifica è l’osservazione empirica: un cervello si può guardare e si può toccare, la mente no! Si può osservare un essere umano nella complessità del suo agire ma non si può osservare la sua mente, dunque dal punto di vista dell’osservazione scientifica classica la mente non è il cervello.
Il fatto che una persona abbia dei comportamenti e dei pensieri inadeguati, definiti a volte come schizofrenia, non implica che il suo cervello abbia delle anomalie funzionali o strutturali. Siamo in due domini fenomenologici diversi, ovvero il dominio dell’anatomia e fisiologia e il dominio del comportamento.
Per proporre una spiegazione scientifica della cura delle malattie mentali, è necessario inventare un meccanismo generativo di effetti terapeutici scientificamente convalidati. Questo è il meccanismo della diagnosi psichiatrica che classifica patologie a partire dagli effetti terapeutici degli psicofarmaci. La scienza che studia le malattie mentali ha la capacità di verificare gli effetti terapeutici di un farmaco prima che venga inventato il nome della malattia da guarire. Se l’azione del farmaco conferma i risultati attesi, si costruisce una diagnosi adeguata a delineare proprio quei sintomi che il farmaco sopprime. Dunque l’efficacia clinica di un farmaco conferma la validità di una diagnosi psichiatrica quindi la psichiatria è una scienza senza oggetto perché il disturbo mentale non può essere inferito da premesse dedotte dall’osservazione di modificazioni del comportamento

Tratto da LE RADICI CULTURALI DELLA DIAGNOSI di Carla Callioni
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