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Riepilogo delle principali riforme del codice di procedura civile

Riepilogo delle principali riforme del codice di procedura civile del 1942


Il testo base della disciplina processualcivilistica attuale è costituito dal Codice di Procedura Civile, entrato in vigore nel 1942, quale CPC innovativo rispetto al precedente Codice del 1865, che è stato il primo codice unitario, ove il processo civile era essenzialmente scritto (il che implica la prevalenza della scrittura sull'oralità). Pertanto, il CPC del 1942 è stato preceduto da un intenso dibattito dottrinale, influenzato soprattutto dalla dottrina e dalla concettualistica tedesca: esso era un codice del tutto innovativo, basato più sull'oralità che sulla scrittura.
In generale, entro la disciplina del processo civile, esiste una certa tensione tra le istanze/tentativi di riforma e le reazioni recalcitranti della categoria degli avvocati: la forte resistenza degli avvocati all’innovativo CPC del 1942 ha notevolmente inciso sulla sua struttura, previa la c.d. controriforma del 1950, che ha inserito dei maggiori elementi di struttura.
Gli anni '70 del secolo scorso sono stati caratterizzati da un importante movimento di riforma, anche a livello sostanziale, in materia laburistica: contemporaneamente all’elaborazione dello Statuto dei lavoratori, nel 1973 è stata introdotta una riforma importante nel rito del lavoro, postosi come innovativo rispetto al modello strutturale processualcivilistico del 1942, così come riformato nel 1950. Nello specifico, la struttura del processo del lavoro così risultante - che è stata gradualmente influente anche nelle sucessive riforme del processo civile ordinario a noi noto - deve rispondere ai canoni fondamentali dell’oralità, dell’immediatezza e della concentrazione: un processo civile efficiente, che garantisca i diritti dei cittadini in tempi rapidi, deve essere un processo prevalentemente orale (dove, quindi, è ridotta l'attività scritta, il che implica un aumento delle attività svolte davanti al giudice ed un conseguente aumento dei poteri di direzione processuale del giudice), che si svolga davanti al giudice in modo concentrato (cioè in un lasso di tempo limitato, il che implica anche un rafforzamento del sistema delle preclusioni delle parti) e in cui sussista un'immediatezza di rapporto tra il giudice, le parti e le fonti di convincimento del giudice.
Inoltre, l’aumento della domanda di giustizia ed il parallelo progressivo aumento dei tempi del processo, registratosi a partire dagli anni ’70, ha evidenziato una mutata esigenza di giustizia del cittadino italiano che, coniugata alle esortazioni del Consiglio d’Europa, ha messo in moto, dagli anni ’80 in poi, moltissimi progetti di riforma radicale, che, comunque, non sono tuttora sfociati nell’effettiva stesura di un nuovo CPC. 


A) Nello specifico, negli anni '90 le misure c. d. urgenti di riforma del CPC hanno trasposto nel processo ordinario alcuni profili propri del rito laburistico; in particolare, è stato soprattutto potenziato e rafforzato il sistema delle preclusioni. CHE COSA SIGNIFICA RAFFORZARE IL SISTEMA DELLE PRECLUSIONI? Così come la certezza dei rapporti giuridici e la fondata esigenza di tutela del proprio diritto soggettivo leso fanno sì che un processo (ed ogni rispettivo suo grado di giudizio) non si possa protrarre un tempo illimitato, anche all'interno di ciascun grado di giudizio il legislatore può discrezionalmente imporre alle parti di svolgere determinate attività, subito o entro un determinato momento, dopo il quale non lo possono più fare! La preclusione, dunque, consiste nella fissazione ex lege di un determinato lasso di tempo, entro il quale l'attività della parte deve essere posta in essere.

B) Allo stesso tempo, la riforma degli anni ‘90 ha posto un maggiore accento sul giudizio di I grado, conferendo efficacia esecutiva alla pronuncia di I grado: già con la pronuncia di I grado, il vincitore può iniziare il processo esecutivo! Al contrario, prima della riforma del '90, l’efficacia esecutiva si aveva solo post decorso del termine per l'appello o post esperimento dell’appello stesso.
Volendo approfondire a tal proposito, considerato che il processo civile italiano si svolge in più gradi, è una decisione discrezionale del legislatore il dare la possibilità all’attore vincitore di utilizzare il processo esecutivo vs il convenuto soccombente inottemperante, subito con la sentenza di I grado; oppure solo con la sentenza d'appello e/o solo post ricorso in Cassazione. Per semplificare, nel caso in cui il convenuto sia soccombente e, perciò, sia stato condannato al pagamento di una somma di denaro all’attore, è possibile che egli ritenga ingiusta tale sentenza, decidendo quindi di impugnarla proponendo appello! A tal proposito, si deve considerare qual è l'efficacia ex lege di questa pronuncia di I grado; qualora il legislatore vi abbia conferito efficacia esecutiva, se il convenuto soccombente non vi ottempera spontaneamente, l'attore vincitore potrò instaurare un processo esecutivo, previa notifica tale titolo esecutivo e conseguente pignoramento. Al contrario, il legislatore può decidere di non conferire efficacia esecutiva alla sentenza di I grado, finchè non sia decorso il termine per impugnarla e, di conseguenza, non siano più proponibili i mezzi di impugnazione ordinaria; oppure egli può anche decidere di conferire efficacia esecutiva solo alla sentenza di II grado, post svolgimento di giudizio di appello.
CHE COSA CAMBIA, SE LA PRONUNCIA DI I GRADO HA GIÀ EFFICACIA ESECUTIVA? O, INVECE, SE L’EFFICACIA ESECUTIVA SI HA SOLO POST SVOLGIMENTO E/O POST DECORSO DEL TERMINE PER PROPORRE L'APPELLO O IL RICORSO IN CASSAZIONE? La scelta legislativa di dare efficacia esecutiva alla pronuncia di I grado non significa impedire al soccombente (=chi ha perso la causa) di impugnare la sentenza; tuttavia, in questo modo, poiché può accadere che il giudice d'appello, diverso dal giudice di I grado, ribalti la decisione, ponendo nel nulla la decisione di I grado, l'esecuzione forzata già iniziata, che magari ha già vincolato/pignorato e/o venduto dei beni del soccombente in I grado, può essere posta nel nulla.

C) Inoltre, la riforma degli anni ’90 ha agito sulla collegialità o meno del Tribunale: a causa del problema pressante dei tempi del processo, il legislatore italiano ha ritenuto che una collegialità nella fase decisoria fosse un lusso eccessivo, motivo per cui, di regola, oggi il processo di Tribunale è un processo monocratico; solo alcune cause, elencate tassativamente ex lege, sono ancora decise da un collegio di 3 giudici.
Al contrario, nel disegno originario del CPC del 1942, il legislatore italiano - previa ottimizzazione delle risorse in termini di numero di giudici - aveva abbastanza astutamente deciso che, mentre la fase introduttiva e quella istruttoria del processo civile dovevano essere affidate ad uno solo di essi, il c. d. giudice istruttore (=il giudice che istruisce la causa), la decisione finale doveva sempre essere adottata da parte di tre giudici, dato che tre teste decidono meglio di una sola (anche se, ovviamente, in tale collegio, il giudice istruttore, avendo seguito la causa fin dall’inizio, avrà maggiore influenza sulla decisione).
Pertanto, le norme CPC, che disciplinano il processo davanti al Tribunale, ma non sono state toccate da questa riforma del 1990, parlano ancora di giudice istruttore vs collegio, anche se ormai la regola è la monocraticità del Tribunale.

D) Nel 1992, la figura del Pretore, quale giudice monocratico togato, è stata abrogata, mentre è stata introdotta ex novo la figura del Giudice di Pace, quale giudice monocratico non togato. In particolare, l’introduzione di questa nuova figura istituzionale è stata molto dibattuta; infatti nell’ordinamento italiano, i giudici sono di regola giudici di carriera, con l'eccezione del giudice di pace, il quale oggi ha una fetta di contenzioso civile importante: più del 50% delle cause civili di I grado sono attualmente decise da questo giudice non togato!
Poiché le riforme degli anni '90 non hanno risolto i problemi della giustizia civile italiana, si sono avute ancora ulteriori riforme all’inizio di questo secolo; in particolare, si è nuovamente ripresentata l’ipotesi di un nuovo CPC, basato su una diversa ideologia di processo civile, rispetto a quella attuale fondata sui canoni dell’oralità, dell’imediatezza e della concentrazione. Tale nuova idea di fondo, che è stata solo in parte attuata (Infatti, da subito il legislatore ha compreso che non può introdurre CPC del tutto nuovo, dato che, da subito, c’è forte reazione contraria) dal legislatore, approfittando astutamente della riforma del diritto sostanziale societario EX D. LGS. N. 5 DEL 2003, è stata concretizzata nell’introduzione di un nuovo tipo di processo/un nuovo rito speciale per le cause societarie, quale settore di contenzioso molto specializzato e anche abbastanza elitario (anche se la causa societaria, così come intesa dal D. LGS. N. 5 DEL 2003, era concetto abbastanza ampio): il processo societario, che, entrato in vigore nel 2004, è stato già abrogato EX LEGGE N. 69 DEL 2009 (É l’ultima legge di riforma in materia processualcivilistica, che ha lasciato in vigore solo alcune norme EX D. LGS. N. 5 DEL 2003, relative alla conciliazione e all’arbitrato) ed è ormai valido solo per le cause già pendenti. Quindi, l’ipotesi legislativa di testare la nuova ideologia processualcivilistica entro le sole controversie societarie, per poi estenderla in seguito alla generalità delle liti, non ha avuto alcun seguito, con soddisfazione della maggior parte della dottrina e della giurisprudenza!

In particolare, l’idea di fondo del rito societario EX D. LGS N. 5 DEL 2003 consiste nel considerare il processo civile come processo di parti e, pertanto, nell’affidare la prima fase processuale (=Fase introduttiva + Fase di trattazione della causa) alle parti, facendo entrare in gioco il giudice solo in un secondo momento: le parti si scambiano un certo numero di atti scritti, con la possibilità, data a ciascuna delle parti, di interrompere questo scambio, motivo per cui è una scelta delle parti il fare entrare in scena il giudice nel momento da loro ritenuto più opportuno.
Un tale processo, ove vi sia un ruolo inferiore del giudice e un maggior ruolo delle parti, è complicatissimo: la sua disciplina EX D. LGS. N. 5 DEL 2003, individuata da articoli molto lunghi, ha generato molti problemi applicativi, incontrando una certa resistenza nella prassi da parte dei giudici/dei magistrati e, allo stesso tempo, facendo intervenire anche la Corte Costituzionale per dichiarare illegittime alcune sue disposizioni, per poi esser abrogato EX LEGGE N. 69 DEL 2009.
Nel 2005 - 2006 ulteriori riforme hanno interessato la disciplina delle preclusioni, del processo esecutivo, del giudizio di Cassazione e dell'arbitrato.
Infine, nel 2009 si è avuto l'ultimo intervento legislativo in materia processualcivilistica EX LEGGE N. 69 DEL 2009, che si pone in linea con riforme degli anni ’90, abbandonando la nuova ideologia processualcivilistica e ritornando a quella tradizionale; parallelamente, al suo interno, sono contenute deleghe al Governo per emanare decreti legislativi a proposito del potenziamento della mediazione e della semplificazione dei riti.
A quest’ultimo proposito, il legislatore vuole diminuire i riti (speciali), conservandone solo più tre: il rito ordinario, il rito in materia di lavoro - che intende potenziare ulteriormente - ed il nuovo c. d. procedimento sommario di cognizione - che, anche se collocato entro la disciplina dei riti speciali, è un modello alternativo a quello di cognizione ordinaria, per quanto concerne il Tribunale in composizione monocratica -.

Tratto da DIRITTO PROCESSUALE CIVILE di Luisa Agliassa
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