La tripartizione dell'anima
Nell’anima umana infatti, o per meglio dire nella mens, riluce l’immagine stessa della Trinità divina, perché è suddivisa in tre facoltà:
Memoria: essa in primo luogo ricorda in modo attuale tutte le realtà temporali – passate, presenti, future –. In tal modo, l’anima conserva in sé un’immagine dell’eternità, in cui non esiste un passato ed un futuro, ma solo un indivisibile presente che abbraccia tutti i tempi. Essa, poi, conserva in sé i principi semplici, quali il punto, l’unità, l’istante, senza i quali non è possibile pensare, né ricordare le nozioni più complesse che hanno origine da essi. In forza della sua seconda operazione, appare chiaro che la memoria non è informata solo dalla realtà esterna per mezzo di immagini sensibili, ma possiede anche dei principi semplici che un principio ad essa superiore ha infuso in lei. Inoltre conserva in sé, come eternamente validi e indimenticabili, anche gli assiomi delle scienze, tanto è vero che, appena ne sente parlare, subito li approva e dà il proprio assenso, come se percepisse qualcosa di innato. Ciò appare chiaro quando sottoponiamo a qualcuno affermazioni del tipo «di ogni cosa si deve o affermare o negare che esista» o «il tutto è maggiore della sua parte». In tal modo, le operazioni della memoria manifestano che l’anima è immagine e similitudine di Dio in quanto dimostrano che l’anima condivide con Dio la sua eternità.
Intelletto: esso ha il compito di comprendere il significato dei termini, delle proposizioni e delle deduzioni. Comprendere un termine significa comprenderne innanzitutto la definizione, ma una definizione si dà facendo riferimento a termini più generali i quali, a loro volta, vengono definiti ricorrendo a termini ancora più generali fino a giungere a quei concetti supremi senza i quali è impossibile comprendere ciò che deriva da essi e che sono, per questo motivo, innati. Ad ogni termine corrisponde un ente e, più il termine è generale, più l’ente è generale e si avvicina a quell’ente in sé, ente totalmente puro, senza il quale non si può conoscere alcuna sostanza particolare. Ma l’intelletto ha innata la nozione di ente in sé, perfetto e immutabile e, tramite l’esperienza, conosce che un determinato ente è manchevole e imperfetto proprio perché ha in sé la nozione di ente perfetto.
L’intelletto inoltre comprende il significato delle proposizioni quando sa con certezza che sono vere ed esprimono una realtà immutabile. Ma, essendo soggetto al mutamento, esso non è in grado di ricavare da sé questa certezza, che è frutto perciò dell’immutabile luce divina che lo illumina.
Infine l’intelletto afferra il significato di una deduzione quando vede che la conclusione deriva necessariamente dalle premesse. L’intelletto afferra sempre la necessità di questo rapporto: se consideriamo ad esempio la frase «Se un uomo corre, allora si muove», tale frase resta sempre vera sia che l’uomo corra veramente, sia che si tratti di un’immagine creata dalla mente. Infatti non è importante che esista un uomo che corra veramente; l’importante è che, se esiste un uomo che corre, è necessario che se corre deve muoversi. La realtà di questa deduzione esiste, dunque, a prescindere dal suo verificarsi, perché la necessità della sua realtà deriva da Dio stesso, il quale ha voluto le cose in un certo modo. Appare evidente, dunque, che il nostro intelletto è congiunto con la stessa Verità eterna.
Volontà: il suo operare si esplica nella valutazione, nel giudizio e nel desiderio. La valutazione consiste nel ricercare che cosa sia meglio tra una cosa e un’altra. Il meglio non può essere definito se non in riferimento all’ottimo, ma non posso dire che una cosa sia migliore di un’altra perché assomiglia di più all’ottimo se non so che cosa sia ottimo. In tutti coloro che compiono una valutazione è quindi impressa la nozione di Sommo Bene.
A sua volta, un giudizio sicuro circa le cose soggette a valutazione si ha grazie ad una legge. D’altra parte nessuno giudica con certezza basandosi su una legge se non è certo che quella legge sia giusta e non debba essere a sua volta giudicata. Per cui l’anima che giudica con certezza attinge a leggi ingiudicabili ad essa superiori. Esse le sono superiori perché create da Dio e, quindi, l’anima giudica attraverso le stesse leggi divine.
Si ha poi il desiderio soprattutto di ciò che attira; ma ciò che più attira è ciò che maggiormente amiamo, ossia lo stato di felicità perfetta. Ora, non si possiede questo stato di felicità se non si perviene al Sommo Bene. Dunque il desiderio dell’uomo non appetisce nulla se non il Sommo Bene, ciò che conduce ad esso o ciò che ha somiglianza con esso.
Si può notare, dunque, quanto l’anima sia vicina a Dio dato che la memoria, con il suo operare, ci conduce alla Eternità del Padre, l’intelletto alla Verità del Figlio e la volontà alla Somma Bontà dello Spirito Santo. Infatti, come il Padre Eterno genera il Figlio, il Verbo incarnato disceso sulla terra per rivelare la Verità del Padre per opera dello Spirito Santo che rappresenta la volontà di realizzare ciò che il Padre ha pensato (ciò che è Sommo Bene), così la memoria che è eterna genera l’intelletto che rivela e rende comprensibili le immagini della memoria, ed entrambe, attraverso la volontà, sono dirette verso il Sommo Bene. Inoltre, come le facoltà dell’anima sono tre, sebbene l’anima sia unica dal punto di vista dell’essenza, così le persone divine sono tre, sebbene sia unica l’essenza di Dio.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Carmine Ferrara
[Visita la sua tesi: "Il problema del male e del nulla nel ''De casu diaboli'' di Anselmo d'Aosta"]
- Università: Università degli Studi di Salerno
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Filosofia
- Esame: Seminario Specialistico Storico-Filosofico
- Docente: Francesco Tomatis
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