Il dettaglio dei finanziamenti locali
Abbiamo un quadro iniziale che riporta tutta una serie di informazioni sulle caratteristiche socio-economiche del comune, sui piani esistenti (piano regolatore, programma di fabbricazione, piano di edilizia economica popolare, piani per insediamenti produttivi). Questi sono tutti strumenti molto importanti perché c’è un legame strettissimo tra le politiche urbanistiche di un comune e le politiche fiscali perché è ovvio che ogni programma di espansione urbana o di nuovi insediamenti industriali è fatto anche con la finalizzazione di acquisire nuovo gettito tributario, si potrebbe anche stimare quanto vale ogni abitante in più in termini di imposta comunale sugli immobili o un’impresa in più sempre in termini di imposta comunale sugli immobili oppure di addizionale Irpef.
Il prof fa notare la distribuzione delle entrate tributarie, categoria 1 “imposte” dove la principale è l’imposta comunale sugli immobili è possibile osservare che ad un certo punto in fondo troviamo addizionale Irpef e compartecipazione Irpef. Questo quadro il prof ce lo fa vedere perché la compartecipazione Irpef qui viene considerata un’imposta quando in realtà, per come viene sostanzialmente distribuita attualmente alle amministrazioni comunali, non è il gettito che viene incassato nel Comune a cui fa riferimento questo certificato ma in realtà è una compartecipazione che era ancorata ai precedenti trasferimenti che venivano dati dallo Stato ai comuni e quindi non ha la natura di entrata tributaria e questo comporta che se analizziamo un indicatore classico che è il peso del totale delle entrate tributarie sul totale delle entrate correnti dei comuni equivochiamo un po’ perché consideriamo un’entrata da trasferimento come un’entrata da compartecipazione mentre appunto le entrate derivanti da contributi e trasferimenti sono in un altro titolo ed è quello che ci denota la maggiore o minore dipendenza di un’amministrazione locale da parte di un’amministrazione locale. Questa è solo una piccola divagazione per dirci che questi principi devono poi essere applicati attraverso analisi che ci consentano di vedere il livello effettivo di autonomia tributaria di un’amministrazione locale.
I termini formali noi possiamo vedere una serie di formule molto semplici che ci definiscono in questo caso le imposte in sovrapposizione. Nella formula 1 abbiamo il gettito totale di un’imposta R (che potrebbe essere l’Irpef) pagata dal contribuente al governo centrale e all’ente locale e questo ci deriva dall’aliquota del governo centrale applicata alla base imponibile più l’aliquota del governo locale applicata sempre alla base imponibile quindi la sovraimposta corrisponde al secondo termine della formula e la base imponibile in questo caso è sempre la stessa. Che cosa potrebbe succedere per complicare questa formula che la base imponibile determinata a livello nazionale non corrisponda con quella determinata a livello locale.
Quali sono quindi le caratteristiche delle sovraimposte? In primo luogo il gettito di una sovraimposta va a toccare una base imponibile che non è sotto il controllo dell’ente locale sulla quale vi è concorrenza, nel senso che eventuali modifiche di localizzazione di imprese o anche di residenza possono portare ad un aumento della base imponibile che è comune all’amministrazione statale e all’amministrazione locale. L’altro punto molto importante e che rende la sovraimposta interessante rispetto all’addizionale è il fatto che in questa maniera quando il governo centrale modifica il sistema delle aliquote non c’è impatto sul gettito degli enti locali a meno che non si sia un grande aumento della progressività e questo addirittura comporti una riduzione della attività lavorativa e quindi della base imponibile complessiva, quindi solo la variazione di criteri di determinazione della base imponibile possono avere un effetto sul gettito. Da questo punto di vista vedremo poi che si pone anche un problema di scelta sui criteri di deduzione: sono preferibili i criteri che si basano sulla detrazione d’imposta rispetto a quelli di deduzione dal reddito perché se l’amministrazione centrale modifica il sistema di deduzione dal reddito e lo rende vincolante anche per la determinazione della base imponibile degli enti locali vuol dire che scelte di politica fiscale nazionale vanno ad incidere sulla politica fiscale locale, invece dal punto di vista teorico si sostiene che la cosa migliore è rendere distinte le responsabilità fiscali delle ammin. Locali rispetto a quelle centrali. Vediamo la formula delle addizionali, abbiamo il gettito totale dell’imposta R pagata dai diversi contribuenti al governo centrale e all’ente locale e poi abbiamo il gettito addizionale per il governo locale che c’è dato dall’aliquota locale commisurata al gettito dell’imposta.
Come funzionano le addizionali rispetto alle sovraimposte? A differenza delle sovraimposte in questo caso se il governo varia in maniera positiva o negativa l’aliquota dell’addizionale succede che avremo una variazione immediata del gettito per gli enti locali. Quindi in questo caso esiste un sistema di “concorrenza verticale” sulle imposte in sovrapposizione.
Arriviamo alle imposte che piacciono tanto ai governi nazionali in cui abbiamo un gettito da compartecipazione dell’imposta di tipo R per il governo locale I come quota alfa determinata a livello nazionale per tutti gli enti locali del gettito dell’imposta R all’interno del suo territorio. Alfa è una variabile che viene determinata in genere attraverso trattative a livello politico dai rappresentanti dei vari livelli di governo. Vi ricordate che abbiamo già parlato degli strumenti di coordinamento tra livelli di governo, le Conferenze intergovernative, ecco uno dei compiti principali di questi strumenti è trovare accordi su queste aliquote di compartecipazione. Anche nell’ultimo decreto sul federalismo municipale che prevede una compartecipazione a determinate entrate (ad es. la cedolare secca sugli affitti e poi una compartecipazione del 30% su una serie di imposte immobiliari), come si calcola questo 30%? Nasce proprio da una trattativa dove in genere si determina un’aliquota che consenta un saldo neutrale della finanza pubblica, vale a dire, se io attribuisco certe funzioni di spesa che non finanzia più lo Stato centrale identifico il costo di queste funzioni di spesa e se decido di finanziarle con delle compartecipazioni determino quel aliquota capace di pareggiare il costo delle funzioni trasferite. Però questa operazione di trovare degli equilibri attraverso questa aliquota alfa è un’operazione molto complicata perché richiede una conoscenza di dettaglio del sistema fiscale intergovernativo e quindi anche adesso nei primi tentativi di simulazione degli effetti di questo nuovo decreto non c’è concordia tra ammin. locali e centrali, questa aliquota non è stata completamente accettata e se è stata accettata è perché in questi casi nei decreti si scrive che l’aliquota risulta provvisoriamente determinata nel tot % e ogni anno un decreto del ministro ristabilirà la cosa. In realtà nei paesi più evoluti dal punto di vista delle relazioni finanziarie intergovernative si cerca di stabilire aliquote fisse per un periodo pluriennale che consenta di avere più certezza nella capacità di programmare le risorse (in genere dai 3 ai 5 anni), dopo di che si ammette che è necessario fare delle modifiche in questi sistemi di conferenze intergovernative. Quindi possiamo affermare che la determinazione delle aliquote in compartecipazione è uno degli aspetti più rilevanti delle relazioni finanziarie intergovernative e in genere viene regolato con delle contrattazioni basato su istituzioni intergovernative come quelle conferenze di cui abbiamo già parlato.
Abbiamo detto che le imposte proprie sono quelle più attuate dal governo locale, non possono però finanziare al 100% il governo locale per una serie di motivi che vedremo fra breve, perché le basi imponibili più elastiche bisogna darle all’amministrazione centrale per motivi di economie di scala e di omogeneità di trattamento delle diverse aree del paese. Posto che questo sia vero dobbiamo scegliere quale dei due livelli di imposte in sovrapposizione che consentano di avere un discreto livello di autonomia. Per scegliere dobbiamo chiederci quali sono gli impatti delle sovraimposte e delle addizionali rispetto a 3 profili di analisi delle relazioni finanziarie intergovernative: il primo è sempre quello dell’autonomia decisionale dei livelli di governo (aspetto molto rilevante del decentramento politico); un secondo profilo è l’equità orizzontale; terzo profilo è la redistribuzione verticale.
Per quanto riguarda il primo profilo, cioè l’autonomia decisionale dei livelli di governo possiamo dire che in linea di massima la sovraimposta consente di separare più nettamente la sfera decisionale centrale da quella locale perché abbiamo visto che qualsiasi decisione sulle aliquote (che in genere sono il componente di un sistema fiscale più flessibili e più facilmente modificabili rispetto alle manovre sulla base imponibile) non hanno impatto sull’amministrazione locale. Il prelievo del governo locale è condizionato solo dalle decisioni sull’ampiezza della base imponibile e qui c’è quel problema per cui qualora il governo centrale introduca delle modifiche al sistema delle deduzioni dal reddito in teoria bisognerebbe sterilizzare queste modifiche per quello che concerne la sovraimposta locale perché se no abbiamo questa commistione di interventi dove la politica fiscale centrale ha un impatto su quella locale e quindi in questo caso è meglio differenziare le competenze.
Per quanto riguarda l’equità orizzontale il problema che noi ci poniamo è quello di capire se è giusto riconoscere o meno a livello locale gli effetti dei criteri di personalizzazione dell’imposta erariale e quindi tutto il discorso delle deduzioni dal reddito. Quindi bisogna capire se ha senso che i criteri di determinazione della capacità contributiva a livello nazionale debbano avere un effetto anche sulla pressione fiscale locale. Da questo punto di vista vorrebbe dire chiedersi se sia giusto che anche a livello locale sia svolta una sorta di funzione redistributiva. La teoria invece ci dice che sarebbe meglio che a livello locale la redistribuzione fosse fatta in maniera limitata mentre a livello locale quello che si dovrebbe cercare di fare è di creare un sistema di imposte basato sul principio del beneficio cioè sui benefici che derivano dalla spesa locale ai contribuenti senza farsi carico dei problemi ad esempio della progressività che devono essere risolti a livello nazionale. Quindi da questo punto di vista (noi sappiamo che per determinare le scale di progressività si può usare anche un sistema di deduzioni dal reddito e detrazioni d’imposta) tra questi due sistemi dal punto di vista delle relazioni finanziarie intergovernative è meglio utilizzare il sistema delle detrazioni d’imposta perché in questo caso non andiamo ad incidere sulla base imponibile dei governi locali.
La redistribuzione verticale (cioè la redistribuzione a livello di reddito che si ottiene con l’imposta personale sul reddito e le scale di progressività). La sovraimposta e l’addizionale ampliano un effetto redistributivo in generale innalzando l’aliquota media perché vanno ad insistere sulla base imponibile e aumentano la pressione fiscale però l’aumento è minore nel caso della sovraimposta, nello stesso tempo la sovraimposta è stato dimostrato che riduce il grado di progressività mentre l’addizionale lo lascia invariato. Quindi sulla base di questi criteri noi possiamo scegliere tanto più vogliamo ridurre il ruolo degli enti locali nella funzione redistributiva e tanto più possiamo utilizzare l’addizionale che lascia appunto invariato il grado di progressività.
Facciamo un breve richiamo ai 2 grandi criteri di ripartizione del carico tributario: il criterio del beneficio (più adatto per le imposte locali) secondo il quale le imposte sono equamente distribuite quando sono commisurate, per ogni cittadino, ai benefici che questo ottiene dalla spesa pubblica. L’imposta locale ha proprio i connotati di quella che gli inglesi chiamano Tax price cioè io ho un vantaggio e devo trovare l’imposta che è molto vicina al mio vantaggio. Siccome io non posso fare l’imposta identica alla mia disponibilità a pagare per un bene pubblico allora cerchiamo di avvicinarci ed ecco perché l’imposta immobiliare è sempre stata considerata l’imposta migliore a livello locale, perché nella nostra proprietà immobiliare si vanno a tradurre i benefici del complesso dei servizi pubblici locali e delle infrastrutture locali (se mi fanno una metropolitana il valore della mia casa aumenta). Questa era l’idea di base che poi è stata un po’ snaturata dal fatto dell’abolizione dell’imposta sugli immobili sulla prima casa e in questo modo sono proprio i cittadini residenti che non pagano più per i servizi che ricevono e questa anomalia è stata giustificata come l’applicazione del principio della Costituzione sulla tutela del risparmio anche se la tutela del risparmio si può ottenere anche in altro modo.
Il criterio della capacità contributiva è invece un metodo più adatto per le imposte nazionali. Le imposte in questo caso devono essere commisurate alla capacità di pagare dei contribuenti senza un legame diretto con i vantaggi che a questi derivano dall’attività del settore pubblico con un problema di redistribuzione dai ricchi ai poveri più o meno accentuato. Questo concetto della redistribuzione sarà declinato nella teoria del governo locale soprattutto quando faremo la teoria dei trasferimenti e vedremo che dal punto di vista del finanziamento del governo locale emergerà un altro fenomeno che è quella della redistribuzione spaziale più che interpersonale.
Possiamo distinguere sulla base delle statistiche dell’Ocse la distribuzione delle imposte tra : imposte proprie (che comprendono le imposte proprie in senso stretto e le imposte in sovrapposizione, infatti le statistiche molto spesso non distinguono queste cose), in compartecipazione, altre imposte (imposte né proprie né in compartecipazione), e infine abbiamo i trasferimenti come voce che rispetto alle entrate correnti pareggiano i bilanci dei governi locali e anche quelli nazionali. È possibile vedere come il peso delle imposte proprie sia molto differenziato nei vari paesi (questi sono dai del 2002 ma in Italia non sono cambiati molto), abbiamo in Italia un 34% di imposte proprie e un 5,9% di imposte in compartecipazione (che nel caso delle regioni è rappresentata sostanzialmente dall’IVA e negli enti locali dalla compartecipazione Irpef). L’idea di fondo è che le imposte proprie e quindi più autonome consentono abbastanza questo circuito decisionale del “vedo,pago,voto” mentre sulle altre via via si viene ad attenuare. Quindi perché le imposte locali sono importanti? Perché garantiscono una maggiore autonomia che è sinonimo anche di responsabilità. In linea di massima l’autonomia locale per come si viene a configurare il sistema di finanziamento dei governi sub-nazionali in tutti i paesi è un’autonomia con margine, ovvero, che in genere in tutti i sistemi si tende a dire che l’autonomia fiscale soprattutto garantita attraverso la possibile manovra delle aliquote deve essere tale da consentire a tutti i cittadini attraverso le fonti di entrata delle amministrazioni locali di usufruire di un equivalente livello di servizi, nello stesso tempo il margine di manovra delle aliquote consentono a quelli che vogliono di fornire un livello di servizi superiore a questo standard medio e in questo senso l’aliquota consente una crescita al margine della pressione fiscale e quindi la possibilità di differenziare i servizi tra le varie amministrazioni. Questo fatto di autonomia e responsabilità non avviene per le imposte in compartecipazione dove non c’è questo legame tra sforzo fiscale e prestazione di servizi ed una questione che deresponsabilizza ed è questo un fenomeno che in Italia si è verificato nelle regioni a Statuto speciale dove avendo delle fortissime compartecipazioni il programma di queste regioni è stato soprattutto quello di garantirsi questo alto livello di compartecipazioni e allo stesso tempo garantirsi la presenza di attività economico-produttivo che alimentassero queste compartecipazioni.
La teoria delle imposte locali nasce perché la differenziazione dei governi locali pone un grosso problema rispetto alla localizzazione e alla mobilità delle imprese. Problemi che sono venuti via via sempre più importanti con il tempo perché la comunità delle persone e delle imprese è aumentata moltissimo nel corso degli ultimi 50 anni e quindi la mobilità di imprese e cittadini crea problemi di concorrenza fiscale e competizione che entro certi limiti può essere fisiologica e anche positiva mentre oltre certi livelli può creare meccanismi competitivi (ad esempio gli enti locali per accaparrarsi la localizzazione di un impresa cominciano tutti a ridurre le imposte e alla fine l’unica che ne beneficia è l’impresa che gioca su questa concorrenza). Un’altra ragione che rende importante lo studio delle imposte locali è la crescita dello squilibrio verticale, nel senso che molto spesso negli ultimi 20 – 30 anni c’è stata una tendenziale crescita dei fabbisogni di spesa delle amministrazioni locali perché hanno avuto sempre più funzioni oppure per le funzioni che già avevano la domanda di servizi è cresciuta in maniera più veloce rispetto a quella per i servizi che vengono forniti ancora dallo Stato ma nello stesso tempo abbiamo assistito ad una elasticità minore delle fonti di entrata tributaria autonoma perché le basi imponibili non erano così elastiche perché le basi imponibili non erano correlate alle grandi imposte nazionali come l’IRPEF e l’IVA. questa crescita dello squilibrio verticale come effetto ha come effetto la necessità di un intervento statale attraverso i trasferimenti, maggiori trasferimenti vuol dire maggiore spesa pubblica a livello centrale e questo genera crisi della finanza pubblica. La situazione di difficoltà della finanza pubblica italiana e non solo se noi andassimo a rivedere la storia ha le sue origini in un dissesto degli enti locali perché negli anni 70 la prima riforma tributaria aveva generato un progressivo aumento dei deficit degli enti locali che ha generato debito e che è stato accollato dallo Stato e ci si è resi conto che un meccanismo che non consentisse un’adeguata autonomia tributaria per i governi locali aveva come conseguenza un’aumento del deficit di bilancio e da allora si è cominciato a ripensare all’introduzione dell’autonomia tributaria che però ha avuto questa difficile storia confermata poi con l’abolizione dell’ICI su prima casa. Ci sono poi state, in parallelo a queste esigenze che derivano dalla responsabilizzazione degli enti locali e quindi una riduzione dei vertici di bilancio, delle spinte autonomistiche (cioè “io produco delle risorse e io me le impiego a casa mia”). Le imposte locali sono diventate molto importanti dappertutto ma attenzione perché la scelta sui tipi di imposte locali e la loro precisa definizione presenta delle problematiche diverse su tre grandi tipologie di paesi: abbiamo le imposte locali di paesi sviluppati (dove si possono sviluppare anche imposte di tipo più raffinato tipo l’IRAP) mentre nei paesi in via di sviluppo lo sviluppo delle imposte locali ha avuto grossi problemi soprattutto per quanto riguarda l’amministrazione dell’imposta (nei paesi in via di sviluppo molto accentrati i livelli di capacità amministrativa a livello locale sono molto bassi e quindi è molto difficile introdurre nuove imposte). Nella terza categoria di paesi cioè le ex economie socialiste noi abbiamo avuto un grosso problema di carenza di finanziamento con la privatizzazione di imprese statali che finanziavano molto i governi locali e soprattutto abbiamo avuto problemi per quanto riguarda l’introduzione delle imposte su proprietà immobiliari perché mancavano le basi informative catastali in presenza di un sistema di proprietà collettiva molto diffuso.
Si ripropone un esempio molto importante di come le tipologie di imposte possano avere intrinsecamente al loro interno dei livelli di autonomia decisionale molto differenziati.
L’Ocse ha identificato una griglia di analisi per individuare differenti tipologie di decisionalità nell’entrate tributarie locali. Noi qui ne troviamo 10 di cui possiamo vedere nel primo caso che i governi locali possono determinare le aliquote e la base imponibile con maggiore o minore discrezionalità ed è un po’ il caso probabilmente più semplice anche se quella maggiore o minore discrezionalità può variare in maniera abbastanza rilevante. Ci può essere il caso in cui il governo locale su una certa base imponibile possano determinare solo le aliquote senza limiti, altri casi in cui i governi locali possono determinare solo le aliquote con dei limiti, altri casi in cui i governi locali possono determinare solo la base imponibile attraverso la definizione di deduzioni e detrazioni. Già questo vi fa vedere la complicazione dei vari sistemi che ci possono essere.
Passiamo ora alle entrate in compartecipazione perché nella prima categoria avevamo le imposte proprie e in sovrapposizione. Le entrate in compartecipazione: i governi locali determinano i livelli do compartecipazione (caso raro ma esiste); il livello di compartecipazione può essere variato solo con il consenso degli enti locali; il livello di compartecipazione è fissato dalla legge ma meno frequentemente di una volta l’anno (ad esempio si stabilisce che per 5 anni alfa è pari a tot ed è la situazione migliore perché garantisce un minimo di programmabilità della finanza pubblica); il livello di compartecipazione è determinato dal governo centrale ogni anno (questo è il sistema presente in Italia negli ultimi 20 anni). Queste sono 4 sottodistinzione del modello della compartecipazione. La nona tipologia è: il governo centrale stabilisce le aliquote, la base imponibile delle imposte locali quindi è un tributo formalmente locale ma tutto definito dal governo centrale. Ad esempio in Indonesia c’era un sistema in base al quale il governo centrale stabiliva le imposte immobiliari e le attribuiva, al netto del 5-10% per le spese di riscossione, al governo locale.
Possiamo vedere una scala che riporta quello che abbiamo già detto in precedenza, dove le imposte proprie e in sovrapposizione sono quelle che consentono maggiore autonomia, via via che passiamo nei vari tipi di imposte in compartecipazione abbiamo sempre minore autonomia.
In base ai dati cha abbiamo vediamo che per gli enti locali mediamente il 70% delle entrate tributarie è riconducibile alle tipologie A,B,C mentre per gli Stati-regioni solo il 35% delle entrate è riconducibile a queste 3 tipologie e questo per un problema di squilibrio verticale, vale a dire, quanto più gli enti sono di rilievo e hanno molte funzioni e quindi hanno bisogno di più risorse e tanto più è difficile trovare queste fonti tributarie locali autonome perché c’è un problema di gestione del sistema fiscale nazionale e quindi diminuisce il peso per gli enti più rilevanti. Questo ad esempio è il caso dell’Austria e questi sono i risultati Ocse: la percentuale delle imposte locali sul totale delle imposte della pubblica amministrazione (l’Austria con il modello federale ha quasi il 19% e in Italia abbiamo il 13%).
Abbiamo parlato dello spazio e come questo incide sulla scelta delle imposte locali e sono soprattutto 3 i grandi problemi che ci pone l’introduzione dello spazio nella definizione dei sistemi fiscali. Questi 3 titoli sono veramente importanti: il primo è la CONCORRENZA FISCALE, è evidente che avendo tanti livelli di governo questi possono operare scelte autonome in teoria anche sulla fiscalità e possono creare competizione per la localizzazione di famiglie e imprese perché in questa maniera possono attirare risorse tributarie. Questo fenomeno simula un sistema di mercato del settore pubblico per cui noi cittadini possiamo decidere di andare in un Comune in base alle caratteristiche dei servizi pubblici che fornisce e delle imposte che fa pagare, qualità alta dei servizi e imposte basse attirerà molte persone perché pago poco per avere un buon servizio. Il secondo fenomeno è quello dell’ESPORTAZIONE DELLE IMPOSTE, tutte le imposte locali non è detto che vadano a colpire i cittadini residenti. Il terzo problema è quello della DISEGUALE DISTRIBUZIONE SUL TERRITORIO DELLA BASE IMPONIBILE e questo è un problema perché se io voglio garantire a tutti ì cittadini un certo livello di servizi minimo, se io attribuissi ai comuni un sistema di finanziamento basato su una sola imposta che è però distribuita molto squilibrata sul territorio l’effetto sarebbe che per garantire quello stesso livello di servizi io avrei dei livelli di pressione fiscale molto differenziati soprattutto di tipo regressivo perché dovrebbe avere livelli di pressione fiscale molto più elevati il Comune più povero rispetto a quello più ricco quindi il criterio di scelta delle basi imponibili è quello di avere basi più omogeneamente diffuse sul territorio (es, IVA perché rispetto alle altre basi ha un livello di distribuzione regionale più omogeneo). Come si esplica la concorrenza fiscale? attraverso la riduzione delle aliquote per attirare base imponibile o la riduzione della base imponibile stessa (ad es. ora si sta discutendo che le regioni potrebbero azzerare l’Irap e questo determinerebbe concorrenza). Se l’elasticità della base rispetto all’aliquota è maggiore di 1 allora l’operazione è conveniente perchè anche riducendo la base imponibile il gettito aumenterà. Ma questo genera una distorsione nella collocazione delle imprese che non si localizzano nelle zone più efficienti dal punto di vista produttivo per quello che concerne i fattori di produzione ma si va a collocare in una zona migliore non per i fattori produttivi ma perché viene abbassata l’aliquota d’imposta. Esempi di concorrenza presenti anche nei sistemi fiscali contemporanei sono: la concorrenza sulle imposte personali sul reddito, noi abbiamo avuto un caso di questo genere per quanto riguarda l’imposta di famiglia che era un’imposta progressiva gestita a livello comunale e che aveva creato forti fenomeni di concorrenza nella localizzazione delle residenze delle persone fisiche perché anche le pers più ricche cercavano un Comune vicino al suo luogo di interesse principale dove andare a risiedere magari contrattando per risiedere lì in cambio di aliquote molto basse. Oggi una cosa simile esiste a livello internazionale (es. Marchionne che abita in Svizzera e paga solo un 30% di imposta). Agnelli abitava a Perosa dove pagava meno di quello che avrebbe pagato a Torino per quanto riguarda questa tassa di famiglia. Lo stesso per quanto riguarda le imposte sulle vendite in America dove i supermercati che applicano imposte più basse si collocano sui confini degli stati per cercare di attirare gente.
La concorrenza fiscale non si può pensare solo alle imposte locali perché la concorrenza si può fare anche sui servizi forniti infatti le imprese cercano più che basse imposte, alta qualità sei servizi (qualità istruzione, qualità aria, vie di comunicazione), c’è uno studioso americano che ha detto che in fondo il sistema di amministrazioni locali potrebbe essere paragonato da un convoglio di navi merci protetto da una grande portaerei in cui nessuno si può poi così tanto allontanare perché se si allontana tanto arrivano gli aerei nemici.
Abbiamo parlato della prima fonte di finanziamento degli enti locali. Che come sapete è la più rilevante dal punto di vista dei principi dell'autonomia politica e della responsabilizzazione degli enti locali, nel senso che io ti do un servizio e ti faccio pagare il prezzo fiscale. Abbiamo fatto un approfondimento riguardo alle possibili entrate tributarie che possono esistere.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Andrea Balla
[Visita la sua tesi: "Analisi delle principali tecnologie applicate al settore automotive"]
[Visita la sua tesi: "I Diritti Particolari del Socio nella Nuova S.R.L."]
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Economia
- Docente: Prof. PIPERNO
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