Operazioni sul capitale
Dedichiamo l’ultima parte del corso alle operazioni straordinarie, avendo sempre come punto di riferimento la disciplina delle S.r.l., ma sempre ponendola a confronto con le norme delle altre discipline societarie e specie della S.p.A.
La formula delle operazioni straordinarie ha un perimetro variabile nel linguaggio dei giuristi: in senso ampio vi si possono ricomprendere tutta una serie di operazioni che riguardano la vita della società e che sono straordinarie perché non di routine, ma che comportano una scelta innovativa nella vita della società (possono riguardare il capitale sociale, l’emissione di obbligazioni, trasformazione, scissione e fusione).
In senso più stretto, e questa è l’accezione più comune nella cultura dei giuristi, per operazioni straordinarie si intendono queste ultime, cioè trasformazione, scissione e fusione. Noi comunque andremo ad analizzare l’accezione più ampia.
Queste varie operazioni, dal punto di vista della disciplina, si collocano su piani diversi, nel senso che le operazioni sul capitale sono specificamente disciplinate nell’ambito delle stesse società di persone, anche se qui hanno un rilievo marginale: si parla di emissione di obbligazioni nelle S.p.A., e di emissioni di titoli di debito nelle S.r.l.
Profilo diverso è quello relativo alle operazioni straordinarie in senso proprio, cioè appunto trasformazione, scissione e fusione: qui troviamo una disciplina per queste operazioni slegata dai tipi, cioè si trova una disciplina generale, che vale per tutti i tipi di società, una disciplina che è stata oggetto della riforma societaria, incidendo in modo notevole con riferimento alla trasformazione, e che ha toccato anche la disciplina della fusione e della scissione, anche se in modo meno marcato.
La ragione è semplice: nell’ambito della trasformazione il legislatore italiano aveva praticamente mano libera, perché questa non era disciplinata dal legislatore comunitario, se non per aspetti del tutto marginali, mentre il legislatore comunitario detta una disciplina della fusione e della scissione che fissava dei paletti.
Venendo alle operazioni sul capitale, si devono dedicare delle riflessioni a questo istituto: si parla di società di capitali, con il capitale che è un profilo di rilievo nell’ambito di queste società anche se in passato, e ancor più oggi, la rilevanza del capitale sociale è stato per molti aspetti ridimensionata (tant’è che c’è chi parla del “superamento del capitale sociale”).
Il capitale sociale è un dato contabile, è la somma dei valori dei conferimenti, ha una sua particolare collocazione nell’ambito del bilancio; sappiamo che possono essere distribuiti utili soltanto se il valore dell’attivo supera il valore del passivo più il capitale più le eventuali riserve.
Quindi il capitale è un valore fisso, mentre il patrimonio sociale è altra cosa, con quest’ultimo si indicano i beni della società; il capitale sociale è un valore, il patrimonio sociale è una realtà invece, sono i beni della società. Esiste una correlazione, nel senso che al momento della costituzione, se la società ha nel suo patrimonio solo il conferimento iniziale, il valore del patrimonio corrisponderà al capitale.
Le operazioni sul capitale sono previste dal legislatore da delle norme parallele nell’ambito delle S.p.A. e delle S.r.l., seppur con delle differenze abbastanza significative.
Abbiamo due tipi di operazioni sul capitale, e cioè aumento o riduzione di capitale: all’interno di queste due ipotesi ci sono due sotto-ipotesi che sono tra di loro speculari.
Possiamo avere due ipotesi di aumento del capitale, che rappresentano anche ipotesi di aumento del patrimonio, e possiamo avere specularmente un’ipotesi di riduzione del capitale che rappresenta anche un’ipotesi di riduzione del patrimonio. Possiamo avere così un’ipotesi di aumento del capitale senza aumento del patrimonio, e un’ipotesi di riduzione del capitale senza riduzione speculare del patrimonio.
Quando abbiamo un aumento del capitale con aumento del patrimonio? Quando il capitale viene aumentato attraverso nuovi conferimenti: si avrà così un aumento del capitale, e ci sarà anche un aumento del patrimonio, perché la società riceve all’interno del suo patrimonio dei nuovi beni attraverso il conferimento di denaro, beni (anche attività lavorativa, se all’interno delle S.r.l.). Questa ipotesi viene anche chiamata “aumento del capitale mediante nuovi conferimenti” o “aumento del capitale a pagamento” o anche “aumento reale del capitale”.
Possiamo avere ipotesi esattamente speculare di riduzione del capitale mediante riduzione del patrimonio, quando avviene l’operazione opposta, cioè di rimborso dei conferimenti.
Si può avere l’ipotesi di aumento di capitale senza aumento del patrimonio, con la società che non acquisisce nulla dai soci, non vengono effettuati nuovi conferimenti: in questo caso si ha una variazione puramente contabile, data dall’imputazione a capitale di riserve (si tenga conto che non tutte le riserve sono imputabili a capitale); il capitale aumenta, ma nulla viene introdotto nel patrimonio della società, è solo una variazione contabile.
Si parla in questo caso di “aumento nominale del capitale”, in contrapposizione all’aumento reale visto.
Immaginiamo una S.p.A. o una S.r.l. in cui ci sia un capitale di 1000 e una riserva disponibile, fatta di utili accantonati, di 100; se quei 100 vengono imputati a capitale, passando questo da 1000 a 1100, dal punto di vista sostanziale non c’è nessuna differenza; se i soci apportano invece 100, con un aumento del capitale sociale di 100, vuol dire che in pancia (meglio che in c**o) arrivano 100. Quella riserva di 100 era distribuibile ai soci in qualsiasi momento attraverso una deliberazione dell’assemblea ordinaria, ma una volta imputata a capitale non può più essere distribuita ai soci, salvo tramite la procedura particolare di riduzione del capitale. Quindi vuol dire che si pone un vincolo, trasformando una riserva che si poteva distribuire in qualsiasi momento in un qualche cosa che è vincolato a capitale. Significa inoltre che ora si potranno distribuire utili quando l’attivo supera il passivo più 1100 più eventuali altre riserve, e quindi si hanno effetti anche sotto questo punto di vista.
Specularmente abbiamo una ipotesi di riduzione del capitale senza riduzione del patrimonio; ciò nel caso di riduzione del capitale per perdite, perdite che hanno eroso il capitale, e quindi l’operazione di riduzione del capitale è solo un’operazione diretta a rendere l’ammontare del capitale coerente con la nuova situazione: in realtà quindi non esce nulla dalla società, la perdita si è già verificata.
Alcuni profili bisogna che siano considerati: il primo profilo è importante, ed è connesso al fatto che l’aumento di capitale è un’operazione a formazione successiva, un’operazione a più tappe: abbiamo la deliberazione di aumento del capitale (siccome il capitale è un dato fisso dello statuto, dell’atto costitutivo, l’aumento di capitale è una deliberazione modificativa e quindi è una deliberazione dell’assemblea straordinaria della S.p.A., mentre è una deliberazione con maggioranza qualificata nella S.r.l.); la seconda tappa è data dalla sottoscrizione dell’aumento del capitale che può avvenire da parte di soci o da parte di terzi; la terza tappa è data dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese. Vediamo tappa per tappa.
- Deliberazione di aumento del capitale sociale: la deliberazione non significa aumento del capitale sociale; è semplicemente una deliberazione con cui, dal punto di vista sostanziale ed economico, l’assemblea della società dichiara di avere bisogno di un incremento del capitale sociale. È una semplice proposta diretta ad ottenere nuovi conferimenti;
- Sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale: quando i soci o i terzi sottoscrivono l’aumento del capitale, si impegnano a effettuare i versamenti necessari; all’atto della sottoscrizione, devono versare almeno il 25% dei conferimenti in denaro. La sottoscrizione rappresenta quindi l’accettazione, sorge l’obbligo di effettuare l’aumento di capitale al momento della sottoscrizione;
- Iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese: la deliberazione diventa operante solo al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese, con la pubblicità avente effetto costitutivo.
Il secondo profilo è un po’ più complicato: è relativo alla posizione del socio in caso di aumento del capitale sociale; immaginiamo una S.p.A. che abbia un capitale sociale di 1000 (è la somma dei conferimenti che inizialmente i soci avevano apportato) e che oggi abbia un patrimonio sociale che complessivamente valgono 2000. Immaginiamo che le azioni di questa società siano 1000, e quindi il valore nominale delle azioni, corrispondendo ad una frazione del capitale sociale, sarà pari a 1; se il patrimonio della società vale 2000, il valore effettivo, reale delle azioni non sarà di 1, ma di 2. La società, per una qualunque ragione, ha interesse ad aumentare il capitale sociale (l’operazione di aumento del capitale sociale è una delle operazioni straordinarie, e le ragioni possono dipendere da tante circostanze, come per esempio perché la società vuole effettuare nuovi investimenti, vuole espandersi, o perché la società è in perdita e intende coprire queste perdite, o perché la società vuole chiedere un finanziamento a delle banche, che le richiedono un capitale sociale di una certa entità. A volte l’aumento di capitale sociale è un’operazione che può essere abusiva: la giurisprudenza si è dedicata appunto all’abuso di maggioranza, cioè a quelle decisioni che non sono dirette a perseguire un interesse della maggioranza, ma esclusivamente a pregiudicare una minoranza. Uno strumento tipico può essere proprio l’aumento del capitale sociale che non abbia giustificazioni di alcun tipo se non per pregiudicare i soci di minoranza, che potrebbero vedere ridotta la loro partecipazione se non fossero in grado di sottoscrivere anche loro parte dell’aumento di capitale sociale. Ciò può essere causa dell’annullabilità della deliberazione). Tutto questo per dire che esiste un interesse dei soci attuali a sottoscrivere l’aumento di capitale sociale, proprio per non essere pregiudicati nella loro posizione, per conservare la loro posizione all’interno della società. Tornando appunto al nostro caso, se venisse sottoscritto un aumento di capitale sociale, e questo fosse interamente sottoscritto da un terzo, i soci attuali diventerebbero soci di minoranza. C’è quindi un interesse da parte dei soci per conservare la loro posizione all’interno della compagine sociale, ad essere preferiti in caso di aumento della compagine sociale rispetto a terzi; questa è una prima ragione del diritto di preferenza che il legislatore prevede a favore dei soci nel caso di aumento del capitale.
Ma c’è un’altra ragione, che è di carattere patrimoniale: la sottoscrizione per aumento di capitale a valori nominali potrebbe pregiudicare, e di molto, i soci attuali: immaginiamo il caso della S.p.A. con capitale di 1000, 1000 azioni di valore unitario pari a 1 e patrimonio netto di 2000: vuol dire che in realtà il valore effettivo del patrimonio supera quello del capitale, è il doppio del capitale; immaginiamo che il capitale sociale venga aumentato di altri 1000, e che le azioni siano offerte a un terzo non socio: si avrà così un patrimonio societario incrementato di 1000 apportati dal terzo, che diventerebbe così azionista di 1000 azioni pagando 1000. Quale sarebbe il valore effettivo delle azioni? Il patrimonio era di 2000, viene incrementato di altri 1000, diventando così di 3000; il numero delle azioni sarà ora di 2000. Il valore effettivo diventerebbe così di 1,5: quindi prima i vecchi azionisti avevano delle azioni con valore reale di 2, adesso hanno azioni con valore reale di 1,5, perdendo 0,5 per azione, mentre il terzo, che ha pagato 1 per azione, si trova un valore effettivo di 1,5.
Ecco perché la possibilità data ai soci di essere preferiti rispetto ai terzi in caso di aumento del capitale è volta non solo a tutelare la posizione del socio percentualmente, ma anche a tutelare lka posizione patrimoniale del socio, che altrimenti potrebbe risultarne penalizzato.
La situazione patrimoniale del socio potrebbe rimanere integra quando le nuove azioni fossero emesse con un sovrapprezzo; nel nostro caso avverrebbe con il terzo che pagasse le nuove azioni non al valore nominale, ma al valore nominale più uno: se difatti le pagasse 2, qual’era il valore reale precedente, non si avrebbe nessuna perdita per i vecchi azionisti, perché si avrebbe il vecchio valore del capitale di 2000 più i 2000 del nuovo conferimento, diviso per le 2000 azioni, e si avrebbe sempre lo stesso valore di 2. L’eventuale pregiudizio patrimoniale potrebbe essere eliminato con un sovrapprezzo, facendo pagare al terzo non solo il valore nominale, ma un valore ulteriore per consentire ai vecchi azionisti di mantenere inalterato il valore reale delle azioni.
Questo giustifica il perché il legislatore attribuisca ai vecchi azionisti, sia per tutelare la loro posizione sostanziale, sia per tutelare la loro posizione patrimoniale, un diritto di preferenza nella sottoscrizione di azioni di nuova emissione, diritto che ha due nomi diversi: nell’ambito della S.p.A. si chiama diritto di opzione, nell’ambito delle S.r.l. si chiama diritto di sottoscrizione.
Poi il legislatore interviene con modalità molto diverse nel consentire che il diritto di opzione/sottoscrizione, in certi casi, e a certe condizioni, venga limitato o soppresso perché può esserci l’interesse o la necessità per la società di eliminare il diritto e offrire le azioni al terzo.
Questa decisione, che spetta sempre all’assemblea, è una decisione adottata dalla maggioranza che può pregiudicare la minoranza, e allora vanno prese delle precauzioni.
Sull’aumento di capitale si incontrano tre norme; siamo nella sezione “Modificazioni dell’atto costitutivo”.
Una prima norma si occupa genericamente dell’aumento di capitale, l’Art 2481; una seconda norma si occupa di aumento di capitale mediante nuovi conferimenti, dell’aumento reale di capitale sociale, Art 2481-bis; una terza norma disciplina l’aumento di capitale mediante il passaggio di riserve a capitale, cioè l’aumento nominale, all’Art 2482-ter.
- Con riferimento alla prima norma, il legislatore detta due regole: una di competenza, e l’altra relativa a quando può essere posta in essere, perché è un’operazione che non può essere decisa dalla società in qualsiasi momento, ma occorre la presenza del presupposto.
La regola della competenza l’abbiamo già vista ed è semplice: è una modificazione dell’atto costitutivo, mediante assemblea straordinaria nelle S.p.A., e tramite assemblea con maggioranza qualificata nelle S.r.l.; il legislatore consente per entrambe la delega dell’aumento di capitale agli amministratori. Ci troviamo così di fronte ad un’ipotesi normale nell’ambito delle S.p.A., perché il legislatore ha attribuito in via inderogabile agli amministratori la competenza gestoria, ma in più ha in qualche modo indebolito la posizione dell’assemblea dicendo che l’atto costitutivo può attribuire agli amministratori tutta una serie di competenze, e quindi si tratta di capire quando questa attribuzione è definitiva e quando invece è temporanea. Qui ci troviamo di fronte ad un’attribuzione temporanea, cioè l’assemblea può delegare temporaneamente ed entro certi limiti la competenza relativa all’aumento del capitale sociale. La ragione è molto semplice: convocare un’assemblea, soprattutto per società di una certa dimensione, comporta una spesa notevole e tempi dilatati, e quindi laddove ci sia bisogno di una rapida decisione sull’aumento di capitale sociale, può essere utile che venga investito il consiglio di amministrazione.
Nell’ambito della S.r.l. queste ipotesi di delega dall’assemblea agli amministratori si pone in controtendenza: è possibile che l’atto costitutivo sottragga tante competenze agli amministratori per attribuirle invece ai soci.
L’art 2481 recita infatti che “l’atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale”: questa però non è una attribuzione definitiva, ma un’attribuzione eccezionale, tant’è che la norma prosegue “determinando i limiti e le modalità di esercizio”. Quali sono i limiti? Potrebbero essere quelli previsti per le S.p.A., cioè che la delega non deve avere durata superiore ai 5 anni e deve essere stabilito un ammontare massimo per l’aumento di capitale. Siccome il legislatore qui non parla dei 5 anni, si presume che si possa ammettere una delega superiore ai 5 anni. L’atto costitutivo deve comunque prevedere una durata e debba anche precisare un ammontare massimo (ammontare o in percentuale).
Non fissando ulteriori paletti, gli amministratori che hanno ricevuto questa delega, potrebbero anche decidere di aumentare il capitale sociale non a pagamento, ma mediante il passaggio di riserve a capitale; potrebbero anche decidere, quando è consentito, di aumentare il capitale sociale escludendo il diritto dei soci alla sottoscrizione.
Il legislatore prevede che, oltre ai limiti, siano esplicate anche le modalità dell’aumento di capitale, e analizza una modalità molto importante: l’aumento del capitale sociale è, secondo il legislatore, tendenzialmente scindibile: quindi vuol dire che se l’assemblea decide di aumentare il capitale sociale da 1000 a 2000, o si ottengono sottoscrizioni da parte dei soci, ed eventualmente dei terzi, così da arrivare a 2000, oppure non si fa l’aumento, perché l’interesse della società è di aumentarlo fino a 2000, non meno. È possibile però prevedere una deliberazione di aumento del capitale che sia scindibile, e che quindi l’aumento rappresenti il tetto massimo previsto, ma che poi la società sia disponibile ad accettare qualunque aumento.
In caso di delega agli amministratori, l’atto costitutivo può prevedere che gli amministratori possano determinare le modalità, come ad esempio se l’aumento sia o meno scindibile.
La norma aggiunge, in parallelo alla S.p.A., che la deliberazione degli amministratori, essendo una modificazione dell’atto costitutivo, deve risultare da verbale notarile, deve essere oggetto del controllo da parte del notaio e deve essere iscritta nel registro delle imprese con effetto di pubblicità costitutiva.
Il primo profilo è quindi inerente alla possibilità di delega; il secondo è inerente a quando è possibile effettuare l’aumento di capitale.
Il legislatore non consente che si aumenti il capitale sociale quando si vuole; la decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedenti dovuti non sono stati integralmente eseguiti; un nuovo aumento di capitale può essere deliberato, ma non eseguito finchè l’aumento del capitale sociale non è stato integralmente eseguito.
Supponiamo che sia stato aumentato il capitale sociale da 1000 a 2000, sottoscritto ma con i conferimenti che non sono ancora stati integralmente eseguiti: si può nuovamente aumentare il capitale sociale, ma quello che non si può fare è attuare questo aumento, cioè non è possibile la sottoscrizione, perché presuppone che sia stato integralmente eseguito l’aumento di capitale precedente. Giustamente, perché si dovrebbe sottoscrivere un aumento di capitale, se si devono ancora eseguire i versamenti precedenti?
Il legislatore vuole evitare che un socio sottoscriva, e quindi si impegni ad eseguire un nuovo aumento di capitale, quando non ha ancora effettuato il versamento precedente.
- In caso di decisione di aumento del capitale sociale mediante nuovi conferimenti, spetta ai soci il diritto di sottoscriverlo in proporzione alle partecipazioni da essi detenute; qui il legislatore esplica il diritto di preferenza, chiamato diritto di sottoscrizione, a favore dei vecchi soci; quindi quando si aumenta il capitale sociale di una S.r.l. da 1000 a 2000, l’aumento di capitale deve essere offerto in prima battuta ai vecchi soci in proporzione alla partecipazione. Potrebbe essere offerto a terzi? Nell’ambito della S.p.A. il diritto di opzione concesso ai vecchi azionisti può essere sacrificato in alcuni casi: quando si tratta di un aumento di capitale che deve essere sottoscritto mediante conferimenti in natura (le nuove azioni non possono che essere offerte al soggetto in grado di effettuare quel certo conferimento in natura, di quel certo bene); inoltre il diritto di opzione può essere eliminato entro un certo limite nelle società quotate, qualora le azioni siano destinate ai dipendenti della società (esempio della FIAT, che avevano fatto l’aumento di capitale sociale per consentire l’ingresso ai libici).
Se viene impugnata questa deliberazione, perché si ritiene che non esista un interesse della società che esclude il diritto di opzione, il legislatore prevede una serie di quattro ipotesi, e come contropartita prevede l’introduzione di un sovrapprezzo, cioè la determinazione del valore delle azioni tale da impedire un pregiudizio patrimoniale peri vecchi azionisti: nell’ambito delle S.r.l. il sovrapprezzo è una eventualità, non c’è l’obbligo nel caso di diritto di sottoscrizione di introdurre il sovrapprezzo; ma vi è comunque una forma di tutela per i soci di minoranza dalla scarsa efficacia, perché può essere per questi particolarmente gravosa, una tutela a monte (il diritto di sottoscrizione è sopprimibile solo se a monte c’è una clausola in questo senso nell’atto costitutivo; se non c’è questa clausola, non può essere soppresso. L’atto costitutivo può prevedere che l’aumento di capitale possa essere effettuato anche mediante l’offerta di quote di nuova emissione a terzi) e a valle (se c’è il “disco verde iniziale”, l’assemblea dei soci o il consiglio di amministrazione possono sopprimere il diritto di sottoscrizione; non c’è più come nell’ambito delle S.p.A. una serie di ipotesi, ma c’è una scelta discrezionale; ma se lo sopprimono, il socio non consenziente a questa scelta, può recedere).
In questo caso, l’art 2481-bis al I° comma prosegue dicendo che spetta ai soci che non hanno consentito alla decisione di soppressione del diritto di sottoscrizione, il diritto di recesso. Perché questa soluzione può lasciare perplessi? Perché il diritto di recesso è sicuramente uno strumento di tutela, ma pesante tanto per la società (perché l’esercizio del diritto di recesso comporta per la società la liquidazione della quota e quindi un esborso notevole) quanto per il socio (perché il socio smette di essere tale). Pensate alla società per cui l’ingresso di un terzo sia veramente importante, strategico: se aumenta il capitale sociale, si sopprime necessariamente il diritto di sottoscrizione, parimenti le azioni sono offerte ai soci proprio per consentire l’ingresso del terzo, c’è un socio con una percentuale irrilevante non assenziente, che recede e la società è costretta a rimborsare la quota di liquidazione a favore di questo socio.
La norma poi crea dei problemi nel caso di conferimento in natura, perché se non c’è il disco verde iniziale, l’unica soluzione è pensare che il conferimento non sia ammissibile; ad esempio c’è quindi uno statuto di S.r.l. che non prevede la possibilità di offerta a terzi, cioè la possibilità di sopprimere il diritto di sottoscrizione, e allora a questo punto l’aumento di capitale mediante conferimento in natura è inammissibile, in quanto l’aumento di capitale deliberato con conferimento in natura non può che essere offerto a chi è in grado di conferire.
La norma presenta poi che “l’atto costitutivo può prevedere che l’aumento di capitale possa essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi”: vuol dire che l’atto costitutivo può introdurre questo disco verde che consente di sopprimere il diritto di sottoscrizione, e quindi permette di offrire le quote di nuova emissione a terzi. Ma non è detto che sia sempre così: difatti si può anche avere un’ipotesi di esclusione del diritto di opzione per favorire un socio. Il diritto di opzione infatti significa offrire le nuove azioni/quote proporzionalmente ai soci, ma escludere il diritto di opzione può anche essere fatto non per dare la possibilità ad un terzo di entrare in società, ma ad un socio, offrendo quindi tutto l’aumento di capitale ad un socio.
Qui quindi il legislatore parla di possibilità attraverso una clausola statutaria di sopprimere il diritto di sottoscrizione per offrire le nuove azioni ai terzi; ma questo vuol dire che si può sopprimere il diritto di sottoscrizione anche se non c’è questa clausola a monte per offrire le azioni ad un socio? Si potrebbe immaginare che esista la possibilità di sottoscrivere un aumento di capitale a favore di un socio come diritto particolare? Potrebbe essere attribuito ad un singolo socio il diritto di sottoscrivere un certo aumento di capitale.
- L’altra ipotesi vede il problema di selezionare le riserve da imputare a capitale, problema che però non verrà trattato.
Risolto il problema delle riserve da selezionare, il passaggio da riserve a capitale è un’operazione abbastanza semplice: è chiaro che qui non c’è alcuna sottoscrizione, non ci sono conferimenti, ma semplicemente variazioni di carattere formale; non si sposta né il valore nominale della partecipazione, tanto meno quello reale. Si utilizzano dei valori che sono già presenti nella società.
La lezione di oggi tratterà della riduzione di capitale, dell’emissione dei titoli di debito e un’introduzione sulle operazioni straordinarie.
Partiamo dalla riduzione del capitale. Vi sono due ipotesi, che sono esattamente simmetriche e contrarie rispetto all’aumento di capitale: aumento di capitale con nuovi conferimenti e riduzione di capitale con rimborso dei conferimenti. Quest’ultima è un’operazione poco frequente, tenendo anche conto della tendenza delle società di capitali e delle S.r.l. di costituirsi con una capitale sociale pari al minimo o comunque molto basso, vi è infatti una tendenza alla sottocapitalizzazione almeno nominale, dal punto di vista sostanziale poi la società può avere mezzi propri attraverso versamenti in conto capitale, attraverso, quindi, versamenti a fondo perduto che non sono imputabili a capitale ma a riserva. Quindi è molto difficile che vi sia un ammontare di capitale tale da consentire o giustificare una riduzione con rimborso dei conferimenti.
Un’ipotesi, che viene spesso formulata, è quella di società che abbiano momenti di vita diversi, che abbiano per esempio una prima fase in cui occorra una maggior presenza di capitali e una seconda fase dove questa presenza è meno necessaria. Per esempio si fa il caso di una società che costruisca e poi gestisca un’autostrada e quindi abbia veramente due fasi di vita e possa verificarsi ad un certo punto che il capitale necessario nella prima fase risulti superfluo nella seconda.
Oggi il legislatore, sia per le S.p.a. che per le S.r.l., ha consentito questa operazione senza prevedere particolari presupposti. Se leggiamo la norma in tema di S.r.l., ma che riproduce più o meno quella per le S.p.a., troviamo la possibilità di cui all’art. 2482 di riduzione del capitale sociale mediante rimborso ai soci delle quote versate o mediante liberazione delle quote ancora dovute. Evidentemente la restituzione del capitale può avvenire in uno di questi due modi, o attraverso la restituzione dei versamenti già effettuati o attraverso una liberazione dall’obbligo dei conferimenti ancora dovuti. E’ chiaro che quest’operazione è sicuramente possibile nei limiti in cui rimanga almeno un capitale minimo e sicuramente nei limiti in cui la società possa continuare l’attività d’impresa.
Nel sistema anteriore era esplicitato un presupposto, si parlava di capitale esuberante, cioè di capitale eccessivo. Oggi non si parla di capitale esuberante, non esiste più questo presupposto ma è chiaro che per consentire una riduzione con rimborso occorre che la società abbia delle disponibilità tali da poter continuare l’esercizio dell’attività. Ovviamente questa è un’operazione che può pregiudicare i creditori che possono vedere diminuire il capitale sociale e quindi il patrimonio della società che rimborsa somme o libera i soci dall’obbligo di versare somme. I creditori sono tutelati attraverso la possibilità concessa loro di fare opposizione all’operazione, quindi di bloccare l’operazione qualora vi siano dei seri pregiudizi. In effetti, dice il legislatore nell’art. 2482, l’operazione può essere effettuata solo decorsi 90 giorni dalla deliberazione, o meglio dall’iscrizione della deliberazione nel Registro delle imprese purché in quei 90 giorni i creditori non abbiano fatto opposizione. Se invece fanno opposizione, l’operazione viene bloccata e il tribunale valuterà se l’opposizione sia portante oppure no, quindi se la riduzione del capitale a rimborso dei conferimenti pregiudica o meno i creditori.
Operazione poco frequente e marginale, molto più frequente e meno marginale, ancora di più in una situazione di crisi, è quella della riduzione del capitale per perdite.
Qui bisogna prima di tutto chiarire in cosa consista la perdita, e poi distinguere tutta una serie di ipotesi che sono abbastanza variegate. Il legislatore si occupa della seconda e terza ipotesi, implicitamente viene regolata la prima ipotesi e invece non trova una esplicita regolamentazione la quarta.
Cosa si intende per perdita o meglio quando si verifica una perdita? Si verifica una perdita quando il passivo è tale da erodere non solo l’attivo ma anche le riserve e quindi andare ad intaccare il capitale.
A questo punto si possono verificare quattro ipotesi:
- possiamo avere una perdita tale da ridurre il capitale in modo inferiore ad 1/3, quindi una perdita per cui il capitale si è eroso per meno di 1/3 (ad esempio un capitale di 300, la perdita è di 50);
- possiamo avere una perdita che superi il terzo (capitale di 300, perdita di 120);
- possiamo avere una perdita che porti il capitale al di sotto del minimo legale;
- possiamo avere una perdita tale da azzerare il capitale.
Il legislatore disciplina espressamente la seconda e terza ipotesi, quindi la perdita superiore al terzo del capitale ma non tale da ridurre il capitale al di sotto del minimo e la perdita che riduce il capitale al di sotto del minimo. Implicitamente disciplina la prima ipotesi, la perdita inferiore al terzo, mentre lascia aperto il discorso relativo alla perdita che azzera il capitale.
Prima ipotesi, piuttosto semplice, perdita che riduce il capitale al di sotto di 1/3.
La soluzione è molto semplice e la si ricava al contrario dall’art. 2482-bis, quando risulta che il capitale è diminuito di oltre 1/3 in conseguenza di perdite si applica una certa disciplina, quindi se la perdita è inferiore ad 1/3, se non supera il terzo del capitale, se non erode il capitale di oltre 1/3 la perdita è irrilevante.
Seconda ipotesi, quando risulta che il capitale è diminuito di oltre 1/3 in conseguenza di perdite.
Abbiamo quindi una perdita superiore ad 1/3 del capitale sociale su presupposto che comunque rimanga il minimo legale.
Cosa succede?
Qui il legislatore prevede due fasi:
- nella prima fase vediamo protagonisti gli amministratori e l’assemblea.
Quando si verifica una riduzione per perdita superiore al terzo del capitale sociale gli amministratori devono convocare senza indugio l’assemblea per gli opportuni provvedimenti. All’assemblea dev’essere sottoposta una relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società con le osservazioni, se esistono, del collegio sindacale e del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti.
Vediamo la posizione degli amministratori e, in parallelo laddove si tratti di S.r.l. che abbia l’obbligo di questi soggetti, la posizione del collegio sindacale e del revisore.
Prima di tutto il legislatore prevede che in caso di perdita rilevante, quindi di riduzione del capitale di oltre 1/3, gli amministratori debbano senza indugio convocare l’assemblea. Quindi c’è un obbligo per gli amministratori di sottoporre all’assemblea tale situazione. A monte di questo obbligo ovviamente ne sussiste un altro ugualmente importante: se gli amministratori debbono senza indugio convocare l’assemblea quando si è verificata una situazione tale per cui, a causa di perdite, il capitale viene eroso di oltre 1/3, se c’è questo obbligo di convocazione dell’assemblea senza indugio, è chiaro che per poter adempiere a tale obbligo gli amministratori debbano in modo continuativo monitorare la situazione della società. Quindi esiste un fondamentale obbligo degli amministratori, questa è una delle estrinsecazioni più significative, di continua attenzione sull’andamento della situazione della società in modo da poter accertare se esiste una perdita rilevante e poter quindi senza indugio convocare l’assemblea. E’ chiaro che, gli amministratori, per poter adempiere a quest’obbligo di continuo monitoraggio della situazione della società andranno a predisporre i famosi assetti adeguati di tipo contabile, cioè delle procedure che consentano loro di tenere sempre sotto controllo la situazione.
Questo è uno degli obblighi più rilevanti, uno degli obblighi la cui violazione viene più spesso in considerazione in presenza di azioni di responsabilità. Si parlava della responsabilità degli amministratori per violazione degli obblighi, questo è uno degli obblighi più significativi e che più frequentemente viene in considerazione, in particolare, in presenza di azioni promosse dal curatore, nel caso di fallimento della società molto spesso si imputa agli amministratori di aver o colposamente non verificato la situazione della società, non aver preso i provvedimenti opportuni, in presenza di perdita non aver convocato l’assemblea oppure dolosamente, di aver occultato le perdite attraverso particolari escamotage relativi al bilancio.
Quindi obbligo costante di monitoraggio della situazione patrimoniale e finanziaria della società; quando emerge una perdita rilevante obbligo per gli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea, ovviamente concretizzare cosa si intenda per “senza indugio” dipende da caso a caso, ma ovviamente si intende che gli amministratori debbano convocare in tempi brevi l’assemblea.
Ulteriore obbligo molto importante è quello di predisporre una situazione patrimoniale della società, che non è altro che un bilancio aggiornato da cui risulti la perdita e quindi l’erosione del capitale di oltre 1/3. Questa situazione dev’essere corredata, se questi organi sono presenti, dalle osservazioni del collegio sindacale e dei revisori.
A questo punto si pongono da un lato in quanto hanno adempiuto i loro doveri, gli amministratori, il collegio sindacale e i revisori ed entra in primo piano l’assemblea: cosa può fare l’assemblea dei soci?
Il legislatore dice che l’assemblea dev’essere convocata per gli opportuni provvedimenti: quali sono questi opportuni provvedimenti? Il legislatore non lo dice. L’assemblea ha varie possibilità:
- imitarsi a prendere atto della situazione senza ridurre il capitale e di verificare quali possono essere gli opportuni provvedimenti idonei a superare questa situazione, quindi a tamponare le perdite e tornare in una situazione di utili. A questo punto sono consentiti tutta la gamma di provvedimenti che la prassi può immaginare, per esempio aumenti di capitale, versamenti a fondo perduto, scelta di determinate strategie. Il legislatore non dice nulla, ma ciò che è rilevante è che l’assemblea non è tenuta a ridurre immediatamente il capitale. Quindi in sostanza l’assemblea prenderà gli opportuni provvedimenti, che non si sa bene quali siano e che quindi sono lasciati alla discrezionalità dell’assemblea, e può rimandare il tutto all’esercizio successivo. Il legislatore concede una sorta di moratoria in caso di perdita nella speranza che, grazie all’intervento dell’assemblea, la situazione possa stabilizzarsi. N
Naturalmente se nell’esercizio la perdita è diminuita diventando irrilevante, quindi sotto il terzo o addirittura la perdita è scomparsa nessun problema.
-Poniamo il caso in cui la perdita sia rimasta superiore al terzo.
Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita al di sotto di 1/3, a questo punto dev’essere convocata l’assemblea per l’approvazione del bilancio e per la riduzione del capitale in proporzione delle perdite accertate. Se la perdita non viene superata, o comunque ridotta al di sotto di 1/3 entro l’esercizio successivo l’assemblea che approva il bilancio deve ridurre il capitale in proporzione alla perdita (se per esempio il capitale fosse di 300 e la perdita di 150, il capitale dev’essere ridotto in proporzione alla perdita).
Questo per evitare un danno ai terzi, ai creditori, perché se il capitale rimane a 300 e non viene ridotto i creditori possono ritenere che questo capitale sia effettivo, invece, in realtà è un capitale eroso. La riduzione del capitale, in questo caso, non è un qualche cosa che depauperi la società, perché ormai la perdita si è realizzata e quindi siamo in una situazione completamente diversa dalla riduzione con rimborso dei conferimenti, qui non si rimborsa nulla, qui soltanto si prende atto di una erosione del capitale in funzione dell’attuale dimensione del capitale.
Ci sono poi dei meccanismi in cui interviene il tribunale, nel caso in cui l’assemblea non intervenga, per variare il capitale.
Se non si provvede attraverso l’assemblea, gli amministratori, i sindaci o i revisori devono chiedere al tribunale che venga discussa la riduzione del capitale.
Terza ipotesi, abbiamo una riduzione del capitale per perdite tale da portarlo al di sotto del minimo legale. Quindi abbiamo una perdita rilevante e il capitale eroso si riduce al di sotto del minimo legale, al di sotto dei 120.000 €. Che cosa succede?
Qui il legislatore usa l’acceleratore, nel caso in cui gli amministratori verifichino una perdita non solo rilevante ma tale da ridurre il capitale al di sotto del minimo legale devono convocare con urgenza l’assemblea e a questo punto le possibili soluzioni sono tre:
- ridurre il capitale sociale e poi aumentarlo contestualmente almeno al minimo: quindi una doppia operazione, si riduce il capitale per metterlo al pari del valore quale risultato dalla perdita e poi aumentare contestualmente almeno al minimo;
- trasformare la società: questo è possibile se si tratta una società per azioni trasformandola in una S.r.l. che ha un minimo inferiore, oppure nel caso di S.r.l. è possibile, anche se è un’ipotesi molto rara, trasformarla in una società si persone. Si potrebbe trasformare una S.r.l. in una società di persone che non ha un capitale minimo imposto e quindi il problema non si pone, ma vuol dire rendere personalmente responsabili per le obbligazioni sociali i singoli soci;
- i scioglie la società: la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo è una delle cause previste dal legislatore per lo scioglimento della società. A questo punto se i soci non intendono aumentare il capitale sociale almeno al minimo e non intendono trasformare la società non ha più un elemento essenziale e quindi la società si scioglie.
Ultima ipotesi, non prevista dal legislatore, la perdita è tale da azzerare il capitale. Questo non vuol dire che la società rimane senza mezzi, azzerare il capitale sociale significa ridurre a zero l’impatto contabile ma non i valori effettivi, che non sono espressi dal bilancio perché questi sono valori prudenziali almeno stando al bilancio tradizionale. Nel caso di riduzione a zero del capitale sociale cosa si può fare?
Si potrebbe, anche se è un pochino discussa la cosa, trasformare ugualmente la società. Ma a parte questa soluzione e a parte, ovviamente, la messa in liquidazione della società, è chiaro che se il capitale sotto il minimo determina lo scioglimento della società il capitale addirittura azzerato a maggior ragione ne determina lo scioglimento. Per evitare questo si potrebbe procedere ad un aumento di capitale almeno al minimo. Quindi si potrebbe immaginare di operare allo stesso modo del caso della perdita che riduce il capitale al di sotto del minimo: se la perdita ha portato il capitale sotto il minimo si può ridurlo e poi aumentarlo almeno fino al minimo, allo stesso modo se si è azzerato si potrebbe azzerarlo e poi aumentarlo almeno fino al minimo. A prima vista si potrebbe ritenere che, a parte il dato quantitativo, perdita del capitale al di sotto del minimo ma rimane comunque un certo valore e perdita integrale del capitale sociale, le due ipotesi siano molto simili. In realtà non è così perché nel caso in cui il capitale sociale seppur al di sotto del minimo abbia comunque un valore la riduzione del capitale sociale o l’aumento al minimo consente sempre a tutti i soci di rimanere tali, nel senso che anche i soci che non sottoscrivessero l’aumento del capitale sociale avrebbero ovviamente una partecipazione magari ridotta ma avrebbero pur sempre una partecipazione (pensate ad esempio a un capitale sociale ridotto a 1000 €, viene riportato al minimo e quindi a 10.000 €, se non tutti sottoscrivono il capitale sociale, avremo dei soci con una partecipazione decisamente ridotta ma saranno pur sempre soci). Se invece si riduce il capitale a zero e si aumenta il capitale sociale, attenzione, i soci che non intendono sottoscrivere l’aumento di capitale cessano di essere tali. Siccome si è ridotto a zero, se non viene sottoscritto l’aumento il socio che non sottoscrive non è socio, perché se si è azzerato non vi è più una partecipazione. Per cui il problema delicato che si pone è se, in questa situazione si possa immaginare una riduzione e aumento deliberato dalla maggioranza e non dall’unanimità, sapendo che in questo modo la minoranza contraria, che non approfittasse del diritto d’opzione e quindi non sottoscrivesse in nuovo capitale uscirebbe dalla società. La risposta della giurisprudenza è tendenzialmente positiva, quindi si ritiene che la maggioranza possa deliberare una riduzione a zero del capitale sociale e l’aumento, quindi sempre necessario l’intervento del diritto d’opzione e quindi dando a tutti i soci il diritto d’opzione, con la conseguenza che se ci sono soci che non sottoscrivono l’aumento di capitale cessano di essere tali.
A volte c’è anche un uso fraudolento, un abuso di questo tipo di operazione. Può anche succedere che venga fatta apparire una perdita integrale del capitale sociale e quindi con accentuazione del passivo, normalmente si cerca di ridurre il passivo e aumentare semmai l’attivo, in modo da ridurre a zero il capitale, aumentarlo sapendo che alcuni soci di minoranza non intendono sottoscriverlo e quindi per farli uscire dalla società. Questa è quindi un’operazione che, a volte, viene usata come operazione abusiva per far uscire certi soci dalla società.
Però, effettivamente, dove si sia verificata una perdita tale da azzerare il capitale sociale si ritiene che possa essere ridotto a zero a poi aumentato al minimo con deliberazione a maggioranza.
Affrontiamo ora il tema, presente in molti statuti di S.r.l. ma quasi mai attuata, dei titoli di debito trattati dall’art. 2483. La formula può sembrare un po’ strana in quanto siamo abituati a sentir parlare di titoli di credito, qui si parla di titoli di debito, anche se in realtà il titolo di credito visto dall’altra parte è un titolo di credito, senza contare che stesso testo unico della finanza prevede proprio i titoli di debito tra i vari strumenti finanziari. Lasciamo da parte cosa siano i titoli di debito, probabilmente è una categoria più ampia che grossomodo può essere equiparata alle obbligazioni, i titoli di debito sono degli strumenti finanziari, sostanzialmente delle obbligazioni, che possono essere emesse dalle società a responsabilità limitata e che danno diritto ai sottoscrittori di ottenere ad una certa scadenza il rimborso della somma con interessi, e quindi uno strumento di finanziamento.
Il legislatore consente alle S.r.l. di emettere i titoli di debito e per tutela del mercato finanziario ha blindato questi titoli, si tratta di titoli sicurissimi in quanto i sottoscrittori dei titoli di debito emessi dalle S.r.l. possono essere solo una categoria di soggetti: i titoli di debito non possono essere emessi e sottoscritti da chiunque, possono essere sottoscritti esclusivamente da soggetti che abbiano la qualifica di “investitori professionali sottoposti a vigilanza prudenziale”, vuol dire che possono essere sottoscritti da banche o intermediari finanziari. Questi titoli possono poi essere immessi sul mercato ma con una particolare caratteristica: salvo il caso in cui siano trasferiti ad altri intermediari finanziari o siano trasferiti a soci, nell’ipotesi in cui siano collocati sul mercato, e quindi possano essere sottoscritti da chiunque, il legislatore prevede che chi li trasferisce, l’investitore che li ha sottoscritti, risponda della solvenza del debitore. Quindi in sostanza la S.r.l. può emettere un prestito obbligazionari, può emettere un titolo di debito, può offrirli ad una banca o ad un altro intermediario finanziario che, una volta sottoscritti, può collocarli sul mercato però in questo caso garantendo la solvenza del debitore, quindi alla scadenza l’investitore va dalla S.r.l. per il rimborso e può essere rimborsato da questa oppure andare dalla banca o dall’intermediario finanziario.
Meccanismo bellissimo, creditore e risparmiatore assolutamente blindato, investimento sicuro peccato che per le S.r.l. sia costosissimo, per questo credo non abbia mai trovato applicazione.
Effettuare un’operazione di questo tipo ha dei costi tali che probabilmente costa molto meno chiedere un semplice finanziamento alla banca, perché emettere dei titoli che vengano assorbiti da una banca che poi li immette sul mercato obbligandosi in caso di insolvenza a rimborsare i titoli sia così costoso da rendere più semplice chiedere un “finanziamento normale”.
Molti statuti, una percentuale molto elevata, prevedono la possibilità di emissione dei titoli di debito, mettere in statuto questa possibilità non costa nulla, i titoli di debito possono essere emessi solo se c’è una previsione dello statuto. Quindi abbiamo statuti che prevedono questa possibilità, statuti che disciplinano questi titoli, per esempio occorre stabilire se l’emissione sia di competenza dell’assemblea, degli amministratori, stabilire quali sono i diritti che danno questi titoli, le modalità di circolazione, però tutto questo è una bella norma dell’atto costitutivo delle S.r.l. che finora pare sia rimasto solo sulla carta.
Passiamo ora alle operazioni straordinarie, parlandone con un occhio di riguardo alle S.r.l., anche se in realtà si tratta di un discorso molto più generale, anche perché le norme che riguardano queste operazioni sono norme di valenza generale, che riguardano tutti i tipi di società.
Prima di trattare le tre operazioni, soffermiamoci su alcune cose di carattere generale.
Prima osservazione, la posizione dei legislatori nazionali è molto diversa, passando da trasformazione da un lato e fusione e scissione dall’altro. E’ molto diversa perché fusione e scissione sono state oggetto di interventi da parte del legislatore comunitario, quindi esistono regole comunitarie ben precise, con possibilità di scostamenti, la trasformazione è invece un’operazione sostanzialmente non disciplinata dal legislatore comunitario. Quindi con riferimento alla trasformazione c’è una possibilità di manovra maggiore per il legislatore nazionale. Possibilità di manovra che il legislatore italiano ha ampiamente utilizzato. Se confrontiamo trasformazione, fusione e scissione notiamo come siano operazioni strutturalmente diverse, nel senso che la trasformazione è un’operazione che fa capo esclusivamente all’assemblea, si concentra in una deliberazione dell’assemblea, mentre fusione e scissione sono operazioni molto più complesse che si snodano attraverso un iter, un intervento dell’organo amministrativo che redige il progetto, un intervento dell’assemblea che approva il progetto e infine un intervento del legale rappresentante della società attraverso quell’atto formale che è l’atto di fusione o di scissione con cui si convalida l’operazione. Quindi formalmente queste tre operazioni hanno una struttura profondamente diversa, almeno trasformazione da un lato e fusione e scissione dall’altro; fusione e scissione si assomigliano abbastanza, almeno dal punto di vista della struttura.
Tuttavia, anche se la struttura è profondamente diversa, il legislatore italiano della riforma ha preso a prestito norme in tema di fusione e scissione e le ha estese alla trasformazione. Quindi oggi abbiamo alcune regole comuni ai tre modelli, in particolare vorrei ricordare due regole particolarmente importanti e delicate.
Una prima regola riguarda la deliberazione dei soci che abbia per oggetto una trasformazione o la deliberazione dei soci che abbia per oggetto fusione o scissione. L’intervento dei soci, naturalmente, è costruito in modo diverso a seconda del tipo di società, se parliamo di società di capitali si tratta dell’assemblea straordinaria, queste sono tutte modifiche dell’atto costitutivo, o dell’assemblea con maggioranza qualificata delle S.r.l., se parliamo di società di persone, trattandosi di modifiche all’atto costitutivo, dovrebbe valere la regola dell’unanimità. In materia di società di persone la modifica dell’atto costitutivo è votata all’unanimità, poi il contratto sociale può prevedere la regola della maggioranza ma se non vi è questa precisazione vale la regola dell’unanimità, questo perché in una società di persone dove rileva la persona del socio, la volontà del singolo socio, sicuramente trasformazione, fusione, scissione, incidono notevolmente sulla posizione del singolo socio, e quindi ogni modificazione dell’atto costitutivo dovrebbero essere assunte all’unanimità. Questa era la soluzione che era prevista nel sistema abrogato, oggi il legislatore ha adottato una regola diversa, che lascia abbastanza perplessi. Quindi, oggi il legislatore, con una norma parallela in tema di trasformazione, fusione, scissione operata da una società di persone, prevede la decisione a maggioranza. Quindi oggi, una società di persone può trasformarsi, può fondersi con un’altra, può scindersi, previa una deliberazione dei soci a maggioranza. In questo modo si capovolge, per le operazioni straordinarie, il principio generale dell’unanimità dei consensi per le modificazioni dell’atto costitutivo. Perché il legislatore ha adottato questa scelta? Forse per cercare di facilitare queste operazioni consentendo alla maggioranza di decidere anche contro una minoranza dissenziente, ma sembra una scelta pericolosa: non è facile pensare che in una società di persone la maggioranza possa imporre alla minoranza una scelta così significativa come trasformazione, fusione o scissione, parliamo sempre di società di persone, società con soci illimitatamente responsabili. Il legislatore lascia due vie d’uscita:
- una è la diversa volontà del contratto sociale: sarebbe opportuno, quando si costruisce il contratto sociale di una società di persone, prevedere la regola dell’unanimità proprio per garantire ciascun socio;
- l’altro strumento di tutela è il recesso: laddove queste operazioni siano adottate, in società di persone, con decisione a maggioranza i soci non consenzienti hanno diritto al recesso.
Il recesso è sicuramente uno strumento di tutela che ha però dei grossi costi sia per la società che deve rimborsare la quota di liquidazione, sia per il socio che deve far fagotto ed andarsene.
Un secondo principio, con una norma parallela, riguarda la patologia, riguarda la reazione ai vizi della relativa deliberazione. Si tratta di una scelta che il legislatore comunitario ha imposto per fusione e scissione, entro certi limiti. Una scelta che il legislatore ha colto in pieno e che poi, con una prospettiva che può lasciare perplessi, in sede di riforma ha esteso alla trasformazione.
Abbiamo una regola comunitaria che consentiva dei margini di discrezionalità al legislatore nazionale per fusione, scissione; questa regola è stata adottata in pieno per fusione e scissione; con la riforma è stata estesa alla trasformazione.
La regola può essere sintetizzata con questa formula: una volta verificatosi l’effetto, una volta che l’operazione di fusione, scissione, trasformazione ha realizzato i suoi effetti e quindi la società si sia trasformata, fusa o scissa, questi effetti sono intangibili, questi effetti non possono più essere cancellati. Abbiamo, quindi, una vicenda abbastanza particolare: quando si verifica un certo effetto, di trasformazione, fusione o scissione, quell’effetto non è più eliminabile nonostante che la deliberazione di fusione, trasformazione, scissione presenti dei vizi.
Ricordando il discorso della patologia dei vizi delle deliberazioni assembleari: le deliberazioni assembleari possono essere annullabili, nulle, se hanno certi vizi annullabili con un’impugnativa nei 90 giorni, possono essere nulle in presenza di vizi più gravi con un’azione nel limite dei 2 anni, possono essere nulle in presenza di vizi gravissimi con una azione senza limiti di tempo. L’azione di annullamento o l’azione di nullità portano alla cancellazione della deliberazione. La deliberazione di trasformazione, fusione, scissione non è cancellabile, quindi nei confronti della deliberazione, una volta che l’effetto si sia verificato gli eventuali vizi anche vizi molto gravi non possono mai portare alla cancellazione di questa deliberazione e quindi non possono mai portare alla nullità o annullabilità della deliberazione. Vuol dire che operativamente, intervenuta una trasformazione ed iscritta nel registro delle imprese, intervenuta una fusione o scissione ed iscritto nel registro delle imprese l’atto di fusione o di scissione, che rappresenta l’atto finale in cui si producono gli effetti, quelle operazioni sono valide. Perché questa scelta? Qui giocano due profili entrambi interessanti, uno di portata più limitata e l’altro di portata più generale.
Il profilo di portata più limitata è riferito proprio alle operazioni straordinarie e sicuramente ha una particolare valenza in tema di fusione e scissione, tant’è che il legislatore comunitario lo prevede appositamente per la fusione e scissione poi il legislatore italiano, con una scelta un po’ discutibile, lo estende alla trasformazione dove questa esigenza si avverte forse meno. L’esigenza è questa: una volta intervenuto l’effetto, questo è evidentissimo nella fusione e scissione, quindi due società di sono fuse o scisse non si può più tornare indietro. Se fosse possibile dichiarare l’invalidità dell’operazione, se fosse possibile annullare o dichiarare nulla la deliberazione si dovrebbe, cancellando l’operazione, poter tornare indietro. Com’è possibile, quando le società sono diventate un tutt’uno, magari con una sentenza intervenuta ad anni di distanza ritornare indietro, spaccare le due società o com’è possibile quando le due società si sono scisse, hanno avuto una loro vita, ritornare ad una sola? Per la trasformazione, il discorso è meno evidente, comunque il legislatore comunitario, per fusione e scissione, e quello italiano, per tutte le operazioni, ha inteso tutelare questa esigenza, per così dire, di non ritorno indietro, di non possibilità di tornare alla situazione anteriore all’effetto di trasformazione, fusione, scissione, cancellando la deliberazione. Quindi ha dichiarato che l’invalidità, una volta intervenuto quest’effetto, non può più essere fatta valere. A questo punto, naturalmente, si pone una domanda, addirittura un dubbio di costituzionalità. Di fronte ad una situazione patologica, di fronte a dei vizi, quindi ad una deliberazione con dei vizi magari dei gravi vizi è possibile che non ci sia nessuno strumento di tutela, l’invalidità non può più essere fatta valere ma qualche strumento di tutela ci sarà altrimenti potrebbe essere preso in considerazione l’art. 24 della Costituzione che garantisce la tutela dei diritti, quindi la possibilità di avere degli strumenti di tutela. Quindi pensate, per fare un caso concreto che è anche uno dei casi più significativi, all’ipotesi di una fusione tra due società che ne costituiscono un’altra oppure al caso molto più frequente in cui una incorpora l’altra, è chiaro che, nel caso della società incorporata, i soci dell’incorporata vedranno cancellate le loro azioni e otterranno azioni dell’incorporante e otterranno queste azioni in base ad un rapporto di cambio che è costruito sulla base del rapporto i rispettivi patrimonio. Quindi immaginate che in base al corretto bilanciamento dei rispettivi patrimoni si possa immaginare che i soci dell’incorporata avrebbero correttamente diritto ad avere per ogni loro azione, supponiamo, 3 azioni dell’incorporante. Ne hanno avute solo due, cosa possono fare? Qui abbiamo sicuramente un vizio, un vizio che consiste nella non corretta determinazione del rapporto di cambio ed è un vizio di annullabilità della deliberazione, quindi, se non esistesse questa norma che rende intoccabile, incancellabile l’operazione di fusione i soci dell’incorporata che si sentono pregiudicati potrebbero impugnare la deliberazione, e attraverso l’azione di annullamento cancellare l’operazione. Una volta intervenuta la fusione non possono più farlo, non hanno nessuna tutela? Sì, hanno una tutela diversa, non possono chiedere che venga invalidata, cancellata la deliberazione di fusione, ma possono chiedere alla società incorporante, possono chiedere agli amministratori il risarcimento dei danni. Quindi, invece, che utilizzare l’azione invalidante o l’azione di annullamento che cancella una deliberazione, possono utilizzare l’azione risarcitoria e quindi chiedere il risarcimento dei danni. Qui si inserisce tutto un filone di pensiero, diffuso negli Stati Uniti, in Europa, percepito dal legislatore comunitario e quindi dal legislatore nazionale che anche in una prospettiva di analisi economica del diritto, pone a confronto sotto il profilo dell’efficacia la tutela invalidante e la tutela risarcitoria. Se ci pensate un attimo, in certi casi, è questo è proprio un esempio macroscopico, la tutela invalidante, quindi cancellare un’operazione, è una tutela da un lato potrebbe non essere neppure lontanamente perseguibile perché oramai l’operazione si è verificata ed è passato del tempo, non si può più tornare indietro, ma potrebbe anche essere una tutela che ha delle conseguenze gravissime ed eccessive rispetto all’interesse del problema. In un caso come questo, l’interesse fatto valere da alcuni soci, che si sentono lesi dal rapporto di cambio, può essere raggiunto e tutelato attraverso un semplice risarcimento del danno che consente al socio di ottenere quell’azione in più senza scompaginare la vita della società e cancellare l’intera operazione. Questa è una delle tendenze di fondo della legislazione in materia societaria, una delle tendenze di fondo della riforma ma che ha diffuso la tendenza di fondo di sostituire all’azione invalidante, di nullità, di annullamento, con un’azione di risarcimento. Qui ci troviamo di fronte a tre regole parallele, che usano le stesse parole, in cui si dice “intervenuto l’effetto di trasformazione, fusione, scissione, l’invalidità non può più essere fatta valere, quindi i soci, i terzi non possono più chiedere che venga dichiarata nulla o annullabile una deliberazione ma i soci e i terzi che siano stati pregiudicati da operazioni di trasformazione, fusione, scissione viziate, non conformi, possono far valere il conseguente danno quindi chiedere di essere risarciti dalla società e dagli amministratori”.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Andrea Balla
[Visita la sua tesi: "Analisi delle principali tecnologie applicate al settore automotive"]
[Visita la sua tesi: "I Diritti Particolari del Socio nella Nuova S.R.L."]
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Economia
- Esame: Diritto commerciale II
- Docente: Prof. Vicini
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