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Le plusvalenze patrimoniali


Ai sensi dell’art. 86 le plusvalenze patrimoniali concorrono a formare il reddito:
- Se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso;
- Se sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni;
- Se i beni vengono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Si può dunque includere nell’ambito segnato dall’art. 86 (come in quello delineato dall’art. 85) qualsiasi evento che determina l’uscita di un bene dalla cerchia dei “beni relativi all’impresa”, ad eccezione della perdita non seguita da risarcimento e dalla cessione sprovvista di corrispettivo.
Il fattore che distingue la fattispecie contemplata dalla normativa sui ricavi da quella contemplata dalla normativa sulle plusvalenze patrimoniali è la categoria di beni interessata. Nella prima essa è identificata in positivo, ed è quella di quei beni relativi all’impresa che sono qualificati come beni-merce. Nella seconda essa è identificata in negativo, con metodo residuale, in quanto ricomprende tutti i beni relativi all’impresa (strumentali e non) diversi dai beni-merce.
Nelle due normative divergono altresì i criteri di calcolo dei componenti di reddito rispettivamente considerati. La plusvalenza patrimoniale non coincide come il ricavo con il valore della contropartita patrimoniale (in denaro o in natura) conseguita, o con il valore normale del bene estromesso dalla sfera aziendale. Essa è formata dalla differenza tra il valore normale del bene estromesso e il valore (necessariamente inferiore, altrimenti si configura una minusvalenza e non una plusvalenza, patrimoniale) fiscalmente riconosciuto del bene.
Nella redazione del registro cespiti ammortizzabili i beni diversi da quelli iscritti in pubblici registri possono essere raggruppati in guisa da formare delle “categorie omogenee” per anni di acquisizione e per coefficiente di ammortamento. Questa possibilità non cancella la rilevanza del valore dei singoli beni ai fini della quantificazione dei componenti reddituali che si ricollegano alla loro cessione, dismissione o perdita. È comunque necessario adottare un qualche sistema che consenta di reperire per ciascuno dei beni strumentali in questione almeno due dati fondamentali, e cioè l’anno e il costo di acquisizione.
Una disciplina particolare è in proposito dettata per il caso di permuta di un bene (idoneo a generare plusvalenze) con uno o più beni (materiali e/o immateriali) ammortizzabili. Se si trattano di una pluralità di beni è possibile che compongano un’azienda o un complesso aziendale. Se il corrispettivo della cessione è costituito da un bene (o un insieme di beni) ammortizzabile, e questo viene iscritto in bilancio allo stesso valore al quale era iscritto il bene ceduto, si considera plusvalenza  soltanto l’eventuale conguaglio in denaro pattuito a favore del cedente. Questa previsione conferisce all’imprenditore il potere, attraverso l’iscrizione in bilancio del bene ricevuto in permuta al valore al quale era iscritto il bene dato in permuta, di traslare sul nuovo bene il valore fiscalmente riconosciuto del vecchio (l’eventuale conguaglio in denaro che partecipa alla formazione del reddito deve essere sommato), e così di differire il momento in cui la plusvalenza realizzata (pari alla differenza tra il valore normale del bene ricevuto e quello fiscalmente riconosciuto del bene ceduto) concorre a formare il reddito. Naturalmente l’esercizio di questo potere può, in concreto, essere paralizzato da regole contabili, laddove queste non consentissero di iscrivere il bene ricevuto in continuità di valori. Per i pci (IAS 16) questa continuità è ammessa soltanto se la permuta non ha sostanza commerciale, in quanto non è idonea a modificare in modo significativo i flussi finanziari.
Ad una finalità interna al diritto tributario, di attenuazione del prelievo gravante su plusvalori presumibilmente formatisi lungo un arco di tempo pluriennale, risponde invece la speciale regolamentazione dettata dall’art. 86 c. 4 in ordine alla partecipazione alla formazione del reddito delle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso, o mediante il risarcimento per la perdita o il danneggiamento, di beni posseduti per un periodo non inferiore a 3 anni.
La rateizzazione non è ammessa per la quota imponibile di plusvalenze esenti di cui all’art. 87. L’art. 82 dispone l’applicazione del regime di rateizzazione di cui all’art. 86 c. 4 alle plusvalenze realizzate in occasione di cessioni obbligatorie di partecipazioni sociali, consentendo l’applicazione del predetto regime anche in difetto della richiesta minima di possesso del bene trasferito. Nelle società che adottano i pci, occorre chiedersi se il triennio parta dall’acquisto della proprietà o dall’eventuale diverso momento in cui, con l’assunzione dei connessi rischi e benefici,  il bene viene inscritto in bilancio. Il riferimento al periodo di possesso avalla la prima soluzione, pur implicando una differenziazione tra forme di acquisizione della titolarità del bene.
Queste plusvalenze concorrono a formare il reddito (come tutte le altre) per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate, oppure(e qui risiede la particolarità) a scelta del contribuente in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. All’imprenditore viene così conferito il potere di scegliere tra un regime comune e un regime speciale, e in caso di opzione di quest’ultimo di scegliere tra il frazionamento delle plusvalenze di cui trattasi in due, in tre, in quattro o in cinque parti uguali. Questa rateizzazione è l’unica ammessa, a fronte del generale obbligo di includere le plusvalenze nell’imponibile relativo al loro realizzo. Non si può pertanto trasferire nel calcolo del reddito d’impresa la rateizzazione delle plusvalenze realizzate nell’ambito delle operazioni si sale e lease back, prevista dall’art. 2425 bis, al fine di consentire la loro contrapposizione, lungo il periodo di durata del contratto, ai canoni dovuti. Questa conclusione non è valida per le società che adottano i pci.
La scelta di rateizzare deve essere effettuata in sede di computo del reddito d’impresa relativo al periodo d’imposta in cui è avvenuto l’evento al quale il realizzo si collega, apportando al risultato netto del conto economico una variazione in diminuzione di importo pari alla quota della plusvalenza postergata. La normativa tributario non richiede infatti che lo storno della quota della plusvalenza postergata avvenga già nel conto economico mediante l’accensione nello stato patrimoniale di un’apposita riserva.  La normativa consente di escludere temporaneamente o definitivamente dalla tassazione un determinato componente positivo di reddito e ciò può avvenire in sede di dichiarazione dei redditi, tramite il sistema delle variazioni in diminuzione. Se si opta per la rateizzazione, nel calcolo del reddito d’impresa dei periodi d’imposta successivi a quello del realizzo occorre inserire, mediante variazione in aumento al risultato del conto economico, la porzione della plusvalenza di pertinenza di ciascuno.
Tra le situazioni alle quali la legge collega la rilevanza reddituale delle plusvalenze non figura più la loro iscrizione nello stato patrimoniale. Le plusvalenze iscritte (frequentemente riscontrabili nei bilanci redatti secondo i pci, in ragione della possibilità di adottare il metodo del valore corrente nella valorizzazione di determinate attività) sono dunque poste fiscalmente irrilevanti e l’utile che ne dovesse derivare è un normale utile non tassato, privo di vincoli di matrice fiscale. Tecnicamente non è un utile in sospensione d’imposta perché non origina una quota di patrimonio netto qualificabile come “in sospensione d’imposta”.
Le uniche plusvalenze patrimoniali iscritte rilevanti restano quelle che corrispondono alle minusvalenze patrimoniale iscritte rilevanti. Poiché le minusvalenze iscritte incidono sul reddito d’impresa solo se interessano obbligazioni o titoli similari, le plusvalenze iscritte su obbligazioni e titoli similari partecipano alla determinazione del reddito sino a concorrenza delle minusvalenze dedotte. Una deroga tocca le società che adottano i pci, nel calcolo dell’imponibile delle quali le plusvalenze e le minusvalenze (patrimoniali) iscritte con riferimento alle obbligazioni e ai titoli similari sono invece pienamente rilevanti, quando imputate a conto economico secondo una corretta applicazione di detti principi.

Tratto da MANUALE DI DIRITTO TRIBUTARIO di Andrea Balla
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