La politica economica dell'UE
La politica monetaria viene condotta in maniere centralizzata mediante la BCE, mentre la politica fiscale rimane decentrata presso i singoli paesi. Il Trattato sottolinea che gli stati membri “considerano le loro politiche economiche una questione di interesse comune e le coordinano nell'ambito del Consiglio”.
Infatti, come risposta ad eventuali rischi di spillovers negativi, dovuti a comportamenti fiscali inadeguati da parte di alcuni paesi, sono previste regole comuni che servono come linee guida. E' prevista cioè una sorta di flessibilità “vigilata”. Queste regole riguardano il divieto posto ad ogni paese di farsi carico degli obblighi di un altro paese, l'obbligo di evitare “deficit eccessivi” e l'impossibilità da parte della BCE e delle banche centrali nazionali di partecipare al finanziamento monetario dei disavanzi pubblici.
La politica di bilancio deve perseguire un duplice fine: adempiere all'assorbimento degli shock a livello nazionale e consentire la formazione di un saldo positivo di bilancio a livello europeo. Per la prima circostanza sembra opportuno lasciare ai bilanci un certo grado di flessibilità; invece nel secondo caso appare necessario un adeguato coordinamento delle politiche nazionali.
Il Trattato sottopone a queste politiche 2 gruppi di norme: il primo gruppo stabilisce alcune procedure di coordinamento volontario che mirano a raggiungere una politica di bilancio ottimale, coerente con gli obiettivi fissati dall'art 2 del Trattato. Il secondo, derivante dal Patto di stabilità e crescita, ha invece carattere obbligatorio e mira ad evitare errori rilevanti da parte dei singoli stati membri nel perseguimento dell'azione pubblica.
Inoltre, sono 4 i motivi che guidano l'esigenza di una finanza pubblica non deteriorata degli eccessivi deficit. Primo, si assiste ad una tendenza nella riduzione dei tassi di interesse con effetti positivi sugli investimenti e sulla crescita, non solo a livello europeo ma, in considerazione del peso dell'Unione, anche a livello mondiale. Secondo, la formazione in prospettiva di risparmio pubblico contribuisce ad affrontare i problemi connessi all'andamento demografico ed alle implicazioni che l'invecchiamento genera sul sistema di welfare.
Terzo, la diminuzione del debito e della conseguente spesa per interessi può favorire la ricomposizione qualitativa del bilancio in direzione di quelle spese che incidono direttamente sul reddito e sull'occupazione.
Infine, di fronte ad uno shock asimmetrico, l'indisponibilità del vecchio strumento del tasso di cambio implica l'utilizzo della politica fiscale ai fini del perseguimento di politiche di stabilizzazione.
La strategia di politica monetaria si articola in una definizione quantitativa di stabilità dei prezzi e in un quadro di riferimento basato su 2 pilastri (politica monetaria della BCE e politiche fiscali decentrate negli Stati membri). Per quanto riguarda l'obiettivo finale si fa ricorso ad una definizione pubblica secondo cui “la stabilità dei prezzi verrà definita come un aumento sui 12 mesi dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo per l'area euro inferiore al 2%”.
Le decisioni della BCE traggono origine dall'analisi e dal controllo dei 2 pilastri della strategia di politica monetaria, vale a dire dalla verifica della componente economica e di quella monetaria.
La prima componente ha il compito di seguire nel tempo l'andamento di alcune variabili ritenute fondamentali ai fini della determinazione della stabilità dei prezzi.
Per quanto concerne la componente monetaria, la BCE ha scelto un approccio composito come guida della sua azione, affiancando all'obiettivo in termini di un aggregato monetario, la previsione del tasso futuro di inflazione.
In conclusione, la strategia di politica monetaria dell'eurosistema, orientata alla stabilità dei prezzi, assegna un ruolo di primo piano alla moneta, sulla base della considerazione che nel medio e lungo termine l'inflazione è essenzialmente un fenomeno di natura monetaria.
Tre criteri e diverse verifiche empiriche permettono di comprendere perchè la stabilità dei prezzi sia ritenuta l'obiettivo prioritario della politica monetaria Il primo criterio riguarda il prezzo della moneta e il significato della sua stabilizzazione; il secondo riflette l'affermazione che i vantaggi che si possono ottenere con l'inflazione sono effimeri perchè transitori, e non compensano i costi (che invece si rivelano permanenti); il terzo comporta l'efficacia e l'efficienza dell'assegnazione di un obiettivo.
I governi e le autorità monetarie dell'Europa tengono conto dell'esperienza storica e facendo anche ricorso a quella tedesca ritengono che la stabilità dei prezzi sia la condizione necessaria e sufficiente affinchè si realizzi nel tempo una crescita del reddito e dell'occupazione.
La stabilità dei prezzi, migliorando la trasparenza del meccanismo dei prezzi relativi, rende più facili le scelte dei consumatori e dei produttori. Contribuisce così ad assicurare che il mercato effettui in maniera efficiente l'allocazione delle risorse reali, sia tra i diversi utilizzi che nel tempo.
A sua volta, un'allocazione più efficiente delle risorse aumenta il potenziale produttivo dell'economia. In tal senso la stabilità dei prezzi crea le condizioni migliori per garantire l'efficacia delle riforme strutturali attuate dai governi nazionali per aumentare la flessibilità e l'efficienza dei mercati.
L'Unione monetaria si configura dunque come la più importante manifestazione del processo di integrazione europea e forse come l'avvenimento più significativo verificatosi negli ultimi 50 anni sotto il profilo politico ed economico.
Il progetto UME si può considerare la migliore risposta dell'Europa al crollo del sistema di Bretton Woods.
Il principio della stabilità sembra essere il filo conduttore che accompagna tali benefici. Una politica monetaria unica, attenda a valutare le esigenze comuni dei paesi membri, favorisce la stabilizzazione delle principali grandezze economiche. D'altro canto, politiche di bilancio sottoposte al vincolo del patto di stabilità possono contribuire a ridurre i tassi di interesse e per questa via favorire gli investimenti e la crescita economica.
Intorno all'asse della stabilità si muovono altri 2 gruppi di benefici. Il primo comprende l'eliminazione dei costi di transazione che implica una maggiore trasparenza dei prezzi
Il secondo gruppo analizza gli effetti derivanti dalla cessazione della fluttuazione dei tassi di cambio. Si elimina il premio per il rischio tra le valute e si attenua il bisogno di mantenere ingenti quantità di riserve internazionali per transazioni estere.
La moneta unica, inoltre, consente di realizzare un mercato monetario ampio, integrato e stabile, tale da incentivare l'emissione di obbligazioni sia pubbliche che private.
Esistono tuttavia opinioni critiche:
- la critica più ovvia è che la rimozione dello strumento tasso di cambio comporta una perdita di autonomia nella conduzione della politica economica del paese;
- la critica più aspra riguarda la scarsa presenza nell'UME dei requisiti essenziali per dar vita ad un'area valutaria ottimale, vale a dire la mobilità fattoriale, la condivisione dei rischi e l'integrazione economica. Ove sussistano questi fattori, risulta possibile facilitare il processo di aggiustamento in caso di squilibrio asimmetrico, senza dover far ricorso allo strumento del tasso di cambio.
Non bisogna però dimenticare che l'euro non solo ha ridotto gli spazi della speculazione nel contesto monetario internazionale, ma ha anche eliminato l'andamento oscillante delle singole monete europee nei confronti del dollaro, che continuava ad alimentare la stessa speculazione destabilizzante.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Alessandro Remigio
[Visita la sua tesi: "L'offerta fuori sede di strumenti finanziari"]
[Visita la sua tesi: "Valore delle merci e diritti di licenza"]
- Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara
- Facoltà: Economia
- Docente: Prof. Giuseppe Mauro
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