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Il trattato di Maastricht


Le due Conferenze Intergovernative, tenutesi a Roma nel dicembre 1990, danno luogo al Trattato di Maastricht il quale, siglato nel febbraio 1992, costituisce l'unica revisione del trattato di Roma al quale sia stato riconosciuto uno status costituzionale. Si avvia cosi quel processo di riforma politica e monetaria indispensabile per poter concretamente realizzare l'unione monetaria secondo quanto previsto dal rapporto Delors del 1989.
Il passaggio all'UME deve avvenire secondo tre tappe, di cui la prima fase, con scadenza 1993, comporta il rafforzamento dello SME sia attraverso l'introduzione delle restanti valute comunitarie all'interno del sistema, sia per quanto riguarda il ruolo del Comitato dei Governatori e il più stringente coordinamento a livello comunitario delle politiche economiche nazionali.
La secondo fase parte il 1° gennaio 1994. L'obiettivo che si vuole perseguire è il raggiungimento della convergenza in termini economici che si ritiene propedeutica al completamento dell'UME.
Il comitato composto dai Governatori delle banche centrali viene sostituito dall'Istituto Monetario Europeo (IME), che presenta obiettivi riguardanti il rafforzamento del processo di coesioni in campo monetario, il monitoraggio dello SME e la preparazione tecnica per il passaggio alla terza fase.
L'IME svolge di concerto con la Commissione Europea, un approfondito lavoro di analisi, valutazione e rendiconto dei progressi compiuti in campo macroeconomico e nella convergenza politico-istituzionale, a proposito della indipendenza delle banche centrali e dalla loro integrazione nell'ambito del SEBC.
Il trattato di Maastricht determina i requisiti che i vari paesi devono possedere per essere ammessi al terzo stadio dell'UME. (elevato grado di stabilità dei prezzi, convergenza dei tassi di interesse, sostenibilità della finanza pubblica)
Questo ultimo prevede la irrevocabile fissazione dei tassi di cambio, seguita dalla “rapida introduzione” della moneta unica, che andrà a prendere il posto delle differenti valute nazionali.
Con riferimento al primo requisito, nel 1987 i paesi che soddisfano tale criterio sono la Germania, Lussemburgo e Olanda. Nel 1991 essi salgono a 8 e nel 1995 aumentano fino ad 11.
L'Italia presenta una forte differenziazione con la Germania e gli altri paesi in termini di indice armonizzato dei prezzi al consumo al netto dei beni alimentari ed energetici e quindi deve compiere uno sforzo per rientrare nei parametri di Maastricht.
Il secondo requisito che riflette la convergenza dei tassi di interesse, comporta un valore medio, nel gennaio 1998, pari al 5.9%. I differenziali tra i tassi di interesse a breve termine dei paesi partecipanti si sono rapidamente ridotti, a testimonianza del rapido adattamento al nuovo scenario da parte delle autorità monetarie. Questo sviluppo favorevole del mercato dei titoli obbligazionari nell'area, è un riflesso del più o meno continuo declino dei tassi di inflazione a più lungo termine.
Il terzo requisito ha per oggetto la sostenibilità della finanza pubblica. Si stabilisce che il disavanzo pubblico reale o programmato non deve essere più elevato del 3% del PIL, mentre il debito pubblico consolidato non può superare il 60% dello stesso PIL.
Il criterio del debito pubblico in % del PIL, nel 1987 e nel 1991, viene soddisfatto soltanto da 8 paesi su 15, numero che diminuisce ulteriormente a 4 nel 1995. I progressi realizzati appaiono di notevole portata e lo sforzo di contenimento dei disavanzi sono abbastanza incisivi dai primi anni novanta, per diventare ancora più intensi in vista della partecipazione della moneta unica. Per l'Italia, il riequilibrio si basa sull'aumento della pressione fiscale.
Il mantenimento di una disciplina in materia di bilancio comporta effetti positivi di assoluta importanza che possono essere cosi sintetizzati:
- primo, i tassi di interesse tendono a ridursi e quindi favoriscono la creazione di una sorta di effetto di “crowding in” per quanto riguarda gli investimenti privati. Ciò consente di innalzare la disponibilità di capitali e di spostare l'economia verso un sentiero di crescita più elevato.
- secondo, i più bassi livelli di indebitamento fanno aumentare la capacità dei paesi di cautelarsi rispetto ad eventi futuri, incerti ed avversi;
- terzo, la riduzione del peso sul debito ha come conseguenza la ristrutturazione della spesa governativa, nel senso che una frazione più elevata di denaro pubblico può essere destinata a comparti prioritari quali l'educazione e gli investimenti per infrastrutture.
Nella sostanza, l'inclusione del criterio del deficit nel Trattato appare necessario per l'indipendenza funzionale per la banca centrale la quale in sua assenza non potrebbe controllare il livello dei prezzi. Il criterio sul controllo dell'indebitamento pubblico costituisce dunque l'elemento centrale della costituzione dell'UME.
L'UME entra nel 3° stadio il 1° gennaio 1999, data in cui vengono fissati in maniera immutabile i tassi di conversione fra le monete dei paesi che fanno parte dell'unione e l'euro. L'euro cosi sostituisce ufficialmente l'ECU nel rispetto del Trattato di Maastricht. Il sistema dei cambi che deriva dall'ultima fase dell'UME, si fonda dunque su rapporti irrevocabili di conversione.
Con l'introduzione dell'euro e il conseguente controllo dei tassi di interesse a breve, la politica monetaria passo sotto il controllo della BCE. La BCE, unitamente alle BCN, si occuperà dell'evoluzione del mercato monetario.  Le condizioni stabilite a Maastricht rappresentano dunque il presupposto fondamentale per la creazione della moneta unica, nella consapevolezza che una moneta europea stabile può fornire un contributo determinate allo sviluppo delle economie europee no
Vi è inoltre l'esigenza di innalzare il grado di competitività dell'Europa nell'economia globale e conseguentemente di ridurre il gap nei confronti degli USA. Tale discorso vale soprattutto per l'Italia che ha progressivamente abbandonato le esportazioni di beni di investimento e ad alto contenuto tecnologico.
Di fronte alla felice combinazione esistente nelle altre aree economiche, soprattutto negli Stati Uniti, l'Europa non poteva restare ferma e divisa, con progressiva perdita di competitività, con continui processi svalutativi e rivalutativi, stagnazione nei livelli occupazionali, difficoltà a penetrare e quindi competere nei mercati internazionali.
Se l'Unione Monetaria permette all'Europa di governare autonomamente la propria domanda interna come fanno da sempre gli Stati Uniti, anche l'integrazione economica a livello continentale potrà procedere verso la sua conclusione a velocità più rapida di quella permessa finora dalle condizioni pessime del mercato del lavoro.
Questa dimensione conduce ad una minore sensibilità verso le fluttuazioni dei tassi di cambio, riducendo la vulnerabilità nei confronti delle valute dei paesi terzi o degli shock esterni all'UE dando maggiore fiducia ai comportamenti dei consumatori ed all'attività degli investitori. La conclusione è che l'euro tende a diventare la seconda valuta chiave del mondo e a trasformare il sistema monetario internazionale in un regime monetario bipolare; per valutare una valuta a livello di status internazionale si guarda alla dimensione sottostante e al suo commercio globale, alla forte stabilità del sistema, alla sua posizione esterna e all'attrazione dei suoi mercati di capitale.
I parametri di Maastricht hanno lo scopo di rassicurare i mercati e l'obiettivo di offrire garanzie di stabilità. Tale impostazione incontra le critiche di Tobin e Friedman. Friedman ritiene che gli USA hanno una moneta unica perchè non hanno rigidità intere, la gente si sposta, i capitali si spostano ancora di più, non ci sono rigidità nei prezzi, c'è la stessa lingua, più o meno la stessa mentalità, la stessa legge, e il governo federale pesa complessivamente il doppio di tutti i governi statali. In Europa è l'esatto opposto, vincoli, rigidità sui prezzi, salari e lavoro, lingue diverse, e un governo centrale di Bruxelles che conta poco rispetto ai governi nazionali.
Il costo più significativo sembra essere quello relativo alla difficoltà del paese di contenere salari e costi entro gli stretti limiti antinflazionistici stabiliti dalla politica monetaria della Banca centrale europea. Inoltre uno shock di qualsiasi natura richiede una politica di stabilizzazione rispetto a quella posta in essere dalla BCE. Tuttavia tali shock saranno più contenuti nell'UME rispetto al passato, sia perchè la Banca centrale europea avrà una visione complessiva dell'intera struttura della politica monetaria, e sia perchè se i paesi continueranno il loro processo di integrazione sino a diventare una completa area valutaria ottimale, gli effetti degli shock che prima influenzavano i paesi dell'UE, saranno diffusi tra i vari paesi attraverso flussi commerciali e attraverso il movimento del mercato del lavoro.
Se è vero che l'Europa gode di una posizione favorevole dovuta alla stabilità dei prezzi, è vero anche che deve affrontare sfide come quella dell'elevata disoccupazione. Il mercato del lavoro è uno degli ultimi mercati integrati in Europa e la sua mobilità è rimasta bassa soprattutto a causa di barriere culturali e linguistiche.
L'andamento della disoccupazione mostra che il problema è tipicamente strutturale ed è possibile individuare 2 scuole di pensiero. La prima ritiene che la disoccupazione europea sia causata da una eccessiva ridigità del mercato del lavoro. Inoltre, il peso eccessivo del sistema di protezione sociale funziona come disincentivo al lavoro e non permette di liberare risorse da destinare agli investimenti. Quindi, tale disoccupazione è originata da carenza di flessibilità ed ampliata dal funzionamento perverso del welfare.
L'altra scuola di pensiero manifesta l'esigenza che i governi attivino delle politiche capaci di espandere la domanda aggregata (in particolare la componente degli investimenti), tenuto conto che le politiche monetarie molto restrittive dell'ultimo decennio costituiscono la causa principale della disoccupazione europea.
Il risanamento delle finanze pubbliche modifica quella percezione di incertezza esistente nei paesi fortemente indebitati, che ha rallentato le decisioni di investimenti e di consumo. Tutto questo significa che l'euro crea una nuova trasparenza del sistema dei prezzi, stimola le politiche strutturali e contribuisce a creare occupazione aggiuntiva in un contesto economico ed in uno scenario istituzionale oggettivamente diversi rispetto al passato.

Tratto da POLITICA ECONOMICA di Alessandro Remigio
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