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Commisurazione della pena


La commisurazione della pena è quell’operazione processuale che porta il giudice a individuare in concreto la pena, partendo dalla comminatoria edittale astratta prevista per la fattispecie.
La commisurazione in senso stretto prevede una preliminare scelta tra irrogazione di pena detentivo o pecuniaria, ovviamente solo nei casi in cui tale scelta è possibile, e poi l’individuazione della pena all’interno della cornice edittale.
La commisurazione in senso ampio consiste nella individuazione della pena entro i limiti edittali per poi modificarla in virtù di elementi accidentali come le circostanze.
La commisurazione della pena è un’operazione discrezionale del giudice, nel senso che la disciplina normativa a cui comunque il giudice deve attenersi non è così rigida da costringerlo a operazioni esclusivamente vincolate.
La discrezionalità della commisurazione è voluta dal legislatore per far si che le pene concrete siano adeguate ai casi concreti cui sono applicate.

Il legislatore non può prevedere tutte le variabili concrete che possono assumere le fattispecie astratte ed è quindi necessario che sia il giudice a individuare gli elementi significativi che possono influire sul quantum della pena caso per caso.
Al giudice spetta quindi l’individuazione e la valutazione degli elementi significativi.
La disciplina legislativa della discrezionalità della commisurazione in senso stretto si ha all’art. 133 c.p. che definisce gli elementi significativi e i loro indici fattuali che ne sono concreta espressione, cioè i c.d. criteri di commisurazione:
- Gravità del reato, espressione del principio di proporzionalità.
Deve tener conto tanto degli elementi oggettivi del fatto quanto soggettivi, oltre al disvalore concreto.
E’ espressione dell’esigenza retributiva.
- Capacità a delinquere del reo, può riguardare sia il rapporto tra la personalità del reo e il reato commesso (appartenenza del reato al reo), sia la attitudine del reo a commettere crimini (rivolgendosi, stavolta, al futuro).
La capacità a delinquere è il risultato della compensazione di questi due aspetti.
E’ espressione dell’esigenza special-preventiva.
In conclusione si può dire che l’art. 133 c.p. fornisce dei criteri al giudice nell’esercizio del proprio potere discrezionale, oltre a individuare la commisurazione della pena come espressione di esigenze retributive e special-preventive, escludendo che la pena possa essere decisa in base ad esigenze intimidatorie rivolte a terzi secondo lo schema general-preventivo.
L’esigenza retributiva si ritiene imponga il limite massimo della pena, mentre quella special-preventiva sia il parametro per l’individuazione finale.

Nella commisurazione in senso ampio la discrezionalità sta nel gestire gli eventuali margini edittali che si riscontrano applicando le circostanze alla pena base.
Per singole circostanze che prevedono a loro volta una cornice edittale il potere discrezionale è più semplificato in quanto il giudice dovrà tener conto del livello di intensità della sola circostanza di cui si tratta.
Nei concorsi tra circostanze eterogenee la discrezionalità, invece, raggiunge i suoi massimi livelli essendo concesso al giudice di effettuare la comparazione e stabilire la prevalenza di aggravanti o attenuanti senza criteri ben definiti.
Infine quando il giudice ha la facoltà di decidere per misure sanzionatorie diverse dalla detenzione è ovvio che sarà spinto da esigenze special-preventive e quindi terrà conto della capacità a delinquere e anche della gravità del reato seppur in ottica special-preventiva.

Tratto da DIRITTO PENALE: PRINCIPI E DISCIPLINA di Stefano Civitelli
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