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Il problema dei rapporti tra questioni di competenza e merito


Il problema dei rapporti tra questioni di competenza e merito deriva dal fatto che si può verificare, in concreto, l'ipotesi in cui la risoluzione della questione di competenza dipenda dall'accertamento di fatti o dalla qualificazione giuridica del rapporto rilevanti anche ai fini della decisione in merito.
La domanda che ci si pone, dinanzi a situazioni di questo tipo, è se gli accertamenti di fatto e le qualificazioni giuridiche effettuate ai fini della determinazione del giudice competente debbano valere anche ai fini del merito (e viceversa).
Il testo originario del codice non contemplava alcuna norma di carattere generale idonea a risolvere situazioni di questo tipo.
Dottrina e giurisprudenza, avevano però generalizzato il principio contenuto nell'art. 142 c.p.c. in base al quale le questioni di competenza si risolvono allo stato degli atti, senza apposita istruzione, sulla base di una cognizione superficiale che non pregiudica la decisione di merito: in forza di questo principio le pronunce sulla competenza non possono mai pregiudicare la decisione di merito della controversia.
Il principio enunciato nell'art. 142 c.p.c. è oggi contenuto nell'art. 383 c.p.c., così come modificato dalla novella del ’90.
Il legislatore ha inserito in una norma di carattere generale il principio in forza del quale è sempre da escludere che la pronuncia sulla competenza possa in alcun modo pregiudicare la decisione di merito.
Ciò accade sia ove la pronuncia sulla competenza sia avvenuta sulla base di una cognizione sommaria, sia ove la pronuncia sulla competenza sia avvenuta sulla base di una cognizione piena.
L'art. 383 c.p.c. contiene poi un secondo principio generale che concerne la qualità dell'istruzione tramite la quale il giudice deve conoscere dei fatti rilevanti ai fini della soluzione della questione di competenza.
Il contenuto del principio enunciato nella disposizioni anzidetta è chiarissimo: le questioni di competenza sono decise sulla base di un istruzione sommaria e non piena; cioè decisioni avvenute sulla base di strumenti di conoscenza acquisiti senza rispetto delle modalità previste dal secondo libro del codice di rito ed anche su istanza del giudice senza il pieno esplicarsi del diritto alla prova.
Ne segue la piena possibilità di utilizzazione di prove atipiche.
La previsione è coerente con il rilievo secondo cui le norme sulla competenza sono solo norme dirette ad individuare quale sia il giudice legittimato a pronunciarsi sulla singola controversia e non anche norme sul procedimento e sui possibili contenuti della tutela; una volta, pertanto, escluso che le decisioni sulla competenza siano vincolanti anche per il merito, diviene possibile fare dipendere la soluzione delle questioni di competenza da una cognizione sommaria e non piena.
Infine è da tenere presente un problema: il giudice può infatti decidere sulla questione di competenza in limine litis o può accantonarla per deciderla insieme col merito.
In quest'ultimo caso alcuni autori non ritengono possibile vincolare il giudice a non tenere conto ai fini della competenza, ma solo ai fini del merito, del risultato delle prove acquisite, forzandolo a dei giudizi logicamente discordanti; ferma restando la non vincolatività della decisione sulla competenza ai fini del merito.

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