Risoluzione del '92 sulla Bosnia: tra pulizia etnica e genocidio
Nella risoluzione del 92 sulla situazione in Bosnia, l’Assemblea Generale delle Nazioni unite ha parlato del perseguimento di una politica esecrabile di pulizia etnica che è una forma di genocidio. Mentre per genocidio si intende l’omicidio intenzionale di un gruppo in tutto o in parte, la pulizia etnica indica soltanto l’espulsione di un gruppo dal proprio territorio e la distruzione del suo modo di vivere tradizionale. Benchè la pulizia non sia genocidiaria nella sua intenzione ultima, può esserlo però spesso come mezzo così come nei suoi effetti.
L’argomentazione del Tribunale dell’Aia riguardo alla sentenza pronunciata contro i responsabili del massacro di Srebrenica rivela quanto sia labile il confine tra pulizia etnica e genocidio. Infatti se da una parte l’intenzione di attentare alla sicurezza dei musulmani è chiara, dall’altra però il carattere estremamente selettivo dell’eliminazione può indurre ad avanzare delle riserve sul fatto che si sia trattato di genocidio e a parlare piuttosto di grande massacro. Numerosi uomini si sono salvati non certo perché mancasse l’intenzione di ucciderli ma perché i soldati non sono riusciti a catturarli tutti.
La politica di pulizia etnica a volte si trasforma in vero e proprio genocidio a causa di un’intenzione anch’essa motivata ideologicamente. I serbi di Bosnia e di Belgrado hanno spesso laboriosamente legittimato le loro azioni partendo da argomenti di natura strategica, demografica o politica. L’intenzione di procedere a un’enorme pulizia delle popolazioni non serbe deriva innanzitutto da un’ideologia nazionalista radicale che ricorre ampiamente a miti storici cioè alla forza esplosiva di una memoria selezionata e strumentalizzata. La logica di sterminio della guerra di Bosnia non è certo il prodotto di odi ancestrali e originariamente balcanici bensì di odi molto moderni costruiti combinando pseudo differenze, pseurivalità e pseudo pericoli che riattivano le lotte del passato. L’etnia cosiddetta rivale viene rappresentata usando stereotipi e immagini ideologizzate destinate ad alimentare il risentimento.
Bisogna fare alcune riflessioni:
1. il mito potente e onnipresente nel discorso nazionalistico serbo degli anni 80-90 è quello della Serbia come nazione eletta. È coltivato dalla chiesa ortodossa e da numerosi storici ufficiali e si riferisce all’odissea vissuta in modo tragico dalla Serbia, eterna vittima della storia sin dai tempi remoti della battaglia perduta contro gli ottomani nel1389 sino alla seconda guerra mondiale quando avrebbe avuto luogo il genocidio serbo
2. la stigmatizzazione dell’Islam e dei musulmani è stata molto forte nel corso degli anni 80, accentuata dalla crisi economica, dall’evoluzione del rapporto di forze demografiche e dalla proiezione di paure internazionali.
3. la retorica nazionalista denuncia l’oggettiva alleanza contro la Serbia tra i paesi occidentali, soprattutto la Germania e l’Islam che in Bosnia cerca uno sbocco in Europa. Nelle forme più deliranti di questo discorso la Serbia arriva persino ad essere paragonata agli ebrei e ciò permette di fugare ogni dubbio sulla fondatezza delle guerre di pulizia in corso, inevitabilmente ritenute preventive.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Filippo Amelotti
[Visita la sua tesi: "Il Canada e la politica internazionale di peacekeeping"]
[Visita la sua tesi: "I cartoni animati satirici: il caso South Park"]
- Università: Università degli studi di Genova
- Facoltà: Scienze Politiche
- Esame: Storia contemporanea
- Docente: E. Preda
- Titolo del libro: Il secolo dei genocidi
- Autore del libro: Bernard Bruneteau
- Editore: Il Mulino
- Anno pubblicazione: 2005
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