Nominalizzazioni e procedimenti di natura morfologica: suffissazione e conversione
Altre forme di nominalizzazione possono invece portare all’effettiva creazione di un nome, sempre a partire da un elemento linguistico e non lo è. Due procedimenti di natura morfologica che portano a questo risultato sono l’aggiunta al nome di una marca morfologica di nominalizzazione, e la conversione. Entrambi sono dei processi presenti sia in italiano che in inglese, che hanno dirette ripercussioni sul sistema lessicale della lingua in questione, poiché causano l’ingresso di una nuova parola nel lessico che però si distingue anche formalmente da quella di partenza (ad eccezione del risultato della conversione, in cui la forma resta la medesima).
In italiano la nominalizzazione si manifesta frequentemente attraverso la suffissazione: -ata, -mento, –zione, sono solo alcuni dei suffissi derivazionali che vengono utilizzati per convertire un verbo in un nome.
(14)
La democratizzazione della Libia è ancora molto lontana.
(15)
Lo smarrimento da parte di sua moglie della fede non gli ha dato pace.
(16)
Con la nostra mangiata di ieri staremo a pancia piena per un mese!
Insieme ad altri come -aggio, -ita, -nza, -tura, -uta, questi suffissi permettono di passare dalla categoria verbo alla categoria nome, formando i cosiddetti nomi d’azione (o nomina actionis). Si tratta di nomi che esprimono un evento e per questo sono classificati fra i nomi di secondo ordine; della classe dei nomi di primo ordine fanno parte invece tutti i nomi che si riferiscono ad un’entità. Mentre i verbi esprimono generalmente degli eventi e mai delle entità, i nomi d’azione possono riferirsi sia ad entità che ad eventi.
Aprendo una piccola parentesi, bisogna puntualizzare che generalmente la terminologia “nome d’azione” è utilizzata per riferirsi ai nomi che sono derivati morfologicamente dai verbi, ma a volte si può trattare di nomi che esprimono comunque un evento anche se non derivati dai verbi. Questa seconda tipologia di nomi è coinvolta in un processo inverso a quello della nominalizzazione, in quanto questi nomi possono a loro volta costituire la base per la formazione di un verbo. Un esempio ne sono i sostantivi pranzo e lunch:
(17)
Pranziamo insieme domani?
(18)
Mary lunched on a hot dog and a coke.
In questo caso pranziamo e lunched rappresentano il risultato di un procedimento che segna il passaggio dalla classe dei nomi alla classe dei verbi, sono cioè quelli che Clark e Clark (1979) definiscono denominal verbs, ossia:
“nouns that have come to be used as verbs. (…) The verb [X] bears some relation, at least diachronically, to its parent noun [x].”
(Clark e Clark 1979, pp.767-768)
Tornando alla nominalizzazione del verbo, in inglese si procede spesso con la trasformazione del verbo in sostantivo attraverso l’aggiunta del suffisso –ing, utilizzato per formare il gerundio.
(19)
A – Excuse my interrupting, I have a question.
B – Excuse if I interrupt you, I have a question.
La presenza dell’aggettivo possessivo my che precede la nominalizzazione in (17)A permette di esprimere il soggetto dell’azione a cui si fa riferimento, cioè interrupt, che compare invece come verbo in (19)B. In inglese il nome così formato può anche essere sostituito dalla forma infinita del verbo (par. 2.3), e sono entrambi dei verbal noun, poiché fanno riferimento ad un’azione o un’attività. Riguardo all’utilizzo dell’ ing form in inglese, Ross (1972) vi individua un argomento a favore del category squish:
“this morpheme can appear at the end of essentially all V [verbi] in Poss+Ing complements (as in His resembling Banquots niece threw me), at the end of a large class of A [aggettivi], probably numbering over two hundred, but it can only appear at the end, of relatively few N [nomi] (probably less than one hundred). This interesting morphological fact is also in line with the squish of [FIGURA 1.a]”. (Ross 1972, p.320)
In inglese, oltre al già citato –ing, i suffissi derivazionali più usati sono -tion, -ment, -ence. I nomi risultato di queste suffissazioni, come negli esempi (20) e (21), sono detti deverbal noun (nomi deverbali), e si distinguono dai verbal noun come (19)A poiché non conservano le caratteristiche del verbo di partenza, ma si comportano come un nome comune e possono essere sostituiti solo da un altro nome.
(20)
In Italy we are used to long investigations. (dal verbo investigate)
(21)
Spain and Italy have signed a good agreement. (dal verbo agree)
Alcuni nomi deverbali sono spesso polisemici, cioè hanno più significati, e rispondono frequentemente allo schema di polisemia nome di processo nome di risultato (cap. 3), come nell’esempio (22). La stessa forma lessicale viene utilizzata prima per riferirsi al processo del costruire, in (22)A, poi per riferirsi al risultato dell’azione del costruire, in (22)B.
(22)
A – La costruzione del palazzo durò due anni.
B – La nuova costruzione è alta cinque piani.
Rispetto a queste modifiche morfologiche, in alcuni casi il sostantivo può coincidere con la propria forma verbale. In questo caso si parla più propriamente di conversione, in inglese altrimenti detta zero-derivation, e rappresenta un fenomeno linguistico molto più frequente in inglese di quando non lo sia in italiano.
(23)
A – She gave me a call before I get out.
B – I’ll call you tomorrow, before you leave.
(24)
A – I need a fresh drink right now!
B – I want to drink something fresh right now!
Alcuni casi di nominalizzazioni coinvolgono i nomi d’azione originati da composti di verbi, come negli esempi (25) e (26), e comportano la creazione di nuove parole.
(25)
In quel fuggifuggi generale, ti ho perso di vista.
(26)
Al negozio c’era un viavai di gente indescrivibile.
Dal punto di vista morfologico, sottolinea Jezek che:
“il processo di nominalizzazione non è sistematico, sia nel senso che ad alcuni verbi non corrisponde una nominalizzazione, come nel caso di temere, sia nel senso che non vi è una chiara correlazione tra il tipo di suffisso impiegato nella derivazione e il significato della parola che costituisce la base”. (Jezek 2005, p.127)
In seno a questa considerazione l’autrice suggerisce l’esempio di crollo, non formato con suffisso derivazionale, e il suo sinonimo cedimento, formato con suffisso derivazionale.
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Autore:
Valentina Marchiò
[Visita la sua tesi: "Consumi e Identità: il rapporto dialettico fra marche e consumatori"]
[Visita la sua tesi: "Corporate Responsibility: nuovi approcci nella relazione tra impresa e società"]
- Corso: Scienze e Tecniche della comunicazione
- Esame: Lessico e Semantica
- Docente: Raffaele Simone
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