Skip to content

I modelli standard di correlazione della critica



Nella sua fase di ricerca normale comunque la critica, proprio per non correre il rischio di mosse percepibili come poco raccomandabili, tende a privilegiare dei modelli standard di correlazione che comprendono certe presupposizioni tacite e il ricorrere di schemi fissi.
Abbiamo visto come spesso il critico presupponga tacitamente di avere di fronte un oggetto di studio da considerare nella sua specificità, totalità e coerenza. Ora possiamo notare che più in generale l’interprete dà per scontata una serie di relazioni che intercorrono tra il film e il metodo extrafilmico.
Queste test-world relations – t.w.r. – sono determinanti soprattutto per l’attribuzione dei significati letterali e quindi per l’attività di comprensione la quale a sua volta fa parte di quelle cose che il critico sembra presupporre come scontate nella propria ricerca di livelli di senso maggiormente complessi. Proprio sulla base del fatto che la comprensione è relativizzabile ma fondamentale all’interpretazione, il critico si trova continuamente implicato in operazioni di attribuzione di senso sulla base di t.w.r.
Per ipotizzare significati legittimi su più livelli di contenuto in riferimento ad una manifestazione lineare di testo è necessario attivare indici referenziali. Il riconoscimento e il richiamo a dizionari e enciclopedie di base, alle circostanze di enunciazione, alle sceneggiature comuni ed intertestuali, all’individuazione di topic ed isotopie presuppongono sempre relazioni del tipo ipotizzato da Bordwell. Quando il critico comprende il film si richiama sempre a saperi depositati fuori dal testo.
Per quanto riguarda gli schemi, si considereranno solo i due più operativi nel campo della C.S.: gli schemi personalizzanti e gli schemi categoriali.
Per capire cosa accade quando parliamo di gatti, cani, mele e sedie abbiamo bisogno di categorie. Riconoscere oggetti e situazioni significa avere uno schema per quegli oggetti e per quelle situazioni; significa quantomeno possedere un tipo cognitivo, che permetta in modo stabile di identificare determinate entità.
Per attribuire un significato referenziale bisogna svolgere delle attività di inquadramento, di framing. Il film va portato a classi più ampie di riferimento, non può esere trattato come unità testuale perfettamente isolata.
Nel campo degli studi cinematografici, l’attività di framing è per la maggior parte dei casi correlata all’idea di genere. Quest’idea è assai utile per verificare le discontinuità che si creano sia sull’asse discorsi della critica/attività interpretativa concreta, sia sull’asse critica/teoria.
Nel primo caso perché è assai facile imbattersi in casi di lamentazione attorno al fatto che la categorizzazione per genere risulta quasi sempre riduttiva e contemporaneamente constatare che i critici non hanno alcuna intenzione di abbandonare tale esercizio classificatorio. In altri termini ci si può imbattere in esempi di interpreti che lamentano a livello metacritico la sterilità del mettere etichette di qualsiasi tipo su un prodotto audiovisivo senza che ciò modifichi il fatto che oggi il ricorso alla nozione di genere è una mossa base continuamente praticata.
Nel secondo caso perché ci si accorge facilmente che il concetto di genere è assunto dai rispettivi ambiti della teoria e della critica concreta in termini assolutamente diversi. La nozione di genere è fruttuosa ma assai controversa. È possibile porsi nei confronti del concetto in termini strutturali o funzionali, ma ciò non risolve la questione di fondo per cui ci si può chiedere se un genere è una realtà dotata di una propria consistenza o il frutto dell’osservazione dello studioso.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.