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Le mansioni delle due sequenze di Quarto Potere - O. Welles -




A ben guardare, il principale effetto di questo mandato è proprio quello di dotare chi né è investito della facoltà di operare; prima di ogni altra cosa, il “far fare” è mettere un personaggio in condizione di agire, e farlo essere in grado di sostenere la parte che gli spetta. Dunque, ciò che questo “far fare” consente è innanzitutto l’accesso allo statuto stesso di narratore e di narratario, con tutte le varie potenzialità che esso comporta; se si preferisce è l’instaurazione e la qualificazione di un soggetto attraverso il riconoscimento di una sua competenza a fare.
Ecco il punto: le nostre due costruzioni mettono allora a nudo un mandato che ha come conseguenza l’attribuzione di una competenza.
Due esempi certo diversi tra di loro:
- nel flashback il mandato investe un’offerta di notizie e la competenza riguarda la loro gestione, e il film esalta una fonte interna, rendendola letteralmente padrona di quanto è rivissuto
- nel caso del cinema nel cinema il mandato sollecita la decifrazione di un fatto e la competenza vale rispetto a una lettura; e il film drammatizza un punto di ricezione, rendendolo in qualche modo responsabile di quanto è mostrato.
Ma anche due esempi tra di loro complementari: in entrambi quel che pesa è l’attribuzione di un incarico e il riconoscimento di un’idoneità; in entrambi si impone un passaggio di consegne e la ratifica di una predisposizione. Al di là del testo in cui si realizzano, i percorsi che vediamo disegnarsi investono la logica stessa con cui ogni film si fa e si dà.
- Da un lato infatti questa concatenazione mostra assai bene l’importanza della competenza: nessuno opera se non ha acquisito o se non si è dotato una facoltà ad operare; se pensiamo a come i flashback mettano in risalto la necessità della confessione, le risorse di chi ha in mano un ricordo, il privilegio di chi è stato testimone ecc., e come il cinema nel cinema insista sul fascino subito da chi segue lo spettacolo, sulle opzioni di gusto che egli manifesta, sullo spessore dei suoi pareri ecc., ci vien facile capire che si è in grado di realizzare un compito quando si ha con sé un dover fare, un voler fare, un poter fare e un saper fare.
Ciò vale per il narratore e il narratario, rispetto al loro esser latore o destinatario di un racconto ospitato dal racconto del film; ma la cosa vale anche per l’enunciatore e l’enunciatario, e cioè perle istanze che reggono il film in quanto tale.
Ne deriva un ispessimento dell’emettere e del ricevere: essi ora ci ricordano quanto hanno alle spalle.
- Dall’altro lato la concatenazione di gesti che abbiamo messo a fuoco mostra come gran parte dell’operare abbia di mira proprio l’acquisizione o la consegna di una tale premessa all’agire. Basta pensare nel flashback ai lenti recuperi della memoria o alla ricerca di un testimone attendibile, o nel cinema nel cinema ai rituali che introducono un personaggio alla visione è ai mutamenti che in lui spesso si producono: il possesso di una competenza è lo scopo di parecchie mosse.
L’emettere e il ricevere si ispessiscono ulteriormente: dopo aver rivelato le loro premesse, ora ci mostrano tutta la loro complessità.
Con ciò il panorama si completa – almeno provvisoriamente –: un mandato che instaura e qualifica un soggetto, una competenza che è insieme condizione preliminare e posta in gioco, delle procedure emissive e recettive che mostrano tutta la loro ricchezza.
Colti in quest’ottica, il cinema nel cinema e il flashback assumono un esemplarità particolare: è ben vero che essi riguardano un discorso inglobato in un altro discorso, una rappresentazione “seconda”, ma è anche vero che essi propongono uno schema di funzionamento che investe l’intero film; il modo in cui viene ripercorsa la vita di un racconto, le mosse che si scoprono necessarie per la costruzione di una parola o l’affermarsi di una visione, le strategie che si annodano attorno alle presenze del narratore e del narratario, tutto ciò fa si che quel che vale per un testo ospitato valga anche per il testo ospitante.
Da questo diventar specchio di un disegno più vasto le nostre costruzioni ricavano un piccolo privilegio: disposte a svelare il proprio segreto e a proporlo come emblema, esse operano da modello del farsi e del darsi di ogni film; c’è allora un’etichetta che conviene loro bene: non ancora enunciazioni enunciate, ma già di più e di meglio che enunciazioni riportate, le potremmo d’ora in poi chiamare enunciazioni simulate.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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