La figura del curatore
Alla fine degli anni ’80 a Iringa, i punti di primo soccorso in pratica non esistevano, i dispensari e i centri di salute erano mal equipaggiati e privi di medicamenti se non nei primi giorni del mese. Le strutture missionarie fornivano più cure, ma erano anche più costose. Il piccolo erborista restava così una delle uniche risorse; egli era il mganga mdogo, che curava i disturbi quotidiani, conosceva erbe e radici da scavare nella savana. Dichiarava di aver appreso l'arte dai genitori e associava configurazioni di sintomi alle erbe ma ne conosceva anche per le disgrazie, per proteggersi dall’invidia e per avere figli Esercitava tale arte a fianco di altre attività, spesso non si faceva pagare e si rimetteva alla riconoscenza dei clienti guariti. Se la malattia era identica ma per cause diverse, pure le terapie erano tali. I grandi curatori o wganga, erano figure di prestigio, parlavano più lingue, grazie alle loro abilità e all’aiuto delle persone che li circondavano, risolvevano i problemi di una clientela eterogenea. La loro era una professione a tempo pieno, remunerativa, gestita con metodo e organizzazione, spesso associata anche ad altre cariche politiche. Molti sapevano scrivere, compilavano rapporti con informazioni sul paziente, sul decorso della malattia, e sulle terapie e li conservavano per anni. Erano consultati per malattie, per la ricerca del benessere sociale, per concepire un figlio, per combattere la disoccupazione, per disturbi mentali, per infedeltà, per vincere una gara sportiva, individuare un ladro, proteggersi dalla stregoneria. Erano pagati in scellini, mais, bestiame o birra. Utilizzavano anche strumenti della medicina occidentale. Essi lavoravano in stretto contatto con uno spirito ancestrale (mzimu). Egli scopriva le cause delle malattie, individuava i medicamenti, andava convocato e partiva a fare ricerche e andava ascoltato. I suoi consigli avevano autorità e peso di un consiglio dato dai morti che avevano un’influenza potentissima. Passavano ai figli, ma gli spiriti potevano creare anche curatori ex-nuovo, afferrano l’ignaro, lo tormentano finché non si assume la responsabilità del proprio destino. Il curatore ha un comune e diretto rapporto con i morti, nel sonno, in uno stato di dissociazione volontaria o meno, parla con lo spirito, lo aiuta . Una credenza nel maleficio sembrerebbe un ostacolo allo sviluppo, ma esiste anche una diversa visione: secondo la teoria del ‘bene limitato’ un insolito successo da un singolo, lontano dall’imputarsi al duro lavoro, lo sarebbe invece all’utilizzo di attività magiche che avrebbero succhiato fertilità dai campi altrui. Così, una credenza nel maleficio fornisce una spiegazione e un capro espiatorio per sfortuna, malattia, morte, fallimenti, successi e quindi il rassegnarsi alla vita. In conseguenza, da un punto di vista esterno, tale visione pregiudicherebbe lo sviluppo perché porta a cercare ragioni al di fuori di sé per i propri insuccessi.
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Autore:
Elisa Giovinazzo
[Visita la sua tesi: "La stregoneria secondo Carlo Ginzburg, Norman Cohn e Stuart Clark"]
[Visita la sua tesi: "Carlo Ginzburg: una biografia intellettuale"]
- Università: Università degli Studi di Verona
- Esame: Storia dell’Africa
- Docente: Antonio Morone
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