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Sandro Penna – La vita...

Sandro Penna – La vita...


La poesia fu scritta nel 1928 col titolo poi giustamente soppresso di Sensazione, la lirica apre già la prima edizione delle Poesie di Penna. In realtà contiene quelli che saranno, separati o intrecciati, alcuni dei motivi che attraversano più spesso i suoi versi. L'alba, l'ora sua canonica. Il treno e il risveglio o simili, detti in forme analoghe ancora in una bellissima lirica degli anni tardi, ma d'altro canto il risveglio triste del componimento è come il risvolto doloroso del memorabile ottativo di un suo distico: Io vivere vorrei addormentato / dentro il dolce rumore della vita. Poi l'incontro felice e liberatorio con un ragazzo o un giovane: qui un marinaio. A differenza di Saba, col quale Penna ebbe un lungo rapporto di amicizia e collaborazione, Penna non ha la complicatezza psicologica e le tensioni quasi metafisiche dell'amico: come è stato detto, Penna è un poeta privo di storia interna ed esterna, e si comprende, data l'onnipresenza statica in lui di due grandi pulsioni, e due grandi temi, il desiderio omosessuale, con le relative catarsi, e il culto della Vita, sentita anche qui come “verginità” (v. 5). Anche per quanto osservato in precedenza e in seguito va dunque esclusa un'interpretazione allegorica del risveglio (la nascita...) e se ne impone invece una letterale. Penna è, qui come sempre, tutto in superficie; ma è pur stato detto (da Hofmannstahl) che è nella superficie che va cercata la profondità. Sono due strofe pentastiche di endecasillabi, con rare rispondenze foniche (consonanza facile: veduto – sentito; quasi – rima: fuori – colore) e pause variamente dislocate. La lingua, come sempre in Penna, è della più nitida chiarezza, semplice nella sua purezza come diceva Orazio, tanto che non occorre alcuna nota particolare; un unico e lieve tocco letterario è l'inversione a me vicino.Le due strofe stanno in contrapposizione, ma dove un altro poeta moderno, abitato dal senso della negatività della vita, avrebbe aperto con la strofa euforica per chiudere e negarla con quella disforica, Penna fa l'inverso: transizione dal negativo al positivo, il trionfo della Vita. Alla luce di ciò troviamo tra le due strofe parallelismi oppositivi, a cominciare da è ricordarsi / ma ricordarsi, con avversativa forte a inizio strofico; quindi quello fra la luce incerta della prima strofa (in genere priva di colori e segnata da un altro aggettivo disforico, di sofferenza, corpo rotto) e lo squillare di colori della seconda; tra fuori 3 e fuori 9 in differente contesto; perfino tra la frattura dei rispettivi versi secondo e terzo, spezzati entrambi dai due punti dopo cesura di sesta. Soffermiamoci ora su alcuni dettagli. Prendiamo i vv. 2 – 3: mentre gli altri della strofa sono endecasillabi normali o leggeri, questi due, a connotare la fatica del triste risveglio, sono endecasillabi “pesanti” a cinque accenti, della stessa fattura, cioè con attacco di prima e prosecuzione giambica. Andiamo al v. 5: nella straordinaria aggettivazione ossimorica della malinconia, vergine e aspra, il secondo aggettivo si direbbe trasferito per ipallage dall'esterno dell'aria pungente all'interno del sentimento. Al v.8 un marinaio giovane quasi al confine con l'apposizione, e non come nella norma linguistica un giovane marinaio: è la giovinezza che conta. Ai vv. 8 – 9: come l'inarcatura divarica e isola lietamente i due colori! V. 10: Penna si guarda dal nominare il colore del mare – d'altronde quasi anticipato dall'azzurro della divisa del marinaio – perché non gli importa quale sia il colore che esplode, ma che esploda il colore, ciò che è espresso isolando la sensazione trionfante in un solo e intero verso, che è anche l'ultimo, e unendo in sinestesia le due percezioni dominanti, la visiva e la tattile: non si tratta di un colore fresco ma del fatto che dal mare promana insieme il suo colore e la freschezza dell'acqua.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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