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Il sentimento di morte di Bufalino


Bufalino è uno scrittore che ama ritornare e concentrarsi sempre sugli stessi temi, quasi come fossero inguaribili ossessioni, che l'autore si premura di dichiarare e ostentare sin dal primo romanzo. Sono sentieri di riflessione percorsi per sessant'anni, fatti di pochi eventi e molte lettura, poi messi su carta in maniera debordante: esito inevitabile per chi ha covato per così tanto tempo i suoi fantasmi. Bufalino ha sempre avuto il terrore del fraintendimento, così non ha mai mancato di formulare minuziosi indici – guida dei suoi temi, fossero essi generali o relativi ad un' opera in particolare, distinzione comunque superflua considerato la solida compattezza di fondo dell'universo poetico bufaliniano.
Diceria dell'untore.
Le primissime indicazioni tematiche dettagliate le troviamo già in Istruzioni per l'uso, a prefazione di Diceria dell'untore, romanzo al quale Bufalino dedica il tema dei temi della sua ricerca:la scoperta del sentimento di morte, vista come esperienza lacerante e affascinante, da esorcizzare e corteggiare parimenti; l'ingresso dell'idea della morte in un cuore innocente, come ebbe già a scrivere nel 1976 all'amico Angelo Romanò, mentre si trovava ricoverato a Scandiano.
Non si tratta tanto dell'idea della scoperta della morte in quanto tale ma dell'inizio di una dolorosa familiarità con essa, poiché il continuo procrastinarsi di essa porta lo scrittore ad iniziare una curiosa scherma d'amore (p.19), fatta del continuo sentire il fiato sul collo, dell'apprendistato alla convivenza in un appartamento ideale fatto di terrore e affezione: la malattia. Della morte non sappiamo nulla e mai sapremo, come diceva ne Le menzogne della notte, ed è l'attesa di essa che invece esperiamo, ed è la malattia a trasformarla in una permanente condizione esistenziale d'eccezione. Il tema della malattia regna nel primo romanzo ma compare anche in quelli successivi. La malattia è la metafora di un modo di rapportarsi alla vita. Una malattia che è sinonimo di imitatio Christi: il malato è un segnato, vittima di uno stigma che tuttavia cerca di rivendicare il proprio status come uno stemma (p. 18); un'operazione, questa, operabile solo attraverso la scrittura, nella sua dimensione fittizia, perché solo attraverso il filtro letterario la presunzione di distinguere e nobilitare il male può avere contorni credibili. Come il malato, il poeta è non a caso un costituzionalmente diverso, un fiore del male alla Baudelaire.


Tratto da LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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