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L'amore malato di Bufalino


Ecco allora l'amore malato. La malattia esclude, colloca ai margini ma favorisce e sollecita allo stesso tempo una sorta di narcisistica solidarietà tra sodali, e il malato, come il poeta, non può amare se non chi condivide la sua condizione. Il legame con Baudelaire è così fitto che per un attimo Marta diventa il doppio del saltimbanco che descrive il poeta francese, il primo a rilevare che il riso “e’ intimamente legato al fatto d’una antica caduta, d’ una degradazione fisica e morale”.
C'è quindi una chiarissima dipendenza baudelairiana nella visione bufaliniana della malattia, vista sia come condizione fisica sia come condizione esistenziale di diversità e separazione. Bufalino presenta, nell'introduzione alla sua traduzione, i Fiori del Male come il frutto dello sforzo di promuovere la sofferenza a parola, di estrarre dalla coscienza del Male il raro fiore della poesia; un Male maiuscolo che probabilmente nasconde il segno di una più buia e febbricitante isteria; una malattia dunque. Lo scrittore comisano sentenzia: è qui il nodo del libro [di Baudelaire]: uno stigma che cerca dolorosamente di diventare uno stemma. La malattia ha dunque una ambigua identità: stigma di maledizione e stemma di elezione. Il poeta prega di poter contemplare con forza e coraggio il proprio corpo senza disgusto ma allo stesso tempo ne mette in risalto il ruolo di portatore sano di un male elitario, più delicato e perverso: la noia.

Tratto da LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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