Condanna della guerra e prigionia nei film anni '30
Nella Germania di Weimar e in Francia il ricordo dell’inizio delle ostilità offrì la possibilità di condannare la guerra. Nella Germania nazista dove la guerra è sempre stata descritta in modo brutale e realistico, ogni cenno all’apertura delle ostilità fu accuratamente evitato. L’Italia fu un’eccezione, il fascismo fino alla spedizione etiopica tollerò una rappresentazione filmata in contrasto con i discorsi ufficiali sul maggio del 1915, quando l’Italia decise l’intervento. In Italia il ricordo del conflitto era molto doloroso: ciò impedì ai registi di trasferire nel film la versione ufficiale della mobilitazione. Tuttavia non è possibile approfondire le ragioni del conflitto, persino un pacifista come Abel Gance evitò il problema. Le cause esterne di questa cautela furono la pressione della censura, le paure dei diplomatici ossessionati dall’idea che un’allusione alle responsabilità di un paese straniero potesse offendere un potenziale alleato e non vanno sottovalutate, ma le ragioni interne al mondo degli studios sono altrettanto importanti. I film erano pensati essenzialmente come racconti, quindi spesso non c’era posto per le cause. Un alternativa più discorsiva fu offerta dal cinema sovietico che tentò di colpire la fantasia degli spettatori alternando immagini in forte opposizione, ma il pubblico non era ancora pronto a sperimentare nuovi stili cinematografici.
La prigionia di guerra è raramente presente nei film degli anni’30. Sono importanti dal punto di vista tematico le somiglianze tra tre film distribuiti nel 1937-38, il francese“La grande illusion”, il tedesco “Patrioten” e l’inglese “Who goes next?”: i protagonisti sono ufficiali energici e risoluti e non ci sono dubbi sul loro desiderio di fuga. Le platee inglesi e francesi il cui gusto era avezzo agli standard degli emozionanti film americani, non gradivano produzioni troppo dialogate ma povere di azione. Le spy stories rappresentavano una valida alternativa: la guerra restava come sfondo ma la sua descrizione è abbastanza vaga da fugare i timori del censore. lo spionaggio, ignorato dai tedeschi e dagli italiani affascinò le democrazie e occupò quasi la metà della produzione inglese e un terzo di quella francese. Non bisogna comunque dimenticare che i racconti di spionaggio erano una vecchia tradizione europea nata verso la fine dell’800 con Le Queux. Ogni spy stories si basa su identità indeterminate o incompatibili.
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Autore:
Laura Righi
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- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
- Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo
- Esame: Cinema e studi culturali
- Docente: Michele Fadda
- Titolo del libro: Cinema e identità europea
- Autore del libro: Pierre Sorlin
- Editore: La nuova Otalia
- Anno pubblicazione: 2011
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