La linea di separazione tra cinema e teatro
La linea di separazione tra cinema e teatro
Mettendo a confronto cinema e teatro siamo costretti a riconoscere nella gioia che ci lascia il secondo, a chiusura di sipario, un nonsoché di maggiormente nobile, quasi che se ne riesca a trarre una maggiore coscienza. Da questo punto di vista si potrebbe dire che ai migliori film manchi qualcosa, una certa scarica tensoria che invece possiede il palcoscenico. All'origine del disincantamento che segue il film si potrebbe certamente individuare un processo di spersonalizzazione dello spettatore. Lo spettatore di cinema tende ad identificarsi con il protagonista per un processo psicologico che ha per conseguenza di costituire la sala in folla e di uniformare le emozioni. Prendiamo l'esempio abbastanzaa significativo delle donne sul palcoscenico e sullo schermo. Sullo schermo la loro apparizione soddisfa delle aspirazioni sessuali inconsce e quando il protagonista viene a contatto con loro soddisfa il desiderio dello spettatore nella misura in cui questi si è identificato con il protagonista. Sulla scena le ragazze destano i sensi dello spettatore come lo farebbe la realtà. Non si produce perciò l'identificazione con il protagonista, il quale diviene oggetto di gelosia e di invidia. Tarzan, insomma, non è concepibile che al cinema. Il cinema placa lo spettatore, il teatro lo eccita. Il teatro, anche quando fa appello agli istinti più bassi, impedisce fino ad un certo punto la formazione di una mentalità di folla, ostacola la rappresentazione collettiva nel senso psicologico, in quanto esige una coscienza individuale attiva, mentre il film non chiede che un'adesione passiva. Queste considerazioni gettano una nuova luce sul problema dell'attore. È nella misura in cui il cinema favorisce un tale processo di identificazione che si oppone al teatro. Così posto il problema non sarebbe più radicalmente insolubile, giacché è noto che il cinema dispone di procedimenti di messa in scena che favoriscono la passività o al contrario eccitano più o meno la coscienza. Inversamente, il teatro può cercare di attenuare l'opposizione psicologica fra lo spettatore e il protagonista. Teatro e cinema non sarebbero dunque più separati da un abisso estetico insuperabile ma tenderebbero solamente a suscitare due atteggiamenti mentali su cui i registi mantengono un vasto controllo. Ad un'analisi più accurata, il piacere teatrale non si opporrebbe solo a quello del cinema ma anche a quello del romanzo.
Il teatro si costruisce sulla coscienza reciproca della presenza dello spettatore e dell'attore, ma ai fini della recitazione. Esso agisce in noi attraverso la partecipazione ludica ad un'azione, attraverso la ribalta e come sotto la protezione della sua censura.
Al cinema, al contrario, restiamo dei contemplatori solitari, nascosti in una camera oscura, attraverso delle persiane socchiuse, di uno spettacolo che ci ignora e partecipa dell'universo. Niente viene ad opporsi alla nostra immaginaria identificazione al mondo che si agita davanti a noi, che diviene Il Mondo. Non è più sul fenomeno dell'attore, in quanto persona fisicamente presente che si ha interesse a concentrare l'analisi, ma sull'insieme delle condizioni della recitazione teatrale che strappa allo spettatore la sua partecipazione attiva. Vedremo che si tratta allora molto meno dell'attore e della sua presenza che dell'uomo e della scenografia.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Gherardo Fabretti
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- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Storia e critica del cinema
- Docente: Stefania Rimini
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