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L'oggetto come simbolo nel teatro


Oppure un oggetto usato come simbolo che torna a svolgere la propria funzione: una scopa che funge da scettro e torna scopa.
- Ciascun attore agisce come se stesso e non ci sono elementi che riguardano altro da sé. È il caso dell’happening e del teatro di varietà. Ci sono sempre funzioni simboliche (ad esempio la funzione della luce) ma non investono le figure della rappresentazione.
- Nello spettacolo non entrano figure riconoscibili secondo un criterio gestaltico (relativo dunque alla percezione e alla sensazione di oggetti definibili nella loro funzione). In questi casi salta il momento della figurazione e si passa direttamente a rappresentazioni che chiamano in causa rapporti più elementari (luce, colore, materia). Ci troviamo nel campo dell’arte astratta.
Possiamo dunque distinguere vari modi di porsi. Dall’esposizione totale di se stessi (la confessione pubblica), alla presentazione del proprio ruolo sociale o lavorativo (il pugile, la ballerina), alla rappresentazione di altro da se stessi (la maschera, il personaggio). Una distinzione del genere l’aveva già intuita Rousseau, che se da una parte tendeva a tenere distinti teatro e presenza assoluta nella festa o nella vita politica, dall’altra aveva intuito che rappresentazione e non rappresentazione sono i due poli di uno stesso fenomeno. Un oratore mostra se stesso, e quindi lo interpreta, un attore mette in scena sentimenti diversi dai propri, rappresentando un essere non reale che finisce per annientarsi.
La rappresentazione più riuscita è quella che conduce all’illusione perfetta, quella che paradossalmente annulla nello spettatore la cognizione di trovarsi davanti ad una scena, convincendolo della realtà di ciò che sta vedendo.

Tratto da LETTERATURE COMPARATE di Gherardo Fabretti
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