L'interpretazione ricognitiva del testo
L'interpretazione ricognitiva del testo
Nella commedia italiana del ‘500, come sarà anche con Goldoni nel ‘700, le indicazioni sono molto rare e limitate alle azioni dei personaggi, mentre i prologhi tendono a spiegare al pubblico il significato della scenografia. Nel melodramma seicentesco le didascalie sono riferite soprattutto alla scenografia, poiché ogni scena richiedeva una ambientazione peculiare.
Le novecentesche didascalie pirandelliane investono sia la scenografia sia l’azione, non limitandosi a descrivere le scene, bensì a spiegarle, decodificando il significato di un personaggio, di una frase, di una situazione, cercando di evitare così le libertà interpretative di un regista.
E spesso infatti la notazione non limita la libertà interpretativa dei registi, che spesso applicano ad un sistema scenico moduli che non erano previsti. Ecco nascere dunque una commedia di Plauto nella scenografia prospettica del Cinquecento; ecco Shakespeare calato nel realismo storico dell’ottocento romantico. Questi “abusi” sono una sorta di tentativi di interpretazione ricognitiva, la seconda tipologia che stiamo per affrontare, affidate alla scenografia, che pure tradiscono, scenograficamente, ciò che intendono rappresentare. Non sono stati rari, di conseguenza, i tentativi di restituzione delle forme sceniche originarie, come quello compiuto dalla Elisabethan Stage Society, che tentò di ricostruire la struttura architettonica , l’impianto scenico e recitativo del dramma elisabettiano.
Ogni interpretazione rappresentativa finisce col diventare, almeno in parte, ricognitiva. Molti critici, infatti, sostenendo l’inscindibilità del testo drammatico dalla sua rappresentazione, si adoperano per dimostrarlo, tirando fuori esempi di autori come Curel, che raccontava di comporre i suoi testi ascoltando la voce dei suoi personaggi, o Becque che lavorava davanti ad uno specchio per accertare quali gesti i suoi personaggi avrebbero dovuto compiere per accompagnare le battute.
Esiste poi una interpretazione ricognitiva in senso stretto, quella che all’inizio abbiamo definito adatta ai testi letterari e storici. Una interpretazione ricognitiva altro non è che una classica interpretazione critica, che vuole definire il significato di un’opera, concepita come letterariamente autonoma e conclusa nei suoi valori letterari, cercando di estrapolarne e rappresentarne lo spirito, evidenziando cioè i valori e le connotazioni, tratteggiando la collocazione storica e scoprendo i valori morali e politici.
In questo senso distinguiamo diverse posizioni:
a) Significato dell’opera: unico e determinato -> messa in scena: evidenzia e chiarisce il significato.
b) Significato: unico e oscuro -> messa in scena: scoprire cosa l’autore intendeva dire
c) Significato: molteplice e complesso -> messa in scena: dà una sola delle infinite letture, individuando uno dei molteplici messaggi e specificando il tipo di lettura che il regista ne ha fatto.
d) Significato: ambiguo -> messa in scena: scioglie l’ambiguità e ne determina arbitrariamente il significato.
e) Significato: mutevole e progressivo; si arricchisce con la storia e con la cultura del regista -> messa in scena: privilegia le implicazioni, che aumentano e cambiano con la storia e la cultura.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Gherardo Fabretti
[Visita la sua tesi: "Le geometrie irrequiete di Fleur Jaeggy"]
[Visita la sua tesi: "Profezie inascoltate: il "Golia" di Giuseppe Antonio Borgese"]
- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Letterature comparate
- Docente: Domenico Tanteri
- Titolo del libro: Leggere il teatro
- Autore del libro: C. Molinari - V. Ottolenghi
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