La mafia del latifondo in Sicilia

Il carattere essenziale del controllo territoriale, indispensabile alla definizione stessa del fenomeno mafioso e della sua organizzazione, appare come tale sin dagli esordi post – unitari della mafia in Sicilia. Eppure un dato così importante è stato macroscopicamente snobbato dalla storiografia, che dei rapporti tra mafia e territorio ha parlato poco e di quel poco ne ha parlato in maniera stereotipata. È necessario assumere, dunque, per una comprensione corretta della storia della mafia, la distinzione più evidente che in relazione al tema delle specificità territoriali sembra propria della mafia siciliana post – unitaria: la distinzione tra mafia del latifondo e mafia dei giardini.
È necessario superare l'idea della relazione diacronica tra questi due fenomeni, come se il latifondo fosse il gradino fondamentale dell'escalation mafiosa, che ha portato la mafia dal controllo dell'economia povera del latifondo a quella ben più ricca dei giardini. È una spiegazione falsa e di comodo. Le due mafie, in realtà, non sono evolutive l'una dell'altra ma contemporanee, legate da complesse unioni e da interazioni dialettiche.
La mafia del latifondo ha costituito il modello più classico e diffuso della letteratura sulla mafia ma la verità è che tale modello viene a dipendere dagli assetti proprietari che si determinano nel corso del secolo nella Sicilia occidentale, e che consolidano la struttura del latifondo, all'interno della quale emerge, nella consueta qualità di mediatore fra classe contadina residente e il ceto possidente, la figura del gabellato. Nelle sue mani passano tutte le transazioni economiche che caratterizzano la vita del latifondo, e per le sue mani passano anche tutte le funzioni legate alla tutela dell'ordine pubblico nelle aree rurali.