Politiche demografiche nei paesi poveri
Per quanto riguarda i paesi poveri, l’adattamento ad un modello di fecondità ridotta si è diffuso in un numero sempre più elevato di classi sociali, con un conseguente aumento del carattere volontaristico del controllo delle nascite. Allo stesso tempo i paesi in via di sviluppo hanno dimostrato sempre minor disponibilità ad ingerenze esterne di qualsiasi tipo, in confronto almeno ad alcuni decenni prima. Le Nazioni Unite hanno fatto propri i timori suscitati nel mondo dalla prospettiva di uno sviluppo demografico incontrollato e, a partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo, hanno svolto un ruolo rilevante nella diffusione di una nuova mentalità mondiale nei riguardi della natalità.
Uno degli strumenti maggiormente utilizzati a tale scopo è stata l’organizzazione di una serie di conferenze che, a partire dal 1965 (Belgrado), si sono svolte con una cadenza decennale. Le ultime tre edizioni, tenute rispettivamente a Bucarest (1974), Ciudad de Mexico (1984) ed a Il Cairo (1994), hanno sollevato ampio interesse trovando eco nei media di tutto il mondo. La stessa Organizzazione delle Nazioni Unite ha organizzato, con una certa periodicità, altre conferenze mondiali su aspetti relazionati al problema, tra le quali di notevole importanza sono state la già ricordata conferenza sulla donna (Beijng, 1995), e quella sullo sviluppo (Copenaghen, 1996). Con un contenuto un po’ scostato dai temi fondamentali della demografia mondiale (anche se sono stati presentati molti interventi riguardanti l’argomento) sono state svolte le conferenze mondiali su Ambiente e Sviluppo, la prima delle quali ebbe luogo a Stoccolma nel 1972 e le ultime, ed assai più pubblicizzate, a Rio de Janeiro (1992) e Kyoto (1997).
In questi ultimi anni, per quanto riguarda l’ambito delle politiche demografiche, si è registrato un cambio di tendenza. In linea generale tale cambio rappresenta un certo scostamento da posizioni inflessibili che attribuivano alla forte natalità la responsabilità del sottosviluppo, ed un accostamento a posizioni più flessibili che incorporano altri elementi in un contesto di maggior comprensione della dinamica e delle realtà demografiche attuali. Ciò ha avuto come effetto la riduzione delle incidenza delle politiche demografiche di carattere intrusivo. L’India fu il primo paese sottosviluppato ad adottare una politica antidemografica presupponendo effetti a breve termine, a partire dagli anni Cinquanta. Da allora altri governi hanno attivato politiche demografiche, per lo più antinataliste, che al termine del secolo scorso finivano con l’interessare quasi due terzi della popolazione mondiale ed oltre quattro quinti di quella dei paesi sottosviluppati. Nella maggioranza dei casi, e soprattutto quando erano praticate politiche intrusive, ma anche quando le azioni erano limitate a moderate incentivazioni di carattere economico che lasciavano la porta aperta all’esercizio della libertà individuale, da parte di molti è stato denunciato l’incremento ingiustificato di un potere arbitrario governativo su ambiti del tutto individuali.
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