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La figura di Pericle

Detto questo, però, è difficile non pensare alla figura di Pericle, sistematicamente contrapposta a quella dei suoi successori. Anzi, per ben 4 volte, Tucidide ribadisce la sua convinzione che Atene aveva i mezzi per vincere e che la sconfitta è imputabile alla mancanza di concordia interna ad Atene ⇒ alla mancanza di leadership. 
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Come conciliare questi 2 punti di vista? 
In realtà sono problemi diversi, perché un conto è domandarsi “Perché scoppia la guerra?” e un altro conto è domandarsi “Perché Atene ha perso la guerra?”. 
La prima questione riguarda una interazione di forze, spesso materiali, che oscura il contesto d’azione delle singole unità. La guerra scoppia per il fenomeno concomitante crescita della potenza-paura, indipendentemente dalla leadership. 
Invece, la seconda questione poggia tutta sulla conduzione politico-militare di una città ⇒ su questo punto, la leadership essenziale. 
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In pratica, è la differenza tra 
− politica internazionale, che prescinde dalle personalità coinvolte 
− politica estera (militare), che non può prescindere da chi ne è responsabile. 

Ci sono dunque forze anonime che fissano le condizione dell’azione, mentre la politica estera definisce i contorni precisi delle singole azioni. Tornando alle Storie, la politica internazionale impone ad Atene la necessità di costruire e mantenere l’impero; come questo obiettivo venga raggiunto è una questione che riguarda la presenza di un capo. 
Essere forti è una condizione necessaria e, in effetti, Tucidide più volte ribadisce quanto fosse forte Atene: 
− II.65: fu ogni volta per lo stato un tracollo incalcolabile nei confronti dello sforzo bellico; 
− IV.108: traviati da una stima di tanto errata della potenza ateniese, di quanto, più tardi, essa spiegò la sua concreta ampiezza; 
− VIII.24: spartirono con molti, anch’essi persuasi dall’identica realtà illusoria, il diffuso errore che prevedeva per Atene un rapido e profondo declino. 

Ma avere i mezzi non sufficiente per vincere, se non c’è una leadership a guidare adeguatamente le operazioni. 
Si è molto discusso, tra gli studiosi, su quale fosse il regime migliore secondo Tucidide. Si sa della sua simpatia per l’oligarchia, ma in tutta l’opera è presente una serie di elementi abbastanza contradditori: 
− Tucidide esprime ammirazione nei confronti di Sparta per la stabilità della sua Costituzione, che dura da ben 4 secoli (I.18). Però vengono riportati anche alcuni elementi non del tutto positivi sul funzionamento del sistema spartano: ci sono tensioni anche tra gli efori, tra gli efori e i re ⇒ un’oligarchia così stabile non è garanzia di una conduzione della politica estera coerente, senza tentennamenti. 
− Hobbes dice che Tucidide gli ha insegnato quanto sia inutile un governo democratico e da questo ne ricava la preferenza di Tucidide per il governo monarchico, cioè il regime sotto Pericle, il primo cittadino. 

− Quanto ad Atene, dopo il rovesciamento del Governo dei 400 e l’instaurazione del Governo dei 5000, Tucidide commenta che così gli Ateniesi si avvantaggiarono del regime migliore, almeno fino al mio tempo (VIII.97) ⇒ è una Costituzione mista, un’oligarchia moderata o una democrazia ristretta, certamente non una democrazia radicale e demagogica come quelle di Cleone ed Alcibiade. Però, per Tucidide, anche la democrazia radicale di Pericle era tutto sommato un buon sistema. 

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Secondo Tucidide, un sistema politico si giudica non sulla base della sua forma (oligarchia, democrazia, o via intermedia), ma sulla base del suo funzionamento, che non può prescindere dal merito eccezionale di un leader. 
Tutti i leader ateniesi, da Pericle a Cleone, da Nicia ad Alcibiade, prendono molto seriamente la questione della sicurezza dell’impero. Il problema sta nel criterio in base al quale si definisce ciò che è utile per la città, che non può essere definito in maniera univoca: Pericle, in nome della sicurezza, suggerisce una strategia difensiva, fermando l’espansione dell’impero durante la guerra contro Sparta, mentre Alcibiade, sempre in nome della sicurezza, afferma l’impossibilità di stabilire un limite all’espansione dell’impero ⇒ i contenuti di una stessa politica di sicurezza possono essere molto diversi tra loro. Il problema è che la strategia proposta da Alcibiade è vera, ma solo in astratto; nella realtà, invece, bisogna calcolare i limiti e muoversi sulla base di questi limiti. Ed è qua che entrano in gioco le virtù del grande capo. E Pericle è l’unico capace di vedere tali limiti. 
A prescindere dal caso siciliano, la vera differenza tra Pericle e i suoi successori è che Pericle, molto autorevole per la considerazione che lo circondava e per l’acume politico e per la condotta limpidamente pura dal minimo dubbio di corrutela venale, dirigeva il popolo nel rispetto della sua libera volontà. Dominava senza lasciarsi dominare… Nominalmente, vigeva la democrazia: ma nella realtà della pratica politica, il governo era saldo nel pugno del primo cittadino (II.65). Esempio di tale condotta, è l’atteggiamento che Pericle assume in seguito alla prima invasione dell’Attica da parte degli Spartani: gli Ateniesi vorrebbero scatenare la battaglia a campo aperto, ma Pericle li trattiene. Quando, dopo il secondo anno di guerra, gli Ateniesi vorrebbero chiedere la pace, Pericle li trattiene. 
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In questi 2 episodi, la predisposizione della massa punta verso una direzione, ma l’autorevolezza di Pericle riesce a controllarla. I suoi successori, invece, cavalcano le passioni della masse, esprimono opinioni che sono comunque conformi all’idea della maggioranza. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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