"Storie" di Tucidide Libro I: Le origini e lo scoppio della guerra del Peloponneso
"Storie" di Tucidide Libro I: Le origini e lo scoppio della guerra del Peloponneso
Il I Libro delle Storie può essere così suddiviso:
− cap.1 – Introduzione
Tucidide si dichiara interessato a studiare questo fatto storico perché è grande. È una grande guerra perché le 2 parti hanno raggiunto l’apice della loro potenza e perché si assiste alla polarizzazione di tutto il mondo greco (= DEFINIZIONE DI GRANDEZZA).
Le epoche precedenti non erano caratterizzate da tale grandezza e la parte strutturale successiva, l’Archeologia, ha proprio lo scopo di dimostrare tale affermazione.
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Assistiamo ad un fatto storico che nella portata non ha precedenti.
− capp. 2-19 – Archeologia
Solitamente, Tucidide viene considerato il “creatore della storia politica”, a differenza di Erodoto, perché mentre quest’ultimo si dilunga molto sugli usi e costumi dell’epoca di cui parla, introducendo altri attori accanto agli Stati, Tucidide, invece, si concentra esclusivamente su una storia basata sugli Stati e, ad eccezione della Pentacontetia del I Libro, Tucidide si occupa prevalentemente di storia contemporanea, oggetto della sua esperienza diretta. Nell’Archeologia, Tucidide dimostra che il passato è insignificante, perché non ha mai visto l’attività di Organizzazioni statali notevoli.
Si nota come Tucidide guardi al passato con gli occhi dell’“uomo politico nuovo”, del V secolo = tutto (cultura, economia, tecnologia) si concentra sulla pura idea di potenza di uno Stato.
Che cosa è necessario per creare uno Stato forte?
− Una certa stabilità dal punto di vista degli insediamenti umani e delle istituzioni
− Mezzi militari e, in particolare, una flotta
− Risorse finanziarie.
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Utilizzando questi 3 criteri, ci si accorge di come le epoche precedenti non sono state affatto grandi.
Nell’età arcaica, dunque, esistevano, secondo Tucidide, molteplici problemi (cap.2):
− non vi era il commercio
− non esistevano relazioni reciproche sicure
− non si fortificavano con mura
− non possedevano la potenza
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A parer mio, dimostra la debolezza degli antichi stati anche la guerra di Troia (cap.3), vista fino ad allora come la più grande operazione militare che aveva coinvolto tutti i Greci.
Il primo a rompere questa condizione di staticità fu Minosse (cap.4), nel XVI secolo a.C., che per primo si procurò una flotta, tale da combattere i pirati e garantire un minimo di stabilità nella zona da lui controllata e, a sua volta, da permettere di sviluppare traffici commerciali che portano ricchezza allo Stato.
Anche Agamennone, nel XIII-XII secolo a.C., seguì questa linea (cap.9), anzi, secondo Tucidide, proprio perché è un sovrano così forte e ha una flotta potente, è in grado di convincere gli altri principi achei a seguirlo nella spedizione contro Troia. Agamennone riesce a costruire un grosso corpo di spedizione, grazie, secondo la tradizione, al giuramento che lega tutti gli Achei. Secondo Tucidide, invece, Agamennone riuscì a costruire una simile coalizione perché eccedeva in potenza tra i contemporanei; sono convinto che Agamennone… abbia effettuato la spedizione raccogliendone i componenti piuttosto con il severo rispetto che sapeva imporre che in virtù d’una affettuosa benevolenza ⇒ suscitava timore, inducendo gli altri Stati a sottoporsi alle sue decisioni.
Secondo Tucidide, questa spedizione non poteva essere grande come la guerra del Peloponneso: era causa di ciò non tanto il ristretto numero d’uomini, quanto la scarsità di denaro… per eseguità di risorse economiche, non solo risultavano irrilevanti le imprese anteriori, ma queste stesse gesta (cap.11).
Si salta poi al VII secolo a.C.(cap.13), quando Tucidide parla delle tirannie che vengono stabilite, periodo durante il quale sono gli Ioni a disporre di una flotta consistente.
In seguito (cap.18), Tucidide fa alcuni riferimenti alla Costituzione degli Spartani, Costituzione che dura da oltre 4 secoli, garantendo stabilità politica ed istituzionale, è un ulteriore strumento che ha permesso a Sparta di influenzare l’orientamento politico degli altri Stati, in particolare, cambiando il loro regime politico.
Si passa poi alle guerre persiane (Maratona, 490 a.C.), in seguito alle quali l’alleanza Sparta-Atene si frantuma, portando all’epoca contemporanea, un periodo caratterizzato da un avvicendarsi continuo di tregue e di atti di ostilità (cap.18) ⇒ questa conflittualità reale e latente, propria del periodo che separa le guerre persiane dallo scoppio della guerra del Peloponneso, ha ulteriormente accresciuto la potenza delle parti e ha permesso la preparazione degli eserciti, come annunciato nel cap.1.
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L’idea centrale dell’Archeologia è quella della crescita dello Stato come l’accumularsi di risorse materiali, che poi sfocia necessariamente nella guerra. Tuttavia, se la guerra è l’esito logico della crescita di Atene, così l’imperialismo ateniese è stato l’esito logico dell’accumulo di risorse materiali nei decenni passati.
− capp. 20-22 – Metodologia
Tucidide si propone di cercare la verità storica, fattuale, come metodologia contrapposta alla poetica di Omero e di Erodoto. Gli altri storici, e in particolare Erodoto, non si curano di controllare le proprie fonti, contribuendo a divulgare fatti non veritieri.
Soprattutto, questa ricerca deve essere fatta, perché Tucidide vuole che la sua opera sia UTILE (cap.22), perché a lui non importano il consenso, l’approvazione o la lode di un grande pubblico, ma vuole costruire una storia che valga l’eternità. Questo è possibile perché, in base alla sua concezione negativa della natura umana (le leggi immanenti del mondo umano), questi eventi sono destinati a ripetersi (→ III Libro, cap.82). Su questo si fonda la concezione realistica dell’utilità della conoscenza storica, proprio come farà Machiavelli, studiando Tito Livio (I, Proemio, Volendo pertanto trarre li uomini di questo errore, ho iudicato necessario scrivere sopra tutti quelli libri di Tito Livio che dalla malignità de’ tempi non ci sono stati intercetti quello che io, secondo la cognizione delle antique e moderne cose, iudicherò essere necessario per maggiore intelligenzia di essi, a ciò che coloro che leggeranno queste mie declamazioni, possino più facilmente trarne quella utilità per la quale si debbe cercare la cognizione delle istorie). Questa conoscenza non è necessaria solo fine a se stessa, ma lo è soprattutto per l’uomo politico, che, conoscendo la storia, può decidere in modo ragionato ed informato.
Il metodo di Tucidide si avvale di discorsi (cap.22, a parer mio), attraverso i quali Tucidide esprime il suo pensiero, e di ricostruzioni di fatti.
− cap.23 – Punto di arrivo della narrativa, dove si esprime per la prima volta il parere sulle cause effettive della guerra
Con questo capitolo si chiude il cerchio iniziato con il cap.1, perché si capisce perché questa è la guerra più grande mai vista finora.
C’è poi una contrapposizione tra la motivazione più vera ed autentica e le cosiddette ragioni addotte. Nel testo originale greco, la motivazione più autentica (cap.23) viene indicata da Tucidide con il termine próphasis, tipico del linguaggio medico, contrapposta ai sintomi.
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Non bisogna farsi ingannare dalle dichiarazioni ufficiali sullo scoppio della guerra. La motivazione autentica è la crescita della potenza ateniese e il timore che questa suscitava in Sparta.
Il senso di questa motivazione, riportata attraverso un termine tipico del linguaggio medico, implica l’oggettivizzazione del problema ⇒ sulla base di questa affermazione, non si vuole scaricare la colpa dello scoppio della guerra a nessuna delle 2 parti.
La guerra è inevitabile, anzi, secondo la traduzione letterale del testo originale, gli Spartani furono necessitati a fare la guerra a causa della crescita della potenza ateniese.
Il cap.23 è il primo nel quale si annunciano le vere cause dello scoppio della guerra; questo stesso concetto si ritrova enunciato, più o meno con gli stessi termini, nei capp. 88 e 118.
− capp. 24-88 – Cause immediate, addotte
Fondamentalmente esistono 2 cause addotte, 2 fonti di attrito tra le parti, usate come pretesto per dichiarare guerra:
1. la disputa su Epidamno
Si verifica uno scontro tra 2 potenze medie, Corcira e Corinto per il controllo della città di Epidamno, situata all’esterno del sistema greco centrale. Corcira (al momento neutrale) chiede di entrare nell’alleanza ateniese per paura della reazione di Corinto (alleato spartano).
Tucidide riporta dunque il discorso di richiesta di alleanza dei Corciresi ad Atene. È questo il primo esempio in tutto il libro di quello che si chiama dibattito oratorio, tipico della letteratura greca del V secolo a.C. (si trova anche nella tragedia, nelle opere di Erodoto), in cui l’uso della parola è particolarmente importante per persuadere l’auditorio. In una città democratica come Atene, dove l’Assemblea gioca un ruolo sempre più importante, l’arte della retorica (l’arte del parlar bene) è di fondamentale importanza per chiunque abbia delle ambizioni di tipo politico. I sofisti erano i maestri di quest’arte.
La struttura classica del dibattito oratorio contiene 2 idee di base:
− ogni questione ha argomenti contrari, cioè può essere osservata da 2 punti di vista opposti,
− con una certa abilità linguistica e di ragionamento, l’argomento che sembra più debole può diventare l’argomento più forte, attraverso
• la reputazione (es. “il tuo ragionamento si fonda su argomenti non veri, dunque non vale”)
• la compensazione (es. “tu hai ragione qui, ma io ho ragione là e la mia ragione pesa più della tua”)
• ritorcendo contro l’avversario il suo stesso argomento.
Per convincere gli Ateniesi, i Corciresi mettono per prima cosa sul piatto della bilancia sia il giusto sia l’utile (cap.32, è cosa giusta… che chi ricorre al vicino con una preghiera di soccorso… cerchi in primo luogo e soprattutto di chiarire a fondo che quanto richiede è anche di vantaggio agli interlocutori), poi altre considerazioni, quali la gratitudine o il fatto di compiere un’azione che è permessa dalle leggi e dai trattati (cap.35, non infrangerete la tregua con gli Spartani) (cosa che invece verrà negata dai Corinzi, su base morale).
Per prima cosa, i Corciresi giustificano la loro iniziale neutralità, avendola ritenuta cosa saggia, ma adesso si rendono conto di aver fatto la scelta sbagliata (cap.32). In seguito (cap.33), elencano i vantaggi di cui Atene godrebbe dalla loro alleanza:
− aiutare genti vittime di un’ingiustizia,
− riceveranno assoluta riconoscenza da Corcira,
− Corcira possiede la flotta più numerosa dopo quella ateniese. Insistono soprattutto su questo punto, sottolineando l’imminenza della guerra contro Sparta (cap.33, se qualcuno di voi è convinto che non scoppierà la guerra… commette un grossolano errore), situazione nella quale, dicono, potremmo esservi utili ⇒ il maggior vantaggio dell’alleanza è quello di fare fronte comune contro gli stessi nemici (cap.35, molti lati vantaggiosi siamo in grado di mostrare… il più interessante è che ci opporremo agli stessi nemici) ⇒ certo sarà per voi ben differente se la rivolgessimo (la richiesta di alleanza ⇒ la flotta) ad altri: badate, infatti, se potete, a non lasciare che un’altra nazione acquisti una flotta, altrimenti cercate l’unione con quella che si dimostri più forte sui mari.
Segue la risposta dei Corinzi, che rispondono punto a punto:
− alla giustificazione corcirese della propria neutralità, essi rispondono che, in realtà, essi non volevano entrare in nessuna alleanza perché erano in malafede,
− i Corciresi sono disposti ad accettare un arbitrato, ma lo fanno in un momento in cui si trovano in una posizione di forza ⇒ fanno un uso puramente strumentale del diritto, che viene invocato da chi sa di poter avere una certa influenza, data la sua posizione di forza
− non è giusto accettare Corcira come alleato, perché Atene ha degli obblighi nei confronti di Corinto, che ha l’ha aiutata in passato nella rivolta di Samo ⇒ chiedono piuttosto che Atene resti neutrale.
In tutto ciò, l’unico punto realistico è la minaccia di guerra, l’unico vero argomento che può considerarsi convincente (cap.42, a prezzo d’infiniti pericoli).
Atene, alla fine, accetta le richieste di Corcira, perché convinta che sia utile, data l’eventualità di una prossima guerra contro Sparta (cap.44, non erano disposti a lasciare in mani corinzie Corcira, così potentemente armata sul mare).
Inoltre, cercavano di esasperare al massimo il contrasto politico tra i due stati (Corcira e Corinto): nell’eventualità che un conflitto divenisse inevitabile, avrebbero avuto di fronte un nemico comunque più debole, si trattasse dei Corinzi o di altri con a disposizione una flotta da guerra (cap.44).
Infine, l’isola di Corcira era situata in una posizione utile per una futura spedizione alla conquista della Sicilia e dell’Italia (cap.44) ⇒ fin dall’inizio si vede come Atene stia pensando di proiettarsi verso la Sicilia e l’Italia (trascorreranno circa 15 anni prima che questo diventi realtà).
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Scoppia una battaglia navale tra Corcira e Corinto, nella quale Atene impedisce la vittoria corinzia. Questa battaglia navale tra Greci risultò, per numero di navi impiegate, la più importante tra quelle combattute fino a quel tempo (cap.50).
Fu questa la causa prima della guerra tra Corinto e Atene, la circostanza cioè che gli Ateniesi, pur legati ai Corinzi da un trattato, li avevano combattuti sul mare per soccorrere Corcira (cap.55). 2. la disputa su Potidea
Potidea è una colonia di Corinto, alleata però della lega ateniese ⇒ Atene teme che Corinto induca Potidea a ribellarsi. Dunque, per evitare complicazione di questa natura, gli Ateniesi emettono un ultimatum nei confronti della città (cap.56, ingiunsero agli abitanti di Potidea… di demolire il muro verso Pallene e consegnare ostaggi).
Per contro, Sparta promette il proprio aiuto a Potidea, se decide di ribellarsi ad Atene.
Ne segue la rivolta di Potidea (cap.59). Ovviamente, gli Ateniesi reagiscono in modo negativo all’insurrezione ⇒ mandano una flotta e mettono la città sotto assedio, nel 465 a.C.
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Si verificano 2 “crisi periferiche”, che diventano comunque le cause imminenti per lo scoppio della guerra tra Sparta ed Atene: s’erano dunque creati, prima del conflitto, nei rapporti tra Atene e i popoli del Peloponneso, questi nuovi motivi di recriminazione (cap.66).
Corinto decide allora di mandare i propri delegati a Sparta (cap.67) per sollecitare l’intervento di Sparta. I Corinzi sono i nemici più accaniti di Atene, soprattutto per motivi commerciali.
In questo punto del testo, si trova un’analisi notevole dei fondamenti psicologici della potenza Ateniese, cui si contrappone la risposta degli stessi Ateniesi, i quali aggiungono a questa dimensione psicologia una valenza storica, con la quale giustificano il loro impero.
I Corinzi essenzialmente accusano Sparta, in quanto vera responsabile dell’attuale potenza ateniese (cap.69, la responsabilità dell’attuale situazione è nettamente vostra), perché gli Spartani non hanno fatto nulla per prevenire il sorgere della potenza ateniese.
Secondo i Corinzi, gli Ateniesi sono audaci ed innovatori, mentre gli Spartani sono paurosi e conservatori (cap.70).
Il principale argomento che usano i Corinzi per convincere Sparta è, comunque, una minaccia di defezione (cap.71, non vogliate spingere noi pure a legarci, presi dallo sconforto, a un’alleanza diversa dalla vostra) ⇒ o Sparta muove guerra contro Atene, o Corinto si sentirà costretta a rivedere le proprie alleanze.
Nella loro replica, gli ambasciatori ateniesi propongono quella che può essere considerata la “posizione ufficiale” di Atene. Essi sostengono che, se Atene è così potente, è solo perché se lo merita, per i servizi resi alla Grecia 50 anni prima, contro i Persiani. È a questi servizi che Atene lega il proprio diritto di dominio attuale (cap.73). Tra l’altro, nessuno potrebbe adesso contestare questa posizione, dal momento che questa egemonia le è stata conferita per consenso, non con la violenza, quando le città della Ionia si sono rivolte spontaneamente ad Atene, chiedendole di guidare la Grecia, quando, dopo la seconda invasione persiana, Sparta non era più in grado di esercitare la propria leadership (cap.75).
3 sono le motivazioni alla base dell’Impero ateniese (cap.75):
1. il timore ispirato dallo straniero
2. il nostro decoro, cioè per la gloria e l’onore
3. il nostro utile = un guadagno tangibile, frutto dell’egemonia.
Una volta sottomesse queste città, per Atene diventa poco sicuro lasciarle indipendenti. Si nota qui il meccanismo causale tipico della visione storica di Tucidide: la crescita ateniese porta all’Impero ⇒ una volta creato l’Impero, sarebbe poco sicuro abbandonarlo ⇒ si è costretti a mantenerlo, perché l’alternativa sarebbe quella di esporsi a rischi inaccettabili.
Del resto, ciascuno agisce secondo il proprio interesse, perché se gli Spartani si trovassero nella condizione di Atene, farebbero esattamente la stessa cosa (cap.76). Si ha qui la prima esplicita enunciazione della legge di natura detta la legge del più forte: è universale e perenne norma che il più debole sia suddito del più forte.
Ancora una volta, poi, Atene sostiene la legittimità del proprio dominio (cap.76, noi ci stimiamo meritevoli del nostro dominio); è anche consapevole che Sparta, appellandosi al concetto di giustizia e di libertà delle città greche, in realtà non fa che rispondere al suo stesso utile, nascondendo i propri veri interessi dietro al nobile concetto di giustizia (cap.76, per calcolo d’utilità, ora sbandierate il concetto di giustizia).
Infine, Atene rivendica come titolo di merito anche il fatto di non esercitare il potere come potrebbe, ma, paradossalmente, è proprio questa moderazione a suscitare il malcontento e le recriminazioni degli assoggettati (cap.77) ⇒ Atene è ben consapevole dell’odio che suscita attorno a sé (probabile indice, questo, che forse il dominio ateniese non è così moderato come si vuole fare credere).
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Atene chiede a Sparta di ponderare la sua decisione: la guerra è sempre un fattore incerto, perché non si sa mai né quando né come finirà. Atene è dunque molto riluttante a farsi trascinare in guerra ⇒ adduce tutta una serie di giustificazioni, in parte ideologiche, in parte molto realistiche, proclamando una specie di “oscura profezia” (cap.78, una guerra, quando si prolunga, degenera di solito in un puro gioco della sorte… e il suo esito è sempre ignoto).
Agli Ateniesi rispondono 2 Spartani, rispettivamente
− uno dei 2 re, Archidamo: egli ritiene più opportuno che Sparta adotti un atteggiamento prudente nei confronti di Atene, semplicemente perché Sparta non è pronta a combattere, non ha sufficienti risorse finanziarie, Atene è lontana e nettamente superiore sul mare (cap.80) ⇒ Archidamo propone di negoziare e tentare di trovare un compromesso con Atene, ma, nel frattempo, Sparta deve prepararsi ad affrontare la guerra, qualora l’esito di questi negoziati fosse negativo: se presteranno orecchio alle nostre missioni diplomatiche, tanto di guadagnato: in caso contrario, nel giro di due o tre anni, se saremo ancora dell’avviso, li attaccheremo forti di un allestimento militare più efficiente (cap.82).
− uno degli efori, Stenelada: egli rappresenta il partito a favore della guerra preventiva, riportando il classico argomento per cui il nemico va colpito subito, prima che diventi più forte.
Essi espongono dunque i 2 classici argomenti, uno pro e uno contro, la guerra preventiva.
Segue la votazione spartana (cap.88): Sparta dichiara rotti i patti e la guerra contro Atene, ma non perché siano stati gli alleati, e in particolare Corinto, a convincerla, ma perché Sparta ha paura di Atene e della sua continua crescita ⇒ dopo il cap.23, per la seconda volta, Tucidide riprende la motivazione autentica, la próphasis, dello scoppio della guerra.
− capp. 89-118 – Pentacontetia = i 50 anni prima dello scoppio della guerra
Oggetto di questi capitoli è lo sviluppo della potenza ateniese, la motivazione autentica, la próphasis, che porta allo scoppio della guerra.
NB: Da notare come Tucidide tratti prima delle cause immediate (Epidamno e Potidea), poi di quella autentica.
Subito dopo le guerre persiane, Atene è completamente distrutta ⇒ gli Ateniesi devono in primo luogo ricostruire le mura di fortificazione. Queste mura, però, combinate con la potenza navale degli Ateniesi e lo slancio guerresco dimostrato contro i Persiani (cap.90), suscitano forti preoccupazioni negli altri Greci, inclusi gli Spartani ⇒ temendo questa combinazione di potere difensivo ed offensivo, Sparta tenta, invano, in tutti i modi di convincere Atene a non costruire le mura.
In seguito, Tucidide descrive come Sparta gradualmente perda la leadership dell’alleanza antipersiana, affidando parte della responsabilità a Pausania, un Generale spartano, la cui condotta non era molto gradita ai Greci (cap.95) ⇒ i Greci, e soprattutto le città della Ionia, nel 478 a.C. presero ad insistere con gli Ateniesi, affinché assumessero loro il comando (cap.95) ⇒ nasce così la cosiddetta Lega delio-attica, l’alleanza ateniese contro i Persiani.
In base a questa nuova alleanza, ciascun membro doveva impegnarsi ad offrire un tributo ad Atene, o monetario o militare. Tuttavia, una volta concluse le guerre persiane, la maggior parte degli alleati preferisce offrire ad Atene contributi esclusivamente finanziari, rifiutandosi di prestare servizio militare ⇒ secondo Tucidide, è colpa degli alleati se Atene ha potuto, poco alla volta, acquisire il monopolio della forza, diventando così ricca e potente, soggiogando sempre più gli alleati (cap.96).
Più o meno contemporaneamente (a partire dal 470 a.C), cominciano a verificarsi le prime defezioni (cap.99), ma gli alleati sono sempre meno preparati dal punto di vista militare, dunque più facili da soggiogare.
Una degli episodi di ribellione più importante è quello di Samo (cap.115), verificatosi nel 440 a.C.
Nel frattempo, scoppia quella che viene chiamata la Prima guerra del Peloponneso, tra Atene e Sparta (460-445 a.C.), che si risolve fondamentalmente con la Tregua dei trent’anni (cap.115), il reciproco riconoscimento delle sfere di influenza.
Gli Ateniesi si lanciano anche in una spedizione in Egitto per combattere i Persiani, episodio che però si risolve in maniera disastrosa (cap.110).
Tutti questi episodi, contribuirono comunque alla crescita della potenza (commerciale e militare, Ateniese, tanto che si ribadisce ancora una volta la próphasis, il fatto che Sparta deve porre fine alla potenza ateniese: la potenza d’Atene s’era imposta, rigogliosa e superba, all’attenzione del mondo: perfino la sfera d’influenza e d’alleanza tradizionalmente legata a Sparta non era immune dai suoi attacchi… si doveva sferrare, loro per primi, un’offensiva, gettarvi ogni energia e demolire, se fosse possibile, quella molesta e invadente potenza (cap.118).
− capp. 118-146 – Ultimo congresso dell’Alleanza spartana; Ultimatum; Rifiuto di Atene
Nell’ultimo congresso dell’alleanza spartana, i Corinzi tengono un altro discorso, nel quale espongono una visione molto ottimista degli eventi, perché principalmente dominiamo il nemico per numero di combattenti ed esperienza bellica; poi, la nostra azione offensiva è un disciplinato e concorde impeto, appena si riceve il comando. Quanto alla marina, considerata il loro punto di forza, si provvederà (cap.121).
In seguito, i Corinzi suggeriscono le 2 strategie migliori per vincere la guerra (cap.122), che, in effetti, verranno in seguito attuate:
− provocare defezioni, privando così Atene dei tributi degli alleati
− piazzare fortilizi nell’Attica: in effetti, dopo la spedizione in Sicilia, gli Spartani, in vista dell’invasione dell’Attica, costruiscono delle fortificazioni, secondo quanto qui suggerito dai Corinzi.
In seguito, i Corinzi si appellano all’unione delle forze, chiaro riferimento a quello che, in epoca moderna, sarà il principio dell’equilibrio di potenza (cap.122, se non li affronteremo in un saldo blocco… forti di un deciso e unico volere, faranno leva sulla nostra divisione e ci soggiogheranno, uno per uno, senza sforzo) (= in presenza di uno Stato troppo forte, gli avversari devono coalizzarsi contro di lui; l’alternativa è quella di essere sottomessi, uno dopo l’altro), toccando tra l’altro anche l’aspetto legale dell’eventuale dichiarazione di guerra (cap.123, non sarete voi a violare i patti per primi).
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Tutta la Grecia si prepara allo sforzo comune: alcuni paesi per timore, altri sperando un guadagno (cap.123) ⇒ non è più possibile temporeggiare: alcuni di noi già soffrono il giogo, altri non aspetteranno a lungo una sorte altrettanto indecorosa (cap.124).
Il discorso si conclude con la descrizione di Atene come città tiranna (cap.124, la città che ha imposto la sua tirannide in Grecia, minaccia egualmente l’indipendenza di tutti. Su alcuni già domina, altri progetta d’asservire), immagine riconosciuta in seguito anche dagli ateniesi Pericle e Cleone.
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La maggioranza decise la guerra (cap.125).
Sparta manda un ultimatum ad Atene, nel quale erano contenute richieste quasi impossibili da essere accettate. Richieste che, tra l’altro, rappresentano dei puri pretesti, per rendere legale la dichiarazione di guerra. Si richiede, infatti, di espellere gli esecutori del sacrilegio contro la Dea (cap.126: il sacrilegio consisteva nel fatto che gli Ateniesi avevano ucciso dei supplici vicino agli altari, cosa proibita, per il rispetto del luogo sacro), facendo un chiaro uso strumentale della religione. Viene avanzata questa richiesta, perché in realtà sapevano che Pericle vi era implicato per parte di madre, e prevedevano che da un eventuale bando di quell’uomo la loro politica verso Atene avrebbe avuto il corso immensamente più agevole e libero, dal momento che la vita politica di Atene aveva in quel tempo in Pericle il suo uomo di punta, il prestigioso e geniale ispiratore d’una linea d’assoluta avversione e intransigenza nei confronti di Sparta (cap.127).
Analogamente, nella loro risposta, anche gli Ateniesi chiedono l’espiazione di un sacrilegio analogo (cap.128: supplici uccisi nei pressi di un tempio).
A questo punto, Tucidide riporta, in modo alquanto complesso (e vicino più allo stile aneddotico di Erodoto che al suo), gli episodi di Pausania e Temistocle, un vero e proprio enigma per gli interpreti dell’opera, alcuni dei quali hanno anche avanzato l’ipotesi della loro completa inutilità nell’insieme delle Storie.
Comunque, entrambi questi episodi possono essere visti alla luce del profondo interesse che Tucidide nutre per la leadership, dato che ci troviamo di fronte al ritratto di 2 grandi leader, in particolare Temistocle, capo del Partito democratico, particolarmente attivo alla fine delle guerre persiane (è colui che ha proposto le fortificazioni ateniesi, e colui che ha contribuito ai primi passi dell’Impero), del quale Tucidide riporta un giudizio molto lusinghiero (cap.138, era meritevole infatti Temistocle della più ammirata meraviglia…; quest’uomo dal genio possente… fu ineguagliato). È un vero leader, perché è in grado di rispondere immediatamente ad ogni sfida. In tutte le Storie, solo Pericle riceverà da Tucidide un giudizio di ugual portata e, non a caso, è proprio Pericle a parlare subito dopo il giudizio su Temistocle.
L’ultima richiesta spartana tralascia i pretesti e arriva direttamente al punto, cioè che la pace è possibile solo se Atene lascia vivere in pace le altre città greche (cap.139, non si soffermarono sui temi consueti ma espressero solo queste parole: “Gli Spartani hanno volontà di pace; la pace può affermarsi a condizione che voi lasciate ai Greci l’indipendenza) ⇒ o Atene rinuncia all’Impero, o Sparta le dichiarerà guerra.
Segue, come già anticipato, il primo dei 3 discorsi di Pericle, presentato come il primo ateniese di quel tempo (cap.139). In risposta all’ultimatum di Sparta, egli propone il classico argomento che, se Atene accetta ora le richieste di Sparta, questa chiederà sempre di più, perché accettare degli ordini significa debolezza (cap.140, cedete, anche di poco, a Sparta: si abbatterà su di voi, senza dubbio, un’imposizione più gravosa, perché si convinceranno quaggiù che siete scesi a trattare piegati dalla paura) ⇒ la guerra è necessaria e si può notare anche una valutazione alquanto ottimistica sulle possibilità di vittoria che ha Atene, convinzione che si basa proprio sui componenti della grandezza degli Stati (risorse finanziarie e risorse militari):
− Sparta non ha risorse finanziarie: i Peloponnesi fanno i campagnoli: non possono contare su risorse finanziarie private o pubbliche (cap.141) ⇒ sarà per lo più la scarsità di capitali a bloccarli (cap.142)
− anche se Sparta invaderà l’Attica (cosa che in effetti si verificherà praticamente ogni anno) Atene ha un incalcolabile vantaggio sul mare (la talassocrazia = il dominio sul mare) (cap.143, la strategia asimmetrica: se invadono l’Attica con le forze di terra, salperemo contro il loro paese… il nostro dominio è sconfinato: si estende sulle isole e sul continente: l’egemonia sul mare è vantaggio incalcolabile).
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Pericle è in grado di sostenere la speranza della futura vittoria con molti altri argomenti; a patto che siate disposti a non ampliare il vostro dominio, mentre siete in lotta, e a non affrontare rischi superflui (cap.144) ⇒ queste parole suonano profetiche in vista della spedizione in Sicilia, 15 anni più tardi.
Sulla strategia difensiva di Pericle, molto prudente, si è molto discusso, perché non si concilia con tutta una serie di operazioni navali lanciate dagli Ateniesi attorno al Peloponneso, fin nei primi anni di guerra.
Infine, Pericle ricorda ancora una volta l’inevitabilità della guerra: bisogna rendersi conto che la lotta è inevitabile (cap.144).
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